Shaq nei playoffs non è stato al meglio ma si riparte da lui e da Wade
A 7'11" dalla prima finale della storia della franchigia. E allora? Fermati presumibilmente dalla coscia di Shaquille e dalla costola di Wade. Nulla di strano per una squadra che era partita per tenersi li, a stretto contatto di Detroit e Indiana, e poi vedere. "E' un'eliminazione che ci fa molto male - ha commentato a caldo Stan Van Gundy - ma che non deve far dimenticare a voi e al gruppo tutti i momenti belli di questa stagione." Per inciso: 59 vittorie, dominio incontrastato sulla Eastern Conference che, in primavera, è sembrato assoluto.
Nessuno più di Van Gundy è il simbolo di questa squadra, che a inizio stagione sembrava piccola, sotto l'immane ombra di O'Neal, e s'è riscoperta competitiva e intensa in corso d'opera.
Facciamo un salto indietro al mese di novembre per dare un'occhiata ai commenti sul forum di questo sito dedicato a Miami, ai "lo sapevamo" alle prime sconfitte contro squadre dell'Ovest come San Antonio, Minnesota e Denver.
Questo per ricordarci qual'era la dimensione iniziale della squadra.
Eppure, dicevamo, Miami s'è fermata a 7' dalla finale Nba, in una gara7 in cui s'è trovata in vantaggio 74-68. E' stato l'ultimo sussulto. A quel punto Van Gundy s'è affidato al suo quintetto che l'aveva portato fino a li. L'esperienza del gruppo di Detroit, non proprio alla prima apparizione al livello più alto dei playoffs, ha preso il controllo. O'Neal in qualche modo a limitato i danni in un quarto periodo da 9 punti con 3 su 4 dal campo. Ma Wade ha fatto 0 su 6.
"Nello sport - ha commentato Wade due giorni dopo l'ultima sconfitta, quando i giocatori si sono ritrovati a svuotare gli armadietti - ci si può torturare con i "se". E' andata in quel modo. Ci dispiace. Ma non si poteva fare di più." Il suo infortunio ha cambiato la prospettiva consegnando agli avversari una gara6 sul velluto, conclusasi virtualmente dopo soli 22'. Flash è tornato per l'ultima partita dopo aver impiegato un'ora quel mattino ad alzarsi dal letto e due iniezioni antidolorifiche: "Una decisione che ho preso - ha spiegato - nell'assoluta convinzione di poter essere utile ai miei compagni."
D'altronde la crescita esponenziale dell'ex Marquette, passato in un anno da esterno con poco ruolo e molto talento a nuovo Michael Jordan, è una delle istantanee di quest'anno. I suoi 76 punti fra gara2 e gara3, entrambe vinte, sono garanzia di grandezza assoluta. E il suo brutto quarto periodo sembra più che altro il primo insuccesso di una carriera che sarà luminosa. Come le emicranie di Pippen proprio contro i Pistons e gli airball di Bryant contro Utah.
Shaquille O'Neal ha cominciato a soffrire dalla gara di regular season in cui il suo omonimo di Indiana gli è entrato con il ginocchio nella coscia. E sul campo s'è visto un giocatore che ha dovuto distillare i suoi momenti di dominio, soprattutto all'inizio dei quarti dispari contro Ben Wallace. "Shaq ha fatto tutto quel che doveva fare quest'anno - ha chiarito il Presidente degli Heat Pat Riley - a partire dal rientrare nella giusta forma. Non posso imputargli nulla e se vinceremo un titolo lo faremo con lui." "Shaq (19.5 punti a partita contro Detroit ndr) è ancora un giocatore da 30 punti a sera se sta bene", ha fatto eco il coach.
L'ex Laker entra ora nel suo ultimo anno di contratto, a 30 milioni di dollari. Serrata permettendo, è pronta l'estensione contrattuale fino ai suoi 36 anni negatagli in California. Quest'anno a 33, Shaq ha perso 11 partite, fra una leggera distorsione al ginocchio, il colpo alla coscia e un virus intestinale. "Ha avuto infortuni che possono capitare, indipendentemente dall'età . Per noi è importante che rimanga nella forma fisica di quest'anno, in ossequio alla nostra cultura del lavoro", ha precisato ancora Riley per rispondere in un colpo solo a chi gli chiedeva degli acciacchi del centro e chi ha predetto un rilassamento del giocatore a contratto rinnovato.
"Voglio chiudere qui la mia carriera", ha dichiarato O'Neal il giorno dopo la sconfitta in gara7 dopo che all'All Star Game aveva affermato di avere "ancora almeno 3 anni di grande basket e di voler vincere almeno due titoli." Numeri a parte, l'effetto che il giocatore ha avuto sui compagni è stato fenomenale.
Come l'energia che Damon Jones, Hudonis Haslem, il recuperato Rasual Butler e Kenion Dooling hanno messo per tutto l'anno diventando i "segreti di Pulcinella" di quelle 59 vittorie e due serie di playoffs spazzate contro New Jersey e Washington.
Detto questo, non è possibile chiudere gli occhi sui limiti del gruppo. La stazza complessiva, prima di tutto. Detroit è una squadra grossa, specie fra gli esterni, e lo sta dimostrando anche contro San Antonio. Ma Wade, Damon Jones, Eddie Jones da ala piccola e Haslem al contrario sono apparsi piccolini. Specie quando la mobilità di Shaq in aiuto difensivo è venuta meno. "Nel finale di gara7 - ha detto Van Gundy, criticato per aver sacrificato Dooling per Damon Jones – ho ritenuto di scegliere il nostro quintetto. Damon per tutto l'anno è stato l'uomo che ha fatto funzionare il nostro attacco."
Il "Demone", strumentale con il suo ingresso in quintetto a inizio stagione per la prima striscia di 14 vittorie consecutive di Miami, ha però palesato limiti di ball handling che non vanno di pari passo col play makin' di alto livello. Anche se bisogna riconoscergli di aver affrontato un brutto cliente come Billups con una caviglia distorta che ha richiesto la solita iniezione.
Jones, come Dooling ha un'opzione di uscita dal contratto. La dirigenza non s'è ancora pronunciata, i giocatori dicono di voler rimanere, monetizzando la stagione di livello, aggiungiamo noi. Svenarsi per tenerli entrambi però sarebbe controproducente.
Perché il sistema salariale degli Heat deve tener conto del contratto da rookie di Wade, dell'estensione per Shaq e dell'accordo pesante di Eddie Jones che nei playoffs ha lasciato sprazzi della sua passata grandezza ma, da numero 3, rimane un lusso "undersized".
Semmai Miami dovrebbe guardarsi attorno per trovare qualcosa in ala grande. Perché Haslem ha dato il sangue, i suoi 14 punti con 13 rimbalzi in gara5 con Detroit sono stati magistrali, ma il giocatore ha precisi limiti strutturali. Ed è stato indiretto protagonista del caso Mourning che non ha gradito giocare solo 10 minuti in gara7, 3 nel quarto periodo.
"Alonzo è un campione - ha detto Van Gundy - per lui è più difficile accettare la panchina." Il giocatore, tramite il suo agente, ha fatto sapere di dover valutare l'opportunità d'un ritorno. Anche se il figlio Trey, 8 anni, spinge per rivederlo con quella maglia. Sul campo, sotto il canestro difensivo s'è visto qualcosa di simile al giocatore che fu il protagonista, assieme ad Hardaway, del primo ciclo vincente della franchigia. In attacco siamo molto al di sotto e si è visto nei momenti in cui O'Neal è stato seduto.
Se Zo accetta un utilizzo marginale in stagione regolare per poi salire di livello ai playoffs, tenerlo può avere un senso. Altrimenti la presenza di Shaq è troppo ingombrante per poter tenere anche l'ex Georgetown.
L'obiettivo l'anno prossimo sarà uno solo: vincere. Quello che si è provato a fare quest'anno. Ma non era per forze di cose in agenda.