L’ultimo atto della serie

Grande stagione per la coppia d'oro di Miami…

Come tutti già  saprete, al termine di una gara sette emozionante e combattuta sono i Detroit Pistons a volare in Finale per sfidare gli Spurs, nonostante, secondo tutte le statistiche storiche della Lega, sarebbero dovuti passare gli Heat, avendo vinto la fondamentale gara 5 e soprattutto avendo il vantaggio del fattore campo. Le statistiche, però, sono fatte per essere smentite e alla fine i campioni in carica hanno tirato fuori dal cilindro una prova veramente maiuscola, grazie alla quale si sono conquistati l'accesso alla finalissima NBA, la seconda di seguito per loro.

E allora partiamo, nella nostra analisi, proprio dai vincitori. Detroit ha dimostrato ancora una volta di essere una squadra nel senso più esteso del termine, una squadra che, pur essendosi trovata sotto prima 2-1 e poi 3-2 nella serie non ha mai mollato mentalmente ed ha sempre giocato con grande intensità . L'arma fondamentale a favore dei Pistons è probabilmente rappresentata dalla conformazione del loro roster, dove non c'è una stella di primissimo livello che concentra tutte le attenzioni della difesa e che vuole (e deve) prendersi tutte le responsabilità  nei momenti caldi, ma ci sono vari giocatori di altissimo livello che colpiscono a turno e in modo diverso.

Grazie a ciò, i Pistons non dipendono mai dalla prestazione, positiva o negativa, di un solo giocatore, riuscendo a trovare sempre dei protagonisti diversi anche se quest'anno e in particolare nei playoffs, si è notata ancora di più l'importanza di Rasheed Wallace come uomo fondamentale della squadra, come equilibratore tecnico e uomo, probabilmente, di maggior talento.

I due Wallace hanno tra l'altro avuto il merito di riuscire per lunghi tratti di partita a tenere O'Neal uno contro uno, non obbligando la difesa dei Pistons a dei raddoppi che avrebbero inevitabilemtne creato dei problemi lasciando liberi degli uomini sul perimetro. Ben Wallace, in particolare, si è distinto nella solita serie di partite fatte tutte di difesa, rimbalzi e abnegazione che vengono messe poco in rilievo, anche perché tra l'altro ormai nessuno se ne sorprende più, ma che sono fondamentali per far funzionare la macchina dei Pistons ed in particolare la difesa, visto che gli esterni possono difendere più aggressivamente sulla palla ben sapendo di avere dietro di loro il miglior difensore della lega che copre loro le spalle.

Per quanto riguarda il reparto piccoli, non ha deluso la coppia Billups-Hamilton, ormai super collaudata. Hamilton, dopo una cattiva partenza nella serie, si è riscattato completamente nelle ultime gare, con un ventello anche nella settima partita (22 punti e 11/16 dal campo) e la continua agitazione che provoca nelle difese con il suo movimento senza palla. Billups, dal canto suo, è di fatto il go-to-guy dei momenti importanti, è lui che molto spesso si prende le responsabilità  più gravose negli ultimi minuti della gara ed ancora una volta non ha fatto mancare la sua leadership e i suoi punti.

In vista della Finale è importante soprattutto un uomo, Tayshaun Prince, reduce da una finale della Eastern per lui a due facce: se infatti nelle prime due gare aveva a dir poco dominato la serie sia in attacco che soprattutto in difesa (mettendo seriamente in difficoltà  Dwayne Wade), nel resto della serie ha abbassato il livello del suo gioco, non è più riuscito ad essere una presenza decisiva in attacco, fatto che per Detroit fa tutta la differenza del mondo.

In vista della Finale, i Pistons si presentano, secondo molti, come underdog, come sfavoriti, nonostante siano i campioni uscenti. Se infatti è vero che a livello di quintetto i Pistons non hanno niente da invidiare agli Spurs, i problemi potrebbero nascere nei confronti tra le seconde linee. I campioni della Western Conference, infatti, hanno una panchina lunghissima mentre invece i Pistons si affidano soprattutto ai titolari, come dimostrato dalle partite decisve della serie con Miami dove coach Brown ha di fatto eliminato dalla rotazione Arroyo (in gara 7 DNPCD) e limitato al minimo Campbell, che comunque aveva una sua utilità  in una serie contro Miami e Shaq e ne ha un'altra (molto inferiore) contro gli Spurs e Duncan.

Ma avremo tempo di pensare a queste cose da stanotte, ora facciamo un passo indietro ed andiamo a vedere gli sconfitti di gara 7 con un occhio anche la futuro.

Miami, alla fine, non può far altro che essere delusa dal risultato finale anche considerando il fatto che questa rimarrà  nella memoria come la serie dei se, dei ma e dei però. Che cosa vuol dire? Significa che gli Heat, alla fine della gara e probabilmente per tutta l'estate, si chiederanno come sarebbe andata a finire la finale della Eastern Conference se Shaquille O'Neal fosse stato il vero Shaq e non fosse stato condizionato dall'infortunio alla coscia subìto sul finire della regular season che lo ha evidentemente limitato.

Perché, al di là  di tutte le cose che sono state dette su Shaq, sul fatto che non sia più il giocatore del 2000 e 2001, il centro di Miami é ancora il giocatore più dominante della squadra e della Lega, che ha cambiato il volto della franchigia della Florida in una stagione facendola passare da uno status di contendente per i playoffs ad uno di contendente per il titolo. Perché personalemte, su questa stagione di Shaq, non posso che spendere parole positive visto che, a livello fisico, era apparso tirato a lucido come non lo si vedeva da anni, è sembrato motivato dalla situazione e soprattutto ha dimostrato di non avere problemi a cedere di fatto la leadership nei momenti importanti ad un altro giocatore una volta che questo gli abbia mostrato un minimo di rispetto.

L'altro se della serie per Miami, quello che più di tutti tormenterà  i sonni di giocatori, allenatori e dirigenti, è quello che riguarda Dwayne Wade. Perché non si può non pensare che quell'infortunio occorso al migliore giocatore della squadra proprio sul finire della serie e in un momento in cui tra l'altro gara 5 era già  abbondantemente nelle mani della sua squadra, abbia sicuramente cambiato tutto. E' vero che Wade era in campo nell'ultima e decisiva partita ma altrettanto vero è che non si può certo dire che fosse nelle condizioni migliori, anche considerato il fatto che è potuto scendere in campo solo grazie a due punturoni di antidolorifico prima della partita.

L'infortunio di Wade ha di fatto obbligato Miami ad impostare gara 6 come una partita di passaggio verso l'ultimo match e in gara 7 Wade ha sì giocato bene, ma lo ha fatto solo per tre quarti di gara (12 punti nel solo terzo periodo dove aveva creato non poco scompiglio nella difesa avversaria), lasciando di fatto la contesa negli ultimi e decisivi dodici minuti.

In gara 7 gli Heat sono inoltre stati traditi da quella che, nel corso della stagione, era sicuramente una delle loro armi più importanti, il tiro da tre (12.8%) ed in particolare quello dei piccoli sugli scarichi di Shaq. E quando parliamo di Miami e tiro da tre, facciamo chiaramente riferimento al supporting cast, in particolare a Damon Jones che ha toppato le ultime partite della serie, lui che invece, con le sue qualità  balistiche, avrebbe potuto sbloccare l' attacco degli Heat.

In Gara 7 dove Shaq era tornato ad essere dominante (tra l'altro prima gara sette persa dal numero trentadue nella sua carriera e seconda serie persa consecutivamente contro i Pistons), segnando 27 punti e più in generale tornando ad essere una presenza in post-basso, il reparto dietro di Miami avrebbe dovuto sfruttare ancora di più lo spazio concesso. Infatti, vista la pericolosità  di Shaq, la prima necessità  di Miami era rappresentata dalla possibilità  di aprire il campo con i tiratori, strategia che non ha funzionato a causa delle pessime percentuali.

In vista della prossima stagione, però, gli Heat non possono che essere soddisfatti, avendo comunque uan squadra di alto livello che è andata a sei punti dalla Finale NBA. Probabilmente bisognerà  fare qualche cambiamento nel settore lunghi, dove i soli Alonzo Mourning e Udonis Halsem (un'altra doppia doppia per lui che tra l' altro é in scadenza di contratto) hanno dimostrato di essere affidabili, mentre invece si sono alla lunga rivelate inutili le aggiunte di Doleac e Laettner.

Nel backcourt c'è probabilmente bisogno di aggiungere un' altro tiratore affidabile e trovare un playmaker ragionatore che riesca a togliere a Wade l'incombenza di portare avanti la palla e a controllare il ritmo e la squadra in determinate fasi della partita.

Questi però sono discorsi futuri, a questo punto non resta che fare in complimenti agli Heat per una stagione comunque di alto livello e aspettare di vedere all'opera i Pistons nella loro seconda finale NBA consecutiva, nella quale arrivano da campioni in carica. Ci si rivede all'SBC Center di San Antonio.

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