Steve Nash alza il Maurice Podoloff Trophy
Ma come? Bianco, basso, magro, capellone e no-global? E se non bastasse, persino canadese? Ebbene sì, il vincitore del premio di MVP della stagione 2004/2005 è Steve Nash, Playmaker nel vero senso della parola, dai capelli arruffati e dall'orientamento politico ben definito che, uscito nel '96 da Santa Clara, non era certo atteso ad imprese di tali proporzioni. La lotta quest'anno è stata molto agguerrita, ed ha visto sul palco numerosi protagonisti, pronti a contendersi il Podoloff con punti, assist e leadership. Ecco i primi 10 della classifica:
1) Steve Nash (1066 punti): Oggetto di uno dei più discussi movimenti di mercato della passata estate, Steve ha disputato una stagione assolutamente incredibile, che ripaga i dirigenti dei Suns del sacrificio fatto per lui. Con 15 punti e più di 11 assist a partita, il canadese ha condotto per mano Phoenix al miglior record della Lega, con una determinazione ed un carisma che raramente si erano visti nelle sue passate stagioni a Dallas. Persino ai playoff, dove nelle stagioni scorse aveva sempre mostrato un evidente calo d'intensità , Nash non ha rallentato il ritmo né ha modificato lo stile del suo gioco che, se possibile, è addirittura migliorato, tanto da portare una rosa non certo di primissimo livello alla finale di Conference, dove è stata però costretta ad arrendersi alla incontestabile superiorità degli speroni di San Antonio. Ciò che resta è una stagione da sogno, che lo inserisce di diritto nell'elite dell'NBA, della quale non molti (compreso me) pensavano potesse far parte. Le strisce di gare consecutive in doppia-doppia per assist, l'effetto avuto sui disastrati Suns della passata stagione, il record della squadra in sua assenza, sono tutte motivazioni che giustificano ampiamente la sua elezione a miglior giocatore della Lega.
2) Shaquille O'Neal (1032 punti): La differenza di 34 punti che separa i primi due classificati è il quarto minor margine nella storia di questo trofeo, ed è ampia dimostrazione dell'equilibrio e della difficoltà di scelta. Anche in questo caso, le motivazioni vanno oltre i meri dati statistici, peraltro di tutto rispetto, e vanno identificati nella trasformazione dei Miami Heat da mina vagante a contender. Con la sua immane presenza fisica e tecnica a centro area, O'Neal migliora il gioco dei compagni ed eleva il livello della propria squadra. Basti guardare le statistiche di Damon Jones o Haslem, tanto per fare due nomi. Dopo lo scambio che lo ha portato in Florida, Shaq ha preso sotto la sua ala protettrice quello che probabilmente sarà il futuro della franchigia, Dwyane Wade, e ha costruito con lui una squadra concreta, che ha come obiettivo l'anello. Dovesse davvero farcela, a Hollywood non sarebbero molti i sorrisi, e quelli che volevano lui come vincitore di questo trofeo, avrebbero una ragione in più per recriminare.
3) Dirk Nowitzki (349 punti): In molti pensavano che la partenza del suo amicone Nash verso il deserto dell'Arizona avrebbe abbassato notevolmente il livello del suo gioco e, di conseguenza le sue statistiche. L'ala da Wurzburg ha invece assunto, se pur malvolentieri, il ruolo di leader nel movimentato spogliatoio dei Mavs e ha giocato per tutta la stagione una pallacanestro d'attacco semplicemente paradisiaca, fatta di penetrazioni e tiri dalla lunga, con una tecnica e uno stile unici anche in questa lega. In attacco un sicuro MVP, ma in difesa?
4) Tim Duncan (328 punti): Non poteva certo mancare il giocatore dai fondamentali migliori di tutta la NBA. Il suo livello di gioco è talmente alto sui due lati del campo, che anche in una stagione nella quale Popovich ha deciso di utilizzarlo per poco più di 30 minuti a gara, Duncan riesce comunque ad essere dominante e decisivo. I suoi numeri (bugiardi) sono i peggiori della sua carriera, ma come si fa a non votare uno così?
5) Allen Iverson (240 punti): Per un po' è stato persino il lizza per la vittoria, e il quinto posto non sembra dare il giusto merito a una stagione che ha visto Iverson mostrare una maturità inaspettata. Quasi mai (per le sue abitudini) fuori dalle righe, The Answer ha cercato di coinvolgere maggiormente i compagni, e i quasi 8 assist a gara ne sono un'evidente dimostrazione, senza però rinunciare a quello stile di gioco che ne fanno uno dei più pericolosi attaccanti dell'intera NBA. Tutto questo condito dalla solita voglia e dal solito cuore da uomo in missione. È riuscito anche questa volta nell'impresa di portare i suoi Sixers ai playoff, salvo poi doversi arrendere ai campioni in carica.
6) Lebron James (93 punti): Il finale di stagione ha sicuramente riportato con i piedi per terra Il predestinato e il suo crescente gregge di fans che già volavano verso la storia. La bruciante mancata qualificazione alla post-season ha contribuito a far perdere a Lebron quei voti che fino alla pausa per l'ASG sembrava aver catturato, giocando una pallacanestro di puro talento offensivo. La sua capacità di segnare in qualsiasi modo, di coinvolgere i compagni, di caricarsi la squadra sulle spalle a soli 20 anni ha sbigottito persino i più ottimisti, che già lo paragonavano ai più grandi. Andiamoci piano però, James deve ancora giocare un solo minuto di playoff e deve ancora capire che la difesa non è solo per gli stupidi e gli scarsi. MVP? Magari fra qualche anno.
7) Tracy McGrady (44 punti): Solo quel finale di gara contro gli Spurs agli inizi della Regular Season, meritava qualche punticino, in quanto manifestazione della disarmante facilità con cui T-Mac sembra giocare a basket. Stagione discussa e discutibile la sua. Il talento c'è, l'intesa con Yao a tratti, la leadership sicuramente no. Se solo fosse più cattivo, se solo attaccasse di più il canestro, se solo" i "se" cominciano a diventare un po' troppi.
8) Dwyane Wade (43 punti): Probabilmente la vera sorpresa ad alto livello di quest'anno. Se il finale della passata stagione aveva fatto intravedere un futuro roseo per l'allora rookie da Marquette, il giocatore che Wade è adesso supera le più ottimistiche previsioni. Al secondo anno l'amicone di Shaq ha fatto registrare 24 punti, quasi 6 assist e 5 rimbalzi a gara, aggiungendoci al tutto una determinazione e una fiducia nei propri mezzi che hanno dell'irreale. C'è chi, a bassa voce, sostiene che il vero leader di Miami sia proprio questo qui. Se non avessi paura di essere blasfemo, sarei quasi portato a dargli ragione.
9) Ray Allen (41 punti): Se Seattle ha vinto la Northwest Division con 52 vittorie, buona parte del merito è da attribuire alla guardia con il 34. Si spiega in questo modo la presenza in questa classifica di Allen, che ha preso per mano i suoi Sonics e con un gioco totale su 28 metri li ha portati fino al secondo turno dei playoff, nel quale hanno dato filo da torcere ai favoriti assoluti per la conquista del titolo: gli Spurs.
10) Amare Stoudemire (41 punti): Le statistiche di Stoudemire sono da capogiro se si parla di uno che ha appena 22 anni, e se si considera che sono in costante aumento dalla sua stagione da rookie.
Quest'anno Amare è apparso a tratti dominante, ma le sue partite in contumacia Nash hanno mostrato come le sue straripanti doti atletiche siano notevolmente aiutate dalle visioni del canadese. MVP o non MVP, la sua stagione è a dir poco da incorniciare, e i suoi margini di miglioramento sono talmente evidenti, che per lui si scomodano già paragoni illustri.
Gli altri che hanno ricevuto voti sono:
Kevin Garnett: Ha disputato una delle peggiori stagioni della sua storia recente e ha fatto registrare 22.2 punti, 13.5 rimbalzi e 5.7 assist. Ma questo qui cos'è?
Gilbert Arenas: I Wizards ai playoffs, basta?
Vince Carter: Dal suo approdo ai Nets, sicuro candidato a MVP. Ma a Toronto, Vince?
Marcus Camby: Ottimo giocatore, sicuramente un fattore. Avrà qualche amico giornalista.
PJ Brown: Affettuosissimo padre di famiglia.
Shawn Marion: La stagione dei Suns è talmente incredibile che ci può anche stare.