estate di lavoro per i fratelli Maloof…
Fuori al primo turno contro Seattle; come nel 1995. Allora il leader dei Kings era Mich Richmond. I Supersonics erano la squadra che avrebbe rotto l'incantesimo dei playoffs per volare in finale contro i Bulls. E' passato tanto tempo. Tanto quanto sembra esser trascorso nell'ultimo anno dei Kings. Basta tornare infatti all'ultimo novembre per trovare una situazione completamente differente. Sembra passato un secolo.
Bibby, Mobley, Stojakovich. Thomas e Miller hanno cominciato gara5 alla Key Arena. Questi cinque giocatori avevano, prima di allora, giocato solo 3 partite assieme. In realtà quel giorno s'è chiusa la prestagione dei Kings. Che ora entrano nella loro estate calda.
E' tempo di decisioni. E non, come ha annunciato perentoria Aileen Voisin qualche giorno dopo l'ultima partita sul "Bee", di assumere Phil Jackson.
E' ora di guardare alla realtà e decidere cosa fare di questo gruppo. Ammesso che si possa valutare giocatori che sono scesi in campo senza la minima familiarità e conoscenza reciproca. Ammesso che sia giusto valutare un Bibby, chiaramente condizionato dalla mancanza di energie che aveva profuso e nella stagione regolare. Oppure un Bobby Jackson, orgoglioso, ma senza punti e del tutto inefficace nelle ultime due gare.
L'alleanza d'acciaio Geoff Petrie da poco si è sottoposto a un'operazione per rimuovere l'occlusione d'un arteria. Non sappiamo quanto sangue cattivo si sia fatto dall'All Star Game in avanti. "Ci prenderemo un po' di tempo per fare valutazioni - ha detto a caldo, subito dopo l'eliminazione - e poi cambieremo qualcosa." Un dichiarazione forte ma, per certi versi, scontata.
La scelta riguardo all'allenatore sembrava già fatta: Rick Adelman ha il contratto anche per il prossimo anno. L'ex Portland ha sposato in toto il progetto "Princeton" che è una visione della pallacanestro prima ancora che uno schema offensivo. Petrie è legato a Carril. Carril è così legato a Petrie da rifiutare un assistentato a Boston, sulla costa est. E' chiaro che coach Pete avrà il posto finchè lo riterrà opportuno. Non avrebbe quindi senso un cambio sulla panchina, mantenendo membri dello stesso staff.
La scelta è oltremodo condizionante perché sviluppare il gioco richiesto negli ultimi anni servono giocatori di un certo tipo. Posto che non vedremo più le sciccherie del 2002, la domanda cui Petrie dovrà implicitamente rispoondere è: può questo gruppo di giocatori, cominciando a lavorare dal training camp, ripercorrere quel sentiero con maggiore profitto?
Poi è venuta fuori l'ipotesi Phil Jackson: "Siamo molto interessati", ha detto Jerry Reynolds, il responsabile del personale tecnico. Joe Maloof ha incontrato Todd Mussburger, agente del coach, ma non ha voluto parlarne. Adelman sa, come ha imparato a sue spese Rick Carslile che se c'è la possibilità reale di prendere un Jackson o un Larry Brown nella Nba ci si muove. La parola chiave è reale: secondo la solita Voisin, che ha chiesto apertamente la cacciata di Adelman, l'ex Lakers avrebbe parlato bene in passato dei Maloof e della zona di Sacramento. Il vostro redattore era fermo al "vaccari semicivilizzati" del 2001. Però posso aver perso qualche puntata.
Al di là delle domande che ci siamo appena posti, non vediamo quali siano le colpe specifiche del coach: si può decidere di cambiare registro dopo tanto tempo. E' legittimo. Ma la cacciata è fuori luogo.
L'ammissione "Siamo troppo soft", ha commentato al termine di gara5 un anonimo dei Kings. Lo dobbiamo aver già sentito e il limite è venuto fuori in modo persino imbarazzante in gara4 all'Arco Arena "Quando hanno alzato l'intensità - ha detto Adelman - s'è spenta la luce." In quel secondo tempo i Kings hanno segnato 34 punti.
Se fino all'anno scorso l'approccio contemplativo era il prezzo da pagare per vedere in campo Divac e Webber, da quest'anno la scusa non vale più. "Qualche volta - ha commentato lo stesso anonimo - nella Nba bisogna mettere in discussione il corpo, bisogna buttarsi, sbucciarsi le ginocchia" Di certo ci si poteva aspettare qualcosa di meglio da Brian Skinner, peraltro utilizzato col contagocce, Greg Ostertag e Kenny Thomas. Il gruppo dei nuovi si è adeguato al clima da country club, non l'ha cambiato.
Torna quindi alla mente l'altra squadra vincente di Rick Adelman: quei Portland Trail Blazers che persero due finali in tre anni. Anche loro spiccavano per il talento di Drexler e Porter, per la versatilità del giovane Cliff Robinson. Però nel gruppo c'era Buck Williams, c'erano Danny Ainge e Kevin Duckworth coi suoi blocchi di pietra.
Qui per un po' di durezza possiamo chiamare in causa i soliti Jackson e Miller. Tutti e due in precarie condizioni. Ad Adelman quindi non è rimasto che lamentarsi del gioco "sporco" di James e Fortson. Anche perché la scintilla della cattiveria agonistica non verrà certo da lui che, per gridar dietro ai suoi giocatori nell'intervallo della gara di stagione a Cleveland, s'è fatto violenza.
E allora torna la domanda di prima: vogliamo davvero provare a riproporre quel basket, sapendo che non ci verrà più così bene?
Mike&Peja Esser soft non significa solo non sudare o non difendere. Può voler dire anche essere poco efficaci in attacco quando conta e la difesa avversaria morde. Le prime di gare di Seattle sono state le caporetto dei titolari. Poi è venuta la già citata gara4 in cui Predrag Stojakovic, tanto per dirne uno, nel quarto periodo ha fatto 0 su 3, dopo il 10 su 15 dei primi tre periodi. Tre tiri nel quarto periodo significa sparire. Se possibile un passo indietro rispetto alla gara7 dello scorso anno. Oppure a una qualsiasi prestazione controversa del serbo nei playoffs.
Ricordare che Ray Allen in quella gara ne ha messi 45 non significa rimpiangere implicitamente chi lo poteva fermare: Doug Christie tra fascite plantare e turbe esistenziali a Orlando è quasi sparito. Significa dire che i giocatori determinanti ce li hanno gli altri. Anche perché la "sindrome serba" ha colpito Bibby: 0 su 6 nel quarto periodo di gara4 e una sola reale partita da Bibby in gara3 con 31 punti.
A ben guardare però, puntare il dito su questo o quel giocatore non sarebbe la cosa più giusta; i Kings hanno giocato bene la metà dei quarti a loro disposizione. Come una squadra in cui i giocatori non sanno bene cosa aspettarsi gli uni dagli altri.
Il futuro prossimo Il ritornello della dirigenza dal giorno dello scambio per Webber ha puntato sulla parola flessibilità . Il primo effetto sarà l'uscita dal suo contratto di Cuttino Mobley. Petrie ha già fatto sapere di voler tenere Bobby Jackson, un giocatore il cui peso in squadra è largamente superiore a quello che ha dato negli ultimi anni.
Si tratterà poi di decidere cosa fare di Darius Songaila.
Dal giorno della grande trade il record della squadra in regular season è stato di poco superiore al 50%. Con l'aria che tira nella Western Conference, con Minnesota e Los Angeles Lakers che, per forza di cose, tenteranno decisamente di tornare alla post season, non si può stare così tranquilli.
Dovrà passare un po' di tempo per capire le reali intenzioni della dirigenza. Che però qualcosa deve fare.
Riproporre lo stesso gruppo e lo stesso staff tecnico significherebbe un'implicita accettazione di mediocrità .