Reggie Miller segna il canestro decisivo nel finale di gara 3 tra Pacers e Pistons
Conseco Fieldhouse: impianto nuovo, ma costruito secondo i canoni e lo stile delle vecchie e gloriose arene di una volta, con mattoncini rossi a vista a farla da padrone. Anche la serie tra Pacers e Pistons è nuova di zecca quest'anno, ma sta ritornando alle care (?), vecchie abitudini di una volta: punteggi bassi, percentuali misere, grandi botte di intimidazione da una e dall'altra parte, difese al limite, e in generale un sapore di basket antico, forse addirittura da era pre orologio dei 24 secondi.
Le prime due gare della semifinale della Eastern Conference erano sembrate infatti in controtendenza, con punteggi sopra i 90 e percentuali accettabili, che sforavano anche addirittura negli “anta”….
Ma alla Conseco, tutto come prima. Gara 3 finisce infatti con il punteggio di 79-74 per i padroni di casa, che vincono pur tirando peggio degli avversari dal campo (36,1 contro 36,9%, e se volete vedere i canestri girate su Spurs-Sonics, please), lasciando agli avversari 13 punti in contropiede e segnandone 8 (e se volete vedere la gente correre sintonizzatevi su Suns-Mavericks), perdendo la battaglia a rimbalzo 40-42 e nelle assistenze 15-17 (e se volete la logica dei numeri siete pregati di cambiare il canale su Heat-Wizards).
La serata inizia con un ospite d'eccezione: David Stern. L'avvocato ebreo che nei ritagli di tempo comanda la baracca ha già avuto a che fare con Indiana quest'anno, e i tifosi di Indianapolis sembrano ricordarsene, ma non per mandare bigliettini di auguri: nonostante non venga mai inquadrato dai maxischermi dell'impianto (Orwell sarebbe stato molto soddisfatto), il pubblico lo nota, anche perchè è circondato da uno stuolo di bodyguard. La valanga di “boo” è automatica, quasi quanto l'applauso per Reggie Miller, che ritorna nel “suo” palazzo dopo le incaute frasi dei Celtics che gli pronosticavano invece un “a mai più rivederci”.
La partita comincia con quei ritmi che indicavamo prima: lenta, stagnante, dura, e con pochi canestri, soprattutto da parte dei Pistons, che non riescono neanche a tenere il ritmo di un punto al minuto chiudendo a quota 11 (contro i 17 dei padroni di casa, che pure erano ancora a 0 dopo i primi 4 minuti!). Nel secondo quarto le cose si vivacizzano un po' per Indiana, che arriva addirittura a segnarne 25, mentre Detroit continua a spadellare (ad un certo punto del secondo quarto i ragazzi di coach Brown avevano 10 palle perse e 6 canestri dal campo!) e si ritrova sotto all'intervallo 42-28.
Terzo quarto sostanzialmente equilibrato, nel quale ancora una volta i fuochi d'artificio vengono tenuti ben nascosti, e con un rapido fast forward arriviamo ai momenti decisivi. Nel quarto periodo Detroit rimonta, grazie ad un break favorito dai canestri di Richard Hamilton (che ha comunque ancora un polpaccio dolorante) e Tayshaun Prince. Billups e Rasheed si risvegliano per un attimo, ed improvvisamente è +1 Pistons con un minuto e mezzo da giocare.
Com'è che lo chiamavano questo? Miller Time!
Reggie, che fino ad allora era stato freddo come il ghiaccio, cerca di aprire nuovi orizzonti al concetto di “clutch player”: subisce un fallo da Hamilton, il sesto di quello che lo stesso Miller aveva soprannominato “Mini Me”. I due liberi vanno ovviamente a segno. In difesa prende un rimbalzo e subisce un altro personale di Lindsey Hunter, con un altro ovvio 2/2 dalla linea. Dopo uno scambio di 2 punti tra Foster e Rasheed, siamo sul +3 e palla per Indiana con 31 secondi da giocare. I Pacers sanno che segnare vuol dire mettere un'ipoteca sulla partita, Detroit deve difendere e sperare di avere l'ultimo tiro per il pareggio. La palla? Va a Reggie Miller, ovviamente.
Isolamento sul lato contro Hunter, Reggie cerca l'entrata in palleggio, poi col braccio esterno sposta Hunter, che finisce per le terre, mentre il numero 31 si alza indisturbato dai 6 metri. Solo rete: game, set and match per i Pacers.
Nel commento post gara coach Larry Brown è infuriato con gli arbitri: “
Guardatevi il filmato, Reggie ha messo un gran tiro, ma com'è che era così libero? Io lo dico sempre: i grandi giocatori fanno grandi giocate, ma quando non segni dal campo negli ultimi 7 o 8 minuti, spiegatemi come si fa a vincere tirando solo dalla lunetta. Preferisco perdere sbagliando i nostri tiri piuttosto che vincere segnando tiri liberi come loro”.
Parole pesanti, che non saranno certo sfuggite al commissioner, e che sicuramente faranno recapitare sul tergicristallo di Brown una pesante multa firmata Stern (soprattutto dopo l'affaire Van Gundy).
Sull'altra sponda Rick Carlisle non ci sta, e vuole difendere i suoi: “Sono d'accordo con quello che ha detto Larry: sono i giocatori che dovrebbero decidere le partite. Ed è andata esattamente così: gli arbitri hanno lasciato che Reggie prendesse un tiro difficile, lui lo ha messo. Si poteva chiamare fallo in attacco, ma magari era un flop di Lindsey, ci stavano entrambi i fischi, oppure niente. Loro hanno tirato più liberi, a noi sono stati fischiati più falli. Dopo la stagione che abbiamo passato, non voglio sentire che abbiamo vinto solo grazie a quell'azione”. Il tutto pronunciato con un trasporto emotivo che denota quanto davvero il coach dei Pacers ci tenga a difendere i suoi e la loro vittoria.
Molti non condividono l'analisi di Brown, e pesano che i problemi di Detroit siano altri. Ben Wallace (ancora una volta improduttivo, dopo una grande gara 1 ha segnato 10 punti totali nelle altre 2) non fa tanti giri di parole: “Dobbiamo smetterla di parlare e cominciare a giocare”.
La sensazione è che quest'anno coach Brown si fidi molto meno della sua panchina. Ora, che Donnie Darko Milicic non avrebbe combattuto con Iverson per il primato di minuti in campo lo si sapeva (nei playoff il numero 3 di Phila è stato in campo per 47,6 minuti di media a partita!), ma in questa gara 3 ha utilizzato 7 soli uomini, regalando un DNPCD a gente come Elden Campbell (decisivo l'anno scorso nella turnazione dei lunghi contro Shaq), Ronald Dupree (a nostro avviso buon giocatore, soprattutto in difesa) e Arroyo, che non sarà l'epitome del playmaker ragionatore, ma che in una squadra che segna 74 punti potrebbe portare un po' di fantasia in più in attacco.
I Pacers continuano la loro fantastica corsa, sempre nel segno degli “underdog”, della squadra sfavorita. Lo fanno giocando davvero di squadra, con giocatori che a turno si prendono responsabilità e danno un contributo, in attacco e in difesa. Questa volta è stata la volta di Miller, di Jamaal Tinsley (16 punti e 6 assist) e di Jeff Foster (ancora una volta in doppia cifra e decisivo a rimbalzo, 12), e nonostante le serate storte di Jermaine O'Neal e Stephen Jackson, eroi in altre occasioni.
Una vera squadra, insomma. Proprio come ai vecchi tempi, quando i palazzetti avevano ancora i mattoncini rossi a vista.