Reggie Miller: sono i suoi ultimi playoff, ma il “ragazzo” non sembra emozionato
L'esordio della serie tra Pacers e Celtics alla Conseco Fieldhouse continua a sorprendere: questa gara 3 è sembrata per molti versi la fotocopia speculare dai gara 1 a Boston. Indiana gioca con più voglia, più intensità e più cuore, impone il proprio ritmo, beneficia ancora di una splendida partita del ragazzino di 39 anni, ha un grande contributo dalla propria panchina, tira molto meglio dei suoi avversari e piazza nel secondo quarto un 31-19 che virtualmente chiude la partita (“risvegliata” solo nel quarto quarto dal raptus di Antoine Walker).
Ancora una volta il mattatore è stato Reggie Miller, autore di 33 punti con addirittura il 62% dal campo (10/16) e 11/12 dalla lunetta. Jermaine O'Neal sembra apprezzare l'aria di casa: 21 punti e 11 rimbalzi per lui, per lo più con tiri in allontanamento o piazzati dalla media – evidentemente quella spalla destra è ancora parecchio lontana dal garantirgli un rendimento al 100%. Ma è stata tutta Indiana a giocare meglio, facendo circolare benissimo la palla (23 assist finali, 16 dei primi 20 canestri dei Pacers sono arrivati su assistenza di un compagno), tirando in maniera discreta, e soprattutto difendendo bene contro una squadra che comunque pare in crisi di identità .
Qualcuno forse ricorderà una famosa serie tra Celtics e Lakers del 1984 nella quale, dopo un -33 subìto da Boston in gara 3, Larry Bird definì i suoi compagni con l'epiteto di “sissies”, e ad un giornalista che gli chiedeva di cosa aveva bisogno la squadra biancoverde rispose con un memorabile “Dodici trapianti di cuore”.
Ora, non siamo probabilmente ancora arrivati ad una situazione tanto grave dopo questa gara 3, ma fa impressione vedere come sia calata l'aggressività bostoniana dopo una prima partita nella quale i ragazzi di coach Rivers sembravano avere un vantaggio in termini di fisicità , freschezza atletica, energia (oltre ad avere in mano le chiavi tecnico-tattiche della serie) difficilmente colmabile da una squadra come i Pacers piena di giocatori infortunati, a mezzo servizio, squalificati, prossimi al ritiro o limitati tecnicamente per poter far male.
Rispetto a gara 1 si sono persi Raef LaFrentz e i giovani della squadra, i vari Tony Allen, Delonte West, Al Jefferson e Marcus Banks (in cinque hanno combinato per 16 punti in 88 minuti con 6/19 dal campo).
Alcuni difensori ad oltranza sostengono che, avendo Boston un nucleo di giocatori molto giovani, è normale che il rendimento della squadra non sia il massimo della continuità . Quelli che dovrebbero dare l'esempio sono allora i senatori della squadra: Pierce ha giocato benino (19 con 7/13), ma non sembra avere le doti di leadership per trascinarsi dietro la squadra anche in una giornata storta, Payton, che leader a Seattle lo era e per davvero, ha probabilmente perso la capacità di dominare una partita in campo, e spesso si limita all'ordinaria amministrazione, mentre Antoine Walker…
Con 4 minuti da giocare sul 69-86 per Indiana e partita dunque ormai finita, Jermaine O'Neal va dentro con la palla. Il numero 8 dei Celtics fa calare la mannaia e commette un brutto fallo sulla stella dei Pacers. I due si scambiano qualche complimento, Walker spintona O'Neal e si becca una grande T: la seconda della partita per lui, quindi con automatico provvedimento di espulsione e rimpatrio negli spogliatoi della Conseco. A questo punto “The Genius” (mai virgolette furono usate più a proposito) tenta di protestare inseguendo Bennett Salvatore, il giudice del decreto di cui sopra, ma tra di loro si frappone l'altro arbitro Tom Washington, che viene non tanto garbatamente invitato dal Walker a farsi da parte, in senso figurato ma soprattutto letterale.
Mettere le mani addosso ad un arbitro non viene mai visto di buon occhio dalla Olympic Tower, e ora i Celtics temono che per Antoine possa anche arrivare una sospensione per qualche partita. Nel dopo partita, a domada specifica dei giornalisti, Walker ha risposto testualmente: “Next question”, affermando poi che non era successo niente e che sono cose che capitano. Atteggiamento un poco strafottente e pericoloso, soprattutto quando si ha a che fare con Stu Jackson e David Stern, che quest'anno hanno già visto abbastanza alterchi in campo (e fuori…) e dimostrato di volerli punire in maniera esemplare.
Per i Pacers c'è la soddisfazione di essere riusciti a rimettere in piedi la serie di puro cuore, con una coesione di squadra davvero encomiabile e ascrivibile probabilmente al lavoro di Rick Carlisle e del suo staff. Sono avanti 2-1, con un'altra partita in casa sabato notte e il morale alle stelle, guidati da un giocatore che ha sempre alzato il proprio livello di gioco nella post season come pochi altri hanno saputo fare nella storia del Gioco (Jordan, West, Bird, e poi sinceramente non ce ne vengono in mente altri) e che non sembra voler smettere.
Se davvero (ma davvero?) questi sono i suoi ultimi playoff, Reggie sta facendo di tutto per farcelo rimpiangere: leadership, carisma, esperienza, classe, e proprio nel momento decisivo, quando la sua squadra in difficoltà aveva più bisogno di lui. La categoria dei “vincenti” non può e non deve includere solo chi ha un anello di campione NBA al dito: del gruppo fa parte, a pieni voti, anche Reggie Miller.