NBA: Playoffs in vista

Shaq ha dimostrato di saper spostare, da solo, gli equilibri della Lega

La stagione in corso ha presentato motivi di interesse sulla importanza dei giocatori-franchigia, quegli atleti che, con la loro sola presenza, rendono una squadra da playoff e in qualche caso anche seria contendente al titolo.

L'MDP, Most Dominant Player per eccellenza, come lui stesso si è definito, The Big Aristotele o The Diesel, come viene anche chiamato, è l'esempio migliore di questa categoria: basta che si sposti dai Lakers agli Heat perchè i primi perdano (al momento sembra così) l'accesso ai playoff ed i secondi diventino automaticamente i candidati principali a ostacolare il primato dei campioni del mondo di Detroit ad Est dell'America.

Così, senza bisogno di una stagione troppo affaticata, ma secondo standard qualitativi elevati, esplodono Wayde ed Haslem, un Eddie Jones in passato eternamente deludente rispetto alle proprie potenzialità  e persino un Damon Jones che era sempre stato considerato in precedenza niente altro che un tiratore da 3 punti.

Il tassello Mourning, poi, sarà  fondamentale per la tenuta di questo team ai playoff, così come l'esperienza di Laettner. Se Alonzo regge, anche su livelli non paragonabili a quando era un giocatore in salute, ma semplicemente timbrando il proprio cartellino di intimidatore e stoppatore, rimbalzista e magari con qualche punto sotto le plance, O'Neal avrà  quel ricambio di cui ha bisogno nei playoff moderni, nei quali le partite delle serie si alterneranno a ritmi frenetici di una ogni 2 o 3 giorni.

Quanto alle qualità  di Wade, nessuno più ha dubbi sulla sua maturità  di gioco, anche nei playoff, già  dimostrata nella scorsa stagione accanto ad Odom, Grant e Butler, e sulla sua leadership in tandem con il pivot dominante. L'unica incognita resta dunque solo Mourning, dopo di che questa franchigia potrà  garantirci semifinali e finali di conference da tremare contro Detroit.

I campioni del mondo, dal canto loro, non sono esattamente la squadra dello scorso anno, malgrado abbiano mantenuto immutato il quintetto. Sono sicuramente più oliati nei meccanismi di attacco, che oggi rendono più fluido il loro gioco del “do the right thing”: Hamilton fa molti più assist, Billups e Rasheed hanno meno bisogno di tirare da soli la carretta in attacco, mentre Prince è cresciuto come realizzatore.

In più, un McDyess in una forma che non si vedeva da tempo, un Campbell sempre grosso rimpiazzo e un Arroyo attaccante di razza, imprevedibile come tutti i latinoamericani, rendono questa squadra assai temibile in attacco. C'è però qualcosa in meno rispetto allo scorso anno ed è la fame di vittoria e l'umiltà  tipica della squadra di gregari, che fece la fortuna di questo team la scorsa stagione, soprattutto per la vocazione al sacrificio difensivo che determinò la vittoria finale e l'annullamento di Kobe Bryant come attaccante.

A questo pericolo potrà  porre rimedio solo coach Brown, predicando basket come solo lui sa fare. C'è da fare una similitudine, a questo punto, con il gioco di coach Popovich, che di Brown è discepolo, e degli Spurs. Questi sono accreditati come i più seri candidati al titolo, con uno squadrone di ben 12 possibili titolari, coperto in tutti i reparti e con una stella di prima grandezza come Duncan, ma per costoro, come per i Pistons, c'è sempre alle porte un possibile intoppo.

Mi riferisco a quei momenti di gap a cui vanno soggette le squadre troppo organizzate come Pistons e Spurs, con allenatori troppo punitivi che pretendono sempre il rispetto del proprio playbook, senza improvvisazioni nè cali di tensione in difesa.

Non è raro in squadre del genere che all'improvviso si smetta di segnare per lunghi minuti, affannandosi solo a difendere, anche se, come ha recentemente ribadito Dan Peterson, una buona difesa nasce da un buon attacco: se un giocatore tira fuori equilibrio o la squadra si sbilancia perchè nessuno riesce a segnare, c'è il rischio di subire un contropiede.

In tale prospettiva, l'eventualità  di una finale Spurs – Pistons, attualmente tra le più attendibili, potrebbe nuocere molto allo spettacolo del gioco, fondamentalmente simile, e peraltro in entrambi i team spesso poco portato all'uso del tiro da tre punti per scardinare le difese troppo chiuse. In questa prospettiva, il solo giocatore in grado di far saltare i delicati equilibri della sua squadra, ma anche di smuoverla nei momenti di stallo offensivo è Manu Ginobili, variante impazzita che un Brown non tollererebbe e che un Popovich sopporta a stento, nonostante le indubbie qualità  offensive e difensive.

Manu è la sola all – star imprevedibile che potrebbe giocare un ruolo decisivo nelle partite più difficili delle serie finali, nelle quali ha già  dimostrato di rendere più che durante i matinèe di campionato.

Poi ci sono le outsider: Phoenix, Seattle, Cleveland. Di queste, le ultime due hanno già  fatto il miracolo ad arrivare ai playoff, ma il loro punto debole, a mio parere, sono le panchine corte. LeBron James non potrà  arrivare, secondo me, oltre la semifinale, specialmente per la scarsa voglia che ha di difendere, anche se la sua capacità  di concentrarsi nei finali è in crescita e Ilgauskas è il secondo miglior pivot ad est dell'America.

Quanto ai Sonics, Allen, Lewis e Radmanovic hanno fin qui realizzato quanto di più non si poteva, mettendo in campo un gioco veloce e piogge di triple, ma dubito che tale gioco porterà  oltre le semifinali di conference, per la mancanza di sostituti in grado di far riposare queste star.

Diverso è il discorso di Phoenix: sarà  la simpatia per D'Antoni e per Nash, sarà  anche la fiducia verso il gioco più europeo, ma penso che quest'anno il play canadese farà  una figura migliore che nei playoff dello scorso anno a Dallas. La squadra è giovane, ma con immenso talento, energie fisiche da vendere e capacità  dimostrate sul campo di rimontare partite in svantaggio.

Stoudamire ha dimostrato di essere un lungo temibile da parte di giocatori anche molto più alti di lui, per la potenza esplosiva dei suoi garretti e per cattiveria e perciò non escluderei anche un accesso in finale di conference.

Poi ci sono altre squadre così e cosà : Dallas, Boston, Houston. Comincio dall'ultima. Tutti noi vorremmo vedere cosa può fare veramente TMac in una finale: l'abbiamo sempre ammirato per il potenziale enorme del suo gioco e del suo fisico, l'abbiamo visto battere da solo San Antonio e vorremmo vedere se in lui può esserci un nuovo Jordan, un giocatore franchigia, uno che si carica la squadra sulle spalle da solo.

La squadra pare in crescita, il gioco pure e McGrady ha trovato il suo posto meglio che ad inizio stagione, ma se Yao Ming, approfittando dell'assenza (probabile, al momento) dai playoff di Garnett e di O'Neal ad est non sale di giri, difficilmente Houston andrà  oltre il primo turno.

Dallas, invece, è sempre un caso a parte. Il potenziale offensivo dell'organico completo è addirittura spropositato: ci sono almeno 8 o 9 giocatori con 20 o più punti nelle mani, ma quasi nessun gregario e pochi uomo squadra, che poi sono la ricetta per vincere i titoli. Di questi, i soli Dampier e Henderson serviranno a raccogliere tutti i rimbalzi della caterva di tiri da fuori degli esterni di Mark Cuban, ma la squadra ha un Nowitzki più maturo ed una sua dimensione difensiva che l'anno scorso era assente.

Da non sottovalutare, secondo me, le seconde linee come Daniels, Howard (se supererà  in tempo l'infortunio) ed Harris e i possibili mutamenti di equilibrio derivanti dalla altalena degli allenatori Nelson e Johnson.

Infine Boston: l'organico di quintetto è capace di un exploit che non stupirebbe nessuno, ma è altrettanto vero che tutti i giocatori che lo compongono hanno sempre deluso nei momenti più importanti della loro carriera: Payton ha perso due finali per il titolo, Walker ha sempre fallito qualche partita di una serie di playoff, Pierce ha regalato alcune vittorie da solo e poi deluso in singoli match decisivi, Davis è un giocatore molto spettacolare, ma dall'andamento altalenante.

Una squadra del genere può andare nel pallone di fronte a difese organizzate come Indiana o Detroit, ma nel basket, si sa, nulla è detto e l'allenatore di Boston ha dimostrato quest'anno che la squadra è tutt'altro che rinunciataria: io comunque la dò non oltre le semifinali.

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