Steve Nash, giocatore di fantasia e intelligenza…
Si sente parlare molto spesso durante le telecronache degli incontri di basket NBA di “intelligenza cestistica”, ma proviamo ad analizzare questa sfuggente definizione ed a confrontarla con l'altra, altrettanto vaga, di “estro” ed “improvvisazione”.
In sintesi, è intelligente nel gioco colui che fa le cose giuste al momento giusto, ma, a ben vedere, questa definizione non aggiunge molto e finisce con lo spostare i termini del problema: quando è il momento giusto?
La soluzione a questi giudizi di valore estemporanei, perchè espressi sul campo, mentre si gioca, è la chiave per comprendere la qualità ineffabile della intelligenza.
Va chiarito che chi è in campo non può vedere con la stessa ottica di insieme il gioco come lo vede l'allenatore, e neppure come uno spettatore competente: egli non può tener conto di molti fattori che invece chi è fuori dal campo registra automaticamente, come la situazione dei falli di compagni ed avversari, la difesa adottata nel momento in cui cambia, lo stato di affaticamento di compagni ed avversari, l'inerzia del momento, le percentuali al tiro di ognuno nella giornata, chi sbaglia in difesa e chi sbaglia in attacco.
Andando al dettaglio, il giocatore che in attacco è intelligente aspetta sempre di essere smarcato, senza forzare un tiro, mentre, se è marcato, adotta un vasto repertorio di finte in modo da smarcarsi e non farsi mai stoppare: l'esempio migliore nella NBA di oggi è Tim Duncan, che non abbiamo mai visto prendere una stoppata, anche perchè tira sempre con le mani tenute molto in alto con le braccia distese.
Timoteo adotta sempre lo stesso ordine logico: prima “legge” la difesa su di lui, poi, se libero, prende la via più breve per il canestro, senza fronzoli o sforzi inutili; se non è smarcato scarica sul compagno libero, ma se stanno scadendo i 24 secondi, oppure occorre rimontare, prima esegue un movimento smarcante, per lo più spalle a canestro, e poi tira a canestro. A leggere questa sequenza, la logica è ferrea e Duncan l'adotta sempre automaticamente.
Poi c'è l'intelligenza nel passaggio, di cui vanno citati due maestri: Magic Johnson e John Stockton.
Il secondo non è stato passatore meno intelligente del primo, anche se non ha mai vinto un anello, anzi, la semplicità ed efficacia dei suoi passaggi, meno spettacolari del funambolico play dei Lakers, resta una vera e propria scuola di pallacanestro per questo ruolo.
Essa comporta la valutazione di vari fattori, come passare al compagno “in striscia”, o a quello che attacca su un avversario già gravato da falli, nell'accelerare o rallentare il gioco a seconda dei momenti e dell'inerzia, nel tenere sempre d'occhio il cronometro e la situazione dei falli di compagni ed avversari, oltre che, naturalmente, nel vedere sempre l'uomo libero e pescarlo col proprio passaggio.
Si distingue il passaggio all'uomo smarcato, da sè o mediante lo schema tattico di attacco, dalla creazione diretta di un pericolo in attacco e di un raddoppio difensivo per poi creare uno scarico sull'uomo libero. Questa seconda tecnica, efficace se ben applicata, richiede però un'intesa molto più spinta tra compagni di squadra ed è sicuramente più rischiosa, poichè lo scarico, per essere inatteso ed imprevisto, va eseguito quasi a memoria e il ricevitore deve aspettarselo in ogni momento.
C'è da dire che quando una difesa è ben chiusa e di squadra, la tecnica dello scarico è praticamente l'unica per scardinare le maglie avversarie. Nell'NBA di oggi solo due nomi si possono citare di passatori assolutamente intelligenti, Kidd e Nash, anche se il secondo appartiene più alla categoria dell'estro che non a quella della intelligenza, se intendiamo con questo termine la logica ferrea.
In difesa, esiste una intelligenza fatta di applicazione, studio delle debolezze dell'avversario, costanza, psicologia di intimidazione, delle quali troviamo vari specialisti, come Bruce Bowen degli Spurs, Trenton Hassell dei Timberwolves, gli stessi Garnett e Duncan, Kobe Bryant, Jason Kidd.
La loro abilità sta nel prendere la posizione in anticipo rispetto ai movimenti di solito adottati dall'attaccante, perchè da lui preferiti, e che si devono conoscere allla perfezione per averli precedentemente studiati, nonchè nello stoppare o nel rubare la palla ogni volta che l'attaccante dimentica di proteggerla per un attimo, in modo da farlo talmente concentrare sul proprio gioco da scordarsi di quello della squadra e non sfruttarne le potenzialità .
A questo punto, ci possiamo chiedere se sia utile o necessario, di fronte a tanta logica, utilizzare l'estro e l'improvvisazione, andando contro ogni regola tattica del gioco. La risposta è sì, ma in piccole dosi e nei momenti giusti. Anche se gli allenatori non vorrebbero mai vedere improvvisazioni contrarie alla logica, esistono momenti in cui la botta di fantasia scardina ogni iniziativa avversaria, proprio perchè inaspettata.
E' opportuno che un giocatore si inventi qualcosa di imprevisto specialmente nelle partite “chiuse”, come spesso avviene nei play – off, con le difese schierate, i compagni che non segnano, il momento difficile.
Un esempio di giocatore che spesso esce fuori dai rigidi schemi seguiti dalla sua squadra è sicuramente Manu Ginobili, un giocatore che in passato ancora esagerava nel cercare iniziative non contemplate nel playbook di Popovich, ma che, col tempo, ha imparato a disciplinare queste sue improvvisazioni solo nei momenti in cui l'attacco della sua squadra non gira.
Inutile dire che per osare cose non previste occorre una certa dose di incoscienza, accanto ad una fiducia smisurata nel proprio intuito, che suggerisce in quel momento di osare l'inosabile. Tuttavia, nel passato, quando l'attacco degli Spurs era meno fertile di oggi, malgrado la presenza di Duncan, che non improvvisa quasi mai, spesso le “pazzie” di Manu sbloccavano i momenti asfittici dell'attacco di San Antonio, rimettendo in moto gli schemi.
Altro giocatore assolutamente estroso e fantasista è Steve Nash. Personaggio particolare anche fuori dai campi di gioco, è un playmaker che fa del gioco in campo aperto una specialità nella quale eccelle. Infatti, anche nel contropiede esistono regole logiche ferree, fatte di spostamenti in equilibrio tra i lati del campo e nella scelta dell'uomo libero e lanciato.
Tuttavia, il gioco di Nash ci piace perchè esce da queste regole: lui tira quando gli altri si aspettano che passi e passa quando tutti pensano che tirerà . Questa sua vena speciale, abbinata ad un mentore logico e raziocinante estremo come il buon D'Antoni, lo ha reso più forte che in passato, e i suoi compagni, giovani e veloci e disposti a seguirlo nelle sue scorribande in campo, hanno trovato sino ad oggi i risultati ai quali ambiva la dirigenza dei Suns.
C'è da chiedersi se il gioco dei playoff sarà altrettanto adatto ai Phoenix Suns e a Nash, ma possiamo scommettere che D'Antoni lavorerà su di loro per renderli adatti alle situazioni di gioco macchinoso e difensivo che gli spareggi finali di solito comportano. Non conviene però smantellare un sistema di gioco che fino ad oggi non ha mancato di divertire e far vincere, più consono ai giocatori che lo praticano, quanto adattarlo a sapersi limitare nei momenti giusti. L'esperienza europea di Mike D'Antoni non mancherà di giovargli in questo compito.
In conclusione: se i giocatori fossero solo logici, non ci sarebbe differenza tra una partita vera ed una alla PlayStation, dove le scelte dei giocatori sono fatte di 0 e di 1. Invece il gioco vero contiene elementi di improvvisazione e di estro che a volte ci regalano giocate mirabili e addirittura decisive di interi incontri. Ben venga, allora, ogni tanto, una “pazzia” improvvisata!