Malik Rose, decisivo contro i suoi ex compagni
Pronti a recitare l'ennesimo de profundis. I Knicks sono praticamente fuori dai playoffs e pure dalla lotteria. La parola giusta, che nei report di questi anni è stata usata a più riprese, è la solita: "limbo". Semplificando, non abbastanza forti per andare in post season, non abbastanza scarsi per finire in lotteria.
A dire il vero, New York è a tre vittorie e mezza dall'ultima posizione utile per i playoffs, ma il calendario da qui alla fine appare proibitivo ed andare a farsi sweeppare dai Miami Heat, come d'altronde successo in regular season, non è che sia il massimo della vita in prospettiva futura. Perché allora non mollare gli ormeggi? E' più di un mese che su queste pagine ce lo chiediamo, invano.
Dal nostro ultimo appuntamento, i Knicks hanno goduto di molti giorni di riposo, cosa abbastanza singolare nel fitto calendario NBA. Dalla nostra ultima gara analizzata, ossia la vittoria casalinga contro i Wizards, si sono avuti ben cinque giorni di pausa prima di ospitare i Sonics. Brutta partita quella contro Seattle. 80-90 il finale, con New York che tira solamente con il 31%.
Malissimo Jamal Crawford, ormai diviso tra il ruolo di shooting guard e playmaker che a volte lo manda in confusione: 2/9 per lui e solo 28 minuti in campo. Gara equilibrata fino al quarto periodo, quando gli ospiti piazzano un 30-15 con Crawford e Stephon Marbury sul pino e Jermaine Jackson in campo a guidare la squadra. I Sonics rivincono così al Garden dopo nove anni di astinenza.
JC alla fine è un po' risentito per il poco utilizzo e risponde così ai giornalisti: "Dovete chiederlo al coach il perché abbia giocato solo 28 minuti. Io posso entrare solo quando è chiamato il mio numero".
Altri tre giorni di pausa e tocca a Miami calcare il parquet newyorkese. Heat nuovamente corsari, 98-96. Crawford, sempre più play, smazza 12 assists ed i suoi tirano con il 50%, ma gli avversari fanno ancora meglio con il 57%. Continua l'ottimo momento di Tim Thomas (20 punti) e Marbury scollina ovviamente oltre quota venti (24 per l'esattezza).
Bellissima partita decisa sulla sirena da Dwayne Wade: canestro in fade away jordanesco contro Trevor Ariza, dirottato su "Flash" per non farlo penetrare. Il rookie fa tutto bene, ma non basta perché Wade sforna il colpo del fuoriclasse. "E' stato più bravo di me. So che gli piace andare dentro e non aveva messo molti tiri da fuori, ma ha fatto un tiro incredibile" d'altra parte, è un All-Star" dirà Ariza alla fine.
Si vola quindi in Georgia per una vittoria di routine in casa degli Hawks: 106-92. Ancora buone percentuali al tiro, soprattutto Tim Thomas fa 8/12 dal campo; 24 di Marbury e doppia doppia in punti ed assists per Crawford (12+10). New York va anche a +16, poi però, a nove minuti dal termine, Atlanta impatta sull'84 pari. Da lì i padroni di casa non segnano praticamente più dal campo e i Knicks portano a casa il risultato.
Arriva poi il cappotto stagionale con la quarta sconfitta contro Miami. 82-97 in Florida con Crawford che torna a sparacchaire (7/18 di cui 4/12 da tre). Decisivi, manco a dirlo, Shaq e Wade con 63 punti in due. I Knicks vanno sotto di 17 all'intervallo, poi un parziale di 14-4 li riporta in partita, ma non basta.
Si torna al Garden per vincere contro San Antonio priva di Tim Duncan, infortunatosi la sera prima a Detroit. Gli Spurs arrivano scarichi all'appuntamento dopo le fatiche patite al cospetto dei Campioni in carica ed i Knicks possono permettersi di vincere schierando una front line che più sottodimensionata non si può: assente Kurt Thomas per un'infiammazione ad un gomito, è Malik Rose a partire titolare insieme a Michael Sweetney.
E' proprio l'ex di turno a risultare decisivo con 18 punti, come a dimostrare a Greg Popovich che forse il mandarlo altrove non è stata una grande idea. Continua la brutta striscia di Crawford, mentre Marbury fa 31 più 10 assists. Decisivo il 14-0 di inizio ultimo quarto, dopo che Starbury aveva, nel terzo, segnato gli ultimi 14 punti dei Knicks umiliando Bruce Bowen, uno dei migliori difensori NBA dirottato invano sulle sue tracce.
Attivato al posto dell'infortunato Penny Hardaway, ha fatto il suo esordio Jackie Butler, centro 19enne eletto in settimana "Rookie of the Year" in CBA: un solo minuto per lui, ma un canestro in layup.
Detto delle gare, c'è poco da aggiungere sul resto, dato che (finalmente?) vi è un periodo di stanca a livello dirigenziale. Passata praticamente da un mese la deadline per gli scambi, i quotidiani della grande mela si sono un attimo calmati ed anche esplorare scenari futuri, quando l'hai fatto una volta, diventa superfluo, immobilismo rafforzato dal limbo di cui sopra che è davvero difficile da commentare.
Certo, c'è stato l'ennesimo articolo sul Newsday su quanto Isaiah Thomas abbia fatto male a prendersi Marbury, ma ormai si tratta di ordinaria amministrazione, di fuochi di paglia in un momento di stallo generalizzato.
A livello tecnico, si continua a portare avanti l'esperimento di una sorta di doppio play, con Crawford gravato spesso del compito di portare palla. Marbury sta rispondendo bene, un po' meno Crawford a livello di punti segnati, ma questa statistica non è tutto ed anzi il numero degli assists è aumentato. Come dicevamo altre volte, il fatto che non debba necessariamente prendersi più di dieci tiri a gara non può che essere un aspetto positivo a livello di squadra, dato che vuol dire che ci sono finalmente altri in grado di segnare.
Superfluo rimarcare l'immenso lavoro nella zona pittuarata di Kurt Thomas. Non sarà atletico, sarà sottodimensionato, ma da centro sta rendendo alla grande per l'ennesimo adattamento della sua carriera. In difesa lotta come al solito, tutto mestiere e grinta, in attacco non attaccherà il canestro ma il pick and roll con Marbury resta letale ed il suo tiro dai cinque metri fa sì che gli avversari lo rispettino, venendolo a marcare fuori, così da aprire spazi sotto.
Le flebili speranze di playoffs passeranno nei prossimi giorni in un tritatutto: Boston, leader dell'Atlantic, in casa; poi trasferta ad ovest per quattro gare a Seattle, Portland, Golden State e Lakers. Cinque gare in sette giorni che il partito del "perdiamo ora, niente playoffs, nessun sweep da Miami, più palline al draft" accoglierà con sollievo.