Northwest Division Report

Luke Ridnour, positivo come tutti i Sonics !

La Northwest Division, appena nata dopo il tourbillon di spostamenti dovuto all'introduzione della trentesima (speriamo ultima) franchigia NBA, sembrava fatta apposta per regalare ai Twolves di Kevin Garnett e ai Denver Nuggets di Carmelo Anthony, una tranquilla regular season fuori dalla bagarre di altre division, sulla carta piu' agguerrite, che avrebbe proiettato le due squadre nei playoff, con ambizioni allungate fino alla fine di Aprile.

A poco piu' di 20 partite dalla fine della stagione regolare possiamo tranquillamente dirlo, abbiamo sbagliato tutto. La division è tutto fuorchè dominata dalle due squadre sopraccitate, e presenta in vetta, abbastanza comodamente, i Seattle Sonics, che l'anno scorso arrancavano nei bassifondi della Conference.

La situazione è abbastanza chiara nella composizione dei valori in campo, anche se completamente fuorviante rispetto alle attese della vigilia. C'e' una squadra in vetta che tutti davano come possibile fanalino di coda della Division, ci sono le squadre favorite che arrancano alla ricerca dell'ultimo posto disponibile per i Playoff, e Minnesota, finalista di Conference nella passata stagione, al momento sarebbe fuori dalla postseason, c'è una squadra da circo, che fa campionato a parte, e una squadra di grandi tradizioni che, per problemi di chimica di squadra e infortuni eccellenti, si ritrova in fondo a lottare per un posto al sole nel prossimo Draft.

Ma come si è arrivati a tutto questo? Semplice, nella pazza NBA di quest'anno, tutto puo' succedere e ogni squadra o giocatore può essere messo in discussione.

I Sonics venivano da una stagione disastrosa, chiusa con un record modesto, e nonostante la firma di Allen, sembravano una squadra senza troppe velleità , costruita intorno all'ex Bucs e a Rashard Lewis, con un paio di discreti giocatori come Daniels e Radmanovic e null'altro. Situazione sostanzialmente uguale alla passata stagione, e allora cos'e' cambiato perché Seattle diventasse la terza forza a Ovest?

E' cambiata la mentalità  della squadra e il modo di sfruttare i giocatori a propria disposizione. Con l'arretramento di Lewis sempre più verso la linea da 3 punti, i Sonics sono forse lo shooting team per eccellenza in NBA, la franchigia che più si avvicina ad un contesto europeo nel modo di attaccare il canestro. Continui pick&roll tra play e ala che poi, molto spesso quando c'e' Radmanovic in campo, va a piazzarsi dietro l'arco per la tripla, uscite dai blocchi mortifere con Allen e lo stesso slavo, coadiuvati da Ridnour quando in campo ci sono i due play. Un vortice continuo di movimenti e blocchi che ha spesso mandato in confusione le difese non ancora preparate degli avversari.

Se in mezzo a questo veleggiare di palloni dai 5-6-7 metri, ci mettete due berretti verdi del parquet come Evans e Fortson, che un rimbalzo offensivo lo cercano col coltello fra i denti, e Sexy James a rimpolpare la prima linea, quando si ricorda di avere i mezzi atletici per essere un buon pivot NBA, potete capire come Seattle possa aver messo su questo sorprendente record.

Chiaramente la situazione un po' particolare dell'NBA di oggi, ha favorito la scalata dei Sonics, che comunque, essendo come detto uno shooting team, rischiano soprattutto nei playoff di trovare difficoltà  non indifferenti da un'eventuale caduta di forma dei propri tiratori e di una maggiore attenzione delle difese contro i loro giochi. Mancando un lungo di peso e con punti nelle mani, che possa dare una bidimensiolità  all'attacco, Seattle rischia di arrivare alla postseason con molti dubbi.

La situazione in classifica, nella division, permette anche un rilassamento nella seconda parte di stagione, che permetterà  a coach McMillan di ruotare un po' gli uomini e permettere alla squadra, e soprattutto ad Allen di arrivare più freschi nei mesi caldi della NBA.

La chiave per Seattle sarà  sicuramente la percentuale da oltre l'arco, soprattutto di Radmanovic e Lewis, ma anche la possibilità  di cambiare tipo di attacco con l'innesto di un play più atletico come Daniels al posto di Ridnour. Per il resto, la difesa sembra soffrire come d'obbligo le squadre dotate di una frontline fisica e anche veloce, che poi va a bilanciarsi dall'altro lato del campo con la maggior velocità  dei propri lunghi.

Seattle, in ogni caso, deve ritenersi più che soddisfatta di questa stagione, qualsiasi sia il risultato finale, visto com'era iniziata e confrontato il roster con tutte le altre corazzate dell'Ovest.

A piste di distanza dai Sonics, c'è bagarre fra le due ex possibili dominatrici della division: Denver e Minnesota.

La situazione più preoccupante è sicuramente quella dei T-Wolves, che hanno chiuso, non senza qualche polemica, la gestione di Flip Saunders sulla loro panchina, dopo una Finale di Conference raggiunta. Al comando del pino si è messo, come in molti casi del passato NBA, il GM Kevin McHale, che improvvisamente (siamo sicuri?) si è sentito salvatore della patria anche a livello tecnico e per sopperire ad alcuni errori abbastanza palesi nel suo ruolo principale, fatti in estate, è voluto scendere in prima linea per centrare almeno l'obiettivo minimo, i playoff.

I problemi attuali di Minnesota hanno due cognomi principali, Cassell e Spreewell. I due big, che con il loro arrivo avevano condotto i T-Wolves e Garnett ad un passo dalla Finale NBA, sono diventati il male oscuro che attanaglia la franchigia dall'inizio dell'estate e li sta portando indietro ai primi anni bui del loro ingresso nella Lega.

Cassell che, praticamente, ha giocato un quarto delle gare di regular season, e in quelle che ha giocato ha mostrato una forma non superiore al 50%, Spreewell che si è reso ridicolo con dichiarazioni abbastanza fuoriluogo sulla sua situazione contrattuale, e in pratica sta scioperando, cercando in tutti i modi di essere ceduto, cosa che si profilava a fine febbraio, ma che non si è concretizzata, probabilmente perché McHale non ha trovato nessuno disposto ad accettare le trades proposte.

Minnesota è parsa fin dall'inizio una squadra senza stimoli e senza la mentalità  giusta per affrontare una stagione di conferma, come molti tifosi si attendevano. Lo stesso Garnett quest'anno, dopo l'MVP conquistato, è sembrato piuttosto al di sotto del suo standard e non riesce a dare, a livello di leadership, quella scossa alla squadra che possa far cambiare rotta alla stagione.

Oltretutto in assenza dei due ex dioscuri, la panchina che fino all'anno scorso era stato un fiore all'occhiello per coach Saunders, ha deluso profondamente, primo fra tutti Hudson, lontano parente del giocatore decisivo visto negli ultimi 2 anni. Sczerbiak va come al solito a corrente alternata, e comunque non garantisce, soprattutto in difesa, un adeguato contributo, Olowakandy non si è praticamente mai visto, Madsen e Hoiberg sono stato spesso fuori per infortuni e Griffin, che sembrava nel primo periodo della stagione, l'unica vera nota piacevole della stagione, sta ritornando ad essere il giocatore scartato da tutti.

L'atteggiamento difensivo è, in primis, quello che maggiormente sta deludendo nei T-Wolves. La squadra non difende più in modo aggressivo come nella passata stagione. Sembrano tutti molto molli sulle gambe, quasi svogliati di dover marcare il proprio uomo, perfino KG ha subito molto di più del solito le power forward dell'Ovest.

Ora la situazione parla di lotta per l'ultimo posto ad Ovest, con prospettiva eventuale di diventare la mina vagante ai playoff, ma se l'atteggiamento non cambia, la postseason ritornerà  ad essere un sogno nel freddo del Minnesota.

Denver, dal canto suo, ha più o meno copiato l'annata dei T-Wolves, con una serie di vicissitudini da squadra di calcio italiana, più che da franchigia NBA. Ben 3 i cambi di allenatore sulla panchina dei Nuggets, con Bzdelik fatto fuori con grave ritardo, dopo una chiara mancanza di fiducia da parte del GM e della stella della squadra, fin dalla fine della scorsa stagione. Al suo posto per un breve periodo si è seduto Michael Cooper, ma l'ex Lakers ha subito lasciato il posto a George Karl, ritornato su un pino NBA dopo l'addio polemico dei Bucs.

Con l'arrivo di Karl, improvvisamente, Carmelo Anthony e Kenyon Martin sono sembrati rinati, hanno cominciato a giocare per davvero e i risultati sono arrivati, con una striscia vincente che li ha riportati in zona playoff.

L'infortunio patito da Lenard a inizio stagione ha costretto Denver a cambiare i propri piani tattici, perciò Karl ha deciso di puntare maggiormente sul doppio playmaker con Miller e Boykins o cercare di alzare la fisicità  della squadra con il nuovo arrivo di Najera, che permette di aumentare l'aggressività  in difesa che Anthony difficilmente riesce a dare.

Una delle chiavi della rinascita è stata la crescita esponenziale di Marcus Camby, autentico dominatore d'area nel periodo pre All Star Game, capace di prestazione difensive, sia a rimbalzo che come intimidatore, cinquestelle extralusso. In piu' l'ex Knicks ha strabiliato anche a rimbalzo offensivo, permettendo molti secondi tiri facili all'attacco dei Nuggets, contribuendo con i suoi punti a dare una dimensione sottocanestro molto più solida, cosa che ha giovato soprattutto a Martin.

Ora Denver è nel grande mucchio di squadre alla ricerca di un posto al sole, dovrà  giocarsela fino alla fine con squadre come Lakers e T-Wolves, che l'anno scorso hanno giocato la Finale di Conference, squadre pericolose, per i Nuggets la principale arma sarà  la freschezza atletica e la versatilità  del proprio gioco offensivo, nonche' una nuova dimensione difensiva più ermetica, data anche dall'arrivo sul pino di coach Karl.

Se le prime tre squadre della Division hanno ancora qualche speranza di vedere il parquet ad Aprile, chi sta gia' probabilmente pensando alla stagione prossima sono Portland e Utah.

La compagnia del circo itinerante che si fa chiamare Portland Trail Blazers sta, ancora una volta, stupendo il mondo della NBA, per la capacità  di scialaquare in modo quasi sorprendente un talento abbastanza vivisibile. Sembra che a Portland siano maestri nell'aggiungere giocatori con situazioni difficili extrabasket ad un team che di situazioni complicate ne ha da vendere.

Cheeks è stato allontanato alla fine di un percorso molto turbolento sulla panchina dei Blazers, e probabilmente sarà  stato anche piuttosto felice. La situazione coi giocatori era arrivata ad un limite invalicabile, con continui ammutinamenti dentro e fuori dal campo, litigi in serie e sospensioni per motivi vari.

Parlare di basket giocato con una squadra come Portland e' arduo, il quintetto che Cheeks avrebbe potuto schierare prevedeva Stoudamire, Van Exel, Miles, Randolph e Rattliff, uno starting five di assoluto valore, considerando che dalla panchina poteva uscire gente come Rahim, Anderson o Patterson. Sulla carta una squadra da playoff sicuri. Solo che per giocare a basket non servono solo nomi e talento.

Rahim si è rotto praticamente subito ed e' appena tornato, fortunatamente al suo ritorno si è infortunato Randolph, che con lo Sceriffo in campo avrebbe dovuto spostare il suo ruolo in ala piccola. Rattliff è parso l'ombra di se stesso, panchinato da Przybilla, unico vero lampo di luce in una stagione buia e tempestosa. Van Exel gioca una sera sì e due no, Stoudamire sembra tornato ai tempi dei Raptors, ma da solo può fare ben poco. Poi c'è la situazione Miles, che tra infortuni, sospensioni interne e squalifiche NBA, si è visto pochissimo.

Così facendo, il record piange, la striscia negativa è apertissima, e sembra che ormai i Blazers stiano più cercando di accaparrarsi più palline possibili per il prossimo Draft, che cercare di raddrizzare la situazione. Solo che in questo Draft difficilmente ci sono giocatori che spostano, e comunque più che giocatori di talento a Portland servono psicologi bravi, anzi bravissimi.

Utah, invece, dopo un inizio folgorante, che sembrava prospettare una stagione stile Suns o Sonics, si è completamente sfaldata quando Kirilenko si è girato il ginocchio dopo poco di un mese dall'inizio della regular season. Li' sono venuti fuori tutti i problemi di organico a disposizione di coach Sloan.

Arroyo ha fatto le valigie dopo una stagione da favola, ma alla fine di un rapporto turbolento col proprio coach, in play ha evoluto un carneade come McLeod, che faticava anche nel nostro paese. Lopez, come al solito, dopo un buon inizio ha subito l'ennesimo infortunio della sua tristissima carriera NBA, ed ha salutato la compagnia.

Le delusioni più grandi sono comunque state i due nuovi free-agent, chiamati a suon di milioni a dare una svolta alla squadra. Boozer e Okur dopo un ottimo inizio, in concomitanza con l'infortunio di Ak-47, hanno cominciato la loro discesa personale verso una situazione di non ritorno. Prestazioni molto al di sotto delle aspettative e incapacità  di dare una leadership alla squadra.

Sloan, purtroppo, non è riuscito a dare la sua impronta emotiva al team e la situazione è andata crollando fino agli ultimi posti della Conference, con prospettiva di lottery pick.

Attualmente il ritorno di Kirilenko aveva dato una spinta alla stagione dei Jazz, ma l'infortunio di Boozer e la scarsa forma degli esterni tiratori, ha cancellato le belle prove post All Star Game.

Quello che più salta all'occhio nella situazione di Utah sono l'incapacità  di creare un attacco fluido, marchio di fabbrica di Sloan e soprattutto i disagi difensivi di una squadra che ad inizio stagione e negli anni passati, aveva creato le proprie fortune con l'atteggiamento difensivo.

A questo punto la stagione ha un solo obiettivo, la lottery pick del prossimo Draft, che potrebbe consentire ai Jazz, notoriamente buoni "pescatori" di giovani talenti, di risalire la china, vista la buona crescita sin dal primo anno di giovani come Humpries e Snyder.

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