Miller esulta dopo un canestro allo scadere: uno dei tanti della sua irripetibile carriera
Albert Einstein ridefinì completamente il concetto di tempo collegandolo indissolubilmente a quello di spazio: le due entità dall'esposizione della Teoria della Relatività Generale non possono più essere considerate separatamente.
La stessa cosa applicata alla pallacanestro NBA si potrebbe dire di Reggie Miller, il quale ha contribuito con le sue esplosioni offensive in pochissimi secondi a legare il tempo (sul cronometro) al punteggio (o a quello “spazio” che separa le due squadre sul tabellone segnapunti). 25 punti in un quarto. 8 in 18 secondi. BMcG, “Before McGrady”, c'era Miller a dispensare rapide triple, quando si è sotto nel punteggio e bisogna rimontare.
Qualche tempo fa, la sorella Cheryl ha annunciato in diretta sulla TNT che Reggie ha deciso di dire basta: queste settimane, queste partite, saranno le ultime della carriera del più prolifico tiratore da 3 e di uno dei migliori “clutch shooter” (uomo del tiro decisivo) della storia della NBA. Dopo 18 stagioni, tutte spese con la maglia degli Indiana Pacers, una finale NBA disputata, un oro olimpico e uno mondiale, Miller decide di dire basta. E lo fa, ancora una volta, a suo modo: prima smentisce seccamente Craig Sager, che aveva ottenuto la soffiata e l'aveva sbandierata ai quattro venti come uno scoop, e qualche giorno dopo dà mandato alla sorella di annunciare “ufficialmente” il suo ritiro. Incorreggibile!
Ci mancherà Reggie, e non certo perché fosse il più simpatico tra gli invitati alla festa. Ci mancherà perché la sua antipatia, la sua magistrale arte del saper farsi odiare da chiunque non risieda nell'Indiana sono, per sua stessa ammissione, un pirandelliano “gioco delle parti” e nulla più, nel quale riusciva anche a divertirsi moltissimo.
Capisco benissimo che questo non è solo sport: questo è anche entertainment che si rivolge al pubblico. E nell'entertainment c'è bisogno di qualcuno che giochi il ruolo del cattivo: beh, quel qualcuno sono io. I love being the enemy!
.
Colpito e affondato. L'identificazione di un tifoso avviene certamente attraverso il modello “positivo” del rappresentante dei propri colori (e infatti Reggie è senza dubbio la figura più amata nella storia degli Indiana Pacers, franchigia in cui detiene praticamente un record per ogni voce statistica conosciuta che contenga le parole “punti” o “tiri”), ma altrettanto e forse in misura maggiore la definizione di sé avviene attraverso il mettersi in antagonia rispetto all'avversario, al rivale, al “nemico”. Diciamo allora che Miller ha permesso a molti tifosi di identificarsi “contro”. Contro di lui, naturalmente.
Cresciuto in una famiglia in cui invece di recitare le classiche preghiere a tavola i genitori chiedevano ai ragazzi di snocciolare i tabellini delle proprie prestazioni (e solitamente era la sorella Cheryl a mettere tutti in fila), Reggie ha da subito imparato a confrontarsi con standard di assoluta grandezza, nonostante madre natura non l'avesse premiato con un biglietto vincente alla lotteria “fisici prestanti”.
Fin da piccolo la definizione naturale per lui era “skinny” (tutto ossa), e fu addirittura costretto ad indossare degli speciali tutori per le gambe, magroline e storte, che avrebbero potuto rendergli difficoltosa la camminata. Giocare a basket ad alto livello non era nemmeno sconsigliato dai medici: non veniva neanche preso in considerazione come ipotesi remota.
Eppure l'esempio di Cheryl, assoluta dominatrice nella specialità femminile, lo spingeva alle solite sfide in giardino uno contro uno, nel testardo programma di raggiungere il suo sogno: giocare a basket ad alto livello.
Californiano di Riverside, Miller fu reclutato nientemeno che da UCLA, l'ateneo più titolato dell'intero panorama collegiale. Certo, non erano più i tempi dominanti di coach Wooden, ma nondimeno Reggie riuscì a prendersi le sue soddisfazioni: una finale del torneo NIT e un titolo della Pac 10 nei suoi 4 anni di cursus scolastico. Finì la carriera come secondo marcatore di tutti i tempi dei Bruins, dietro solo a tale Lew Alcindor, e la curiosità è che riuscì nell'impresa potendo sfruttare la sua arma migliore, il tiro da 3 punti, solo nella sua stagione da senior (nelle tre precedenti non era ancora stato introdotto a livello NCAA).
Fu scelto da Indiana con il numero 11 nel draft del 1987, e molti ancora ricordano i fischi dei tifosi dei Pacers indirizzati alla dirigenza per aver preferito lo smilzo californiano all'idolo locale, Steve Alford (e va bene che negli altri 49 stati è solo basketball, ma qui i tifosi dell'Indiana ci avevano visto proprio male).
25.000 punti NBA, 2.500 triple, e tante giocate decisive dopo, un'altra storia.
Donnie Walsh, il Presidente della franchigia, la mette così: “Reggie è stata la più grande stella non apprezzata dal pubblico nella storia del Gioco”. I motivi sono tanti: le sue furberie per far sembrare all'arbitro di aver subito un fallaccio, i cosiddetti “flop”, quel tiro con la gamba inverosimilmente all'infuori che rischiava di fare male e spesso “chiamava” un fallo assolutamente immeritato, la famosa e plateale accusa di “chokers” ai New York Knicks (con quel gesto delle due mani portate alla gola) esibita nientemeno che in mezzo al Garden dopo l'ennesima impresa, il battibecco visto su scala planetaria con Spike Lee sempre al MSG, i trash talk infiniti con tutti i giocatori NBA, e addirittura alcuni alterchi con “Black Jesus in sneakers”, sua maestà in persona, Michael Jordan, tutte queste situazioni l'hanno sempre messo dalla parte sbagliata della barricata, contribuendo a creare attorno a lui quell'aura da “bad guy” che non si è scrollato di dosso nemmeno nell'infausta serata del Palace di Auburn Hills, quando in mezzo al pandemonio generale, lui è stato uno dei più moderati.
Proprio la rissa di Detroit l'aveva convinto a non annunciare prima il proprio ritiro. “Quando abbiamo saputo delle squalifiche a Ron, Jermaine e Stephen ho capito che avrei dovuto impegnarmi ancora di più per aiutare la squadra. I ragazzi non avevano certo bisogno di qualcosa che li distraesse ulteriormente, e anche io volevo rimanere concentrato sul prosieguo della stagione. Adesso però mi sembra che possa guardarmi indietro ed essere soddisfatto”.
Tradotto: la stagione dei Pacers in chiave titolo è ormai da archiviare, la carriera della loro guardia tiratrice degli ultimi 18 anni anche.
Ora il countdown sul cronometro della vita sportiva di Reggie Miller sta sempre più avvicinandosi allo 0.00. Ma non sono forse questi i momenti nei quali ha sempre dato il meglio di sé?
Per le ultime volte, Reggie: “Boom, baby!“