Che soddisfazione per noi italiani vedere Mike vincere e divertire in NBA !
Se domandate a un qualsiasi tifoso trevigiano quale versione della Benetton lo ha più esaltato nell'ultimo decennio - meglio non provare ad andare oltre, a meno che non vogliate sentire storie sul duo Del Negro-Kukoc" – le risposte saranno per lo più due: quella del 1997 o quella del 2002.
Allenatore di entrambe le versioni? Mike D'Antoni, uno col vizio di volare negli States dopo ogni scudetto vinto. La prima volta andò male con un paio di stagioni da assistente a Portland e con la sfortunata esperienza di Denver dove l'executive Issell prima lo fece capo allenatore e poi non resistette alla tentazione di prendere il suo posto, senza particolari motivi tecnici, in panchina, atto che segnò l'inizio della fine dell'era Issell nelle montagne rocciose. In questo secondo tentativo le cose per l'ex playmaker di Milano stanno andando un pochino meglio"
Etichettare D'Antoni come l'allenatore che ha portato nella NBA il gioco di stile europeo, quello che mette in crisi la nazionale statunitense nelle manifestazioni internazionali, è un quarto di verità . Perché se è vero che l'ex playmaker dell'Olimpia Milano è diventato un grande giocatore e allenatore nella nostra penisola, è anche vero che il gioco espresso dalle sue squadre è sempre stato diverso dalle altre. La Benetton del 2002 che andava spesso e volentieri oltre i 100 punti era l'eccezione, era il così detto "ciapa&tira" opposto al gioco più strutturato di tutte le squadre di alto livello.
Strana storia quella dell'uomo di Mullens, nel West Virginia: in Italia si scriveva che portava la mentalità NBA in una squadra italiana, ora scrivono che ha portato la filosofia europea nella NBA. Le squadre con D'Antoni in panchina si basano semplicemente su un paio di concetti: correre sempre e comunque per trovare tiri facili e dare massima fiducia ai propri giocatori.
Il resto, in fondo, sono dettagli. Concetti semplici, quasi banali, ma applicarli è un po' più complesso. Perché tirare 90 volte a sera è divertente quando si vince, ma continuare a farlo quando la palla non entra è altra storia, è questione di saper dare fiducia ai propri giocatori, specialità di casa D'Antoni.
28 febbraio, i Suns dopo aver vinto a Dallas grazie a una gran giocata difensiva di Marion giocano in casa contro Boston. Nash, l'altro motivo della metamorfosi avvenuta in Arizona, è ancora fermo ai box per infortunio e il ritorno di Walker ha dato una scossa all'ambiente Celtics.
Pierce mette i canestri che chiudono la gara all'overtime e si lascia andare a un'imitazione di Richardson (il battere i pugni sopra la fascia tipico di "Q"). D'Antoni è più pronto a reagire dello stesso Q e ha uno scambio acceso di vedute con Pierce che finisce con l'espulsione dei coach dei Suns.
"We are all in this together" è la dichiarazione del giorno dopo, quando si dice "player coach".
"Non abbiamo bisogno di una dimostrazione d'amore in pubblico - ha continuato D'Antoni - lascio tirare "Q" da tre quanto vuole, penso che questo sia un segnale di fiducia più importante di quello visto domenica".
Se qualcuno aveva qualche dubbio sui vent'anni italiani di D'Antoni, magari dopo aver sentito il suo italiano incerto, difficilmente ne avrà dopo un colpo del genere: espulsione cercata e trovata per dare un segnale evidente di essere con i giocatori e critica velata e "amorevole" verso il suo miglior tiratore per il numero di triple tentate nel più classico "italian style".
La prossima sfida per D'Antoni è la post season, il suo "ciapa&tira" è stato etichettato da molti poco adatto ai playoff, alle partite secche quando la mano dei tiratori diventa più incerta. Possibile, ma nel mettere etichette alll'ex allenatore della Benetton e al suo gioco spesso si sbaglia, meglio aspettare di vedere cosa combinano Nash e compagni nei playoff"