Uno sceicco a Dallas

Keith Van Horn all'ennesima tappa della sua discussa carriera…

"Non mi interessano i giocatori migliori, voglio quelli giusti"

Così recita uno spot, in cui queste parole vengono attribuite ad un general manager incaricato di costruire una squadra di qualche sport"

La trading deadline è scattata alle 15 del 27 febbraio ed a partire da quel momento, un esercito di addetti ai lavori hanno cominciato a tracciare, ciascuno secondo il proprio punto di vista, dei bilanci su quanto ogni team NBA ha perso o guadagnato dall'aver scambiato o dall'essere rimasto a guardare.

A Dallas è arrivato lo "sceicco bianco", al secolo Keith Van Horn, un tiratore puro, uscito da Utah nel 1997, l'ennesima speranza bianca (di Larry LEGEND Bird però ce n'è stato uno solo"finora)che neppure a Milwaukee ha trovato la sua consacrazione dopo essere stato nel New Jersey per 5 anni, aver fatto la propria comparsa a Phoenix e coi Knicks.

Van Horn è un'ala di 208 cm, dotato di ottimo tiro perimetrale e superba visione del gioco, ma troppo lento per marcare le ali piccole avversarie e troppo poco potente rispetto alle ali forti, in poche parole non certo un giocatore dominante, che ha causato più di un mal di testa agli allenatori e ai gm che hanno avuto il compito di mettere a frutto il cospicuo investimento fatto su di lui ; di qui la peregrinazione di squadra in squadra per questo ragazzo bianco con piedi lenti ma mani educatissime, nel tentativo di trovare un contesto adatto a lui.

Ma neppure nelle due stagioni trascorse ai Bucks, una franchigia tranquilla, forte di una buona tradizione di bianchi dalle mani buone (Jack Sikma su tutti), che aveva tutto per favorire il suo inserimento umano e tattico, il buon Keith è riuscito ad imporsi come giocatore importante, finendo ingoiato dalla rotazione dei cambi dei Bucks, con cifre non malvagie (10,5 pt + 5 rb in 33 gare giocate in questa prima parte della stagione), ma certo inadeguate ad un giocatore del suo valore.

Ed ecco che a febbraio, a ridosso della trading deadline, i Bucks hanno accettato l'offerta di Dallas : il pirotecnico proprietario Mark Cuban, offriva loro Calvin Booth, centro, un onesto lavoratore che stava per altro dando una robusta mano in difesa e sotto le plance ai Mavs, e Alan Henderson, ala forte, subito peraltro liberato dagli stessi Bucks e dato sul treno di ritorno in Texas.

Così lo "sceicco bianco", come Van Horn è stato soprannominato, non si sa se in virtù della leggiadria di certi suoi movimenti, del suo principesco contratto, ora rilevato da Cuban, o da chissà  cos'altro, è approdato alla corte di Don Nelson, che di un altro tiratore nonché pessimo difensore, oltre a quelli che già  ha in roster, a mio modestissimo parere potrebbe anche non farsene nulla.

Ma se Cuban è Cuban, paragonabile per certe sue uscite e per l'assoluta fumosità  delle sue (pochissime) idee manageriali a qualche presidente dell'italico calcio, anche coach Don Nelson è un personaggio particolare, uno di quei pochi allenatori sulla faccia della terra per cui la difesa non è un mezzo necessario, anzi indispensabile, per vincere le partite, quanto uno scomodo intermezzo tra un tiro e quello successivo, nel tentativo di praticare un basket effervescente e divertente, che poi si rivela tale solo per gli avversari.

Infatti, da quando Dallas ha una squadra degna di questo nome, dopo aver fatto sorridere o addirittura ridere per anni tutta la NBA, annoverata tra le franchigie cronicamente peggiori della Lega, non è mai riuscita a varcare la soglia della finale di Conference, ad onta delle capacità  offensive dei giocatori nel roster, per i quali Cuban si è svenato più di una volta.

E' pur vero che gli avversari con cui Dallas ha dovuto e deve lottare si chiamano San Antonio, Lakers, Minnesota e oggi Phoenix e Seattle, ma anche che una squadra sbilanciata in avanti come quella texana, che ha bisogno di segnare sempre valanghe di punti per vincere e quando ciò non accade è sconfitta, andrebbe ridisegnata diversamente, con un altro spirito e ben altra organizzazione difensiva, che oggi come oggi è ridicola, basti pensare che neppure squadre ben peggiori di Dallas rientrano in difesa in maniera così scandalosa e disorganizzata, subendo punti in contropiede come se piovesse.

Ed eccoci quindi a valutare lo scambio di per sé, che a molti, me compreso, pur nella piena coscienza della fallibilità  delle mie opinioni, pare inutile per non dire controproducente, perché toglie quel poco di consistenza difensiva e aggiunge un valore che, per venire sfruttato, toglierà  spazio ad altri giocatori validi nelle medesime specialità , vale a dire tiro e realizzazione.

Oltre al nuovo arrivato Van Horn, i vari Finley, Stackhouse, Nowitzki, Terry e i giovani Daniels, Harris e Howard sono tutti giocatori con caratteristiche offensive spiccate ma tra tutti non c'è un solo vero difensore" ; una batteria di esterni incredibile, ad di là  dell'immaginabile, che però non porterà , così come è, ad alcuna vittoria importante, quando i ritmi ed il clima saranno quelli dei playoffs e non quelli, molto più blandi della stagione regolare.

E' pur vero che oggi nella NBA sta prendendo di nuovo piede il gioco tuttocampo, spettacolare, rapido, con grande ricorso al tiro perimetrale, e interpreti di questo modo di giocare sono alcune delle franchigie oggi ai primi posti nelle rispettive divisions ; i Suns, ma anche i Sonics ad ovest e probabilmente, dato il nuovo assetto tattico, anche Sacramento si unirà  presto alla pattuglia, mentre ad est le squadre con prevalente gioco tuttocampo sono di meno, anche se molte vi fanno ricorso sempre più spesso e volentieri.

Non è strano tutto ciò ; il gioco tuttocampo è sicuramente più dispendioso, ma anche più divertente per il giocatori, che possono esaltarsi in giocate di fantasia più spesso che all'interno di schemi e sistemi offensivi a metà  campo e consente spesso ai coaches una rotazione più ampia del roster a disposizione.

Phoenix ha il secondo record assoluto della lega (43-14) ad una vittoria di distanza dal migliore detenuto dagli Spurs ; la squadra di D'Antoni corre molto e segna di più, ma intanto possiede un uomo d'area vero e proprio, un riferimento, Amare Stoudemire, poi difende in maniera sicuramente più dignitosa di Dallas, rientrando almeno in difesa ordinatamente (pochi punti subiti in contropiede) e soprattutto proprio Cuban, nel mercato estivo, le ha regalato il jolly, l'uomo capace di mutare i destini dei Suns coi suoi assist ed i suoi punti, cioè Steve Nash, il canadese volante.

Proprio Nash è stato uno dei colpi di mercato dell'estate che ancora ci si chiede come Cuban si sia fatto sfuggire ; una scelta francamente inspiegabile, se non nell'ottica di una riconversione tattica della squadra ad un assetto meno spregiudicato, che però non è avvenuta, dato che a sostituirlo si è preso Jerry Stackhouse, uno il cui primo pensiero va più alle statistiche individuali che alla difesa o alla squadra, e che non si lamenterà  mai per uno sfondo non fischiato a suo favore ma piuttosto per un tiro che qualche compagno non gli ha lasciato.

E' probabile ed auspicabile che Cuban e Nelson abbiano lasciato scadere il contratto del loro playmaker allstar, permettendo ad una diretta concorrente per l'egemonia ad ovest di accaparrarselo, solo dopo aver bevuto parecchio al party di fine stagione 2004, alla salute dell'ennesima vittoria altrui dell'Anello (nel caso specifico dei Pistons), ma se si pensa alle altre mosse di mercato, come ad esempio l'arrivo di Stackhouse, è giusto propendere per un etilismo cronico dei due.

Scherzi a parte mi pare che il problema a Dallas non sia tanto lo scambio che ha portato l'uomo da Utah nel Texas, che pure non agevola le ambizioni di vittoria ma semmai le mortifica, quanto la confusione di poteri, cariche, idee, presenti in questo momento nel front office texano ; chi comanda? Chi decide? Che progetto si vuole attuare?Quanto tempo ci si da per attuarlo?

Domande che al momento non sembrano porsi in quel di Dallas, dove si affidano invece, ancora una volta, al loro miglior giocatore, il tedesco con la canotta 41, ed al suo supporting cast perché li porti nel paradiso delle NBA Finals 2005, oscurando di colpo tutte le magagne di una gestione allegra, per dirla con un eufemismo".

Però un proverbio recita che il campo non mente mai".

Finora per Dallas è stato proprio così…

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