Jalen Rose è rimasto alla corte di Sam Mitchell come prima opzione offensiva
Solitamente si dice che sia la notte a portare consiglio. Per i Toronto Raptors il momento per riflettere è arrivato invece durante la pausa dell'All Star Game.
Le questioni di attualità e le decisioni imminenti da prendere erano molte per Rob Babcock ed il resto della dirigenza, a partire dall'atteggiamento da seguire con l'approssimarsi della trade deadline.
Prima delle fatidiche 15 del giorno 24 febbraio infatti erano molti gli affari che la franchigia canadese avrebbe potuto concludere; sulla scrivania di Babcock c'erano diverse offerte per alcuni dei giocatori a roster che potevano rappresentare, se concretizzate tutte, una sensibile rivoluzione.
Oltre all'ormai classico rumor sulla cessione di Jalen Rose ai New York Knicks, nelle ultime ore l'uomo mercato per eccellenza, in virtù del suo contratto in scadenza, era diventato Donyell Marshall.
I giornali di Indianapolis avevano rivelato di un possibile interessamento dei Pacers nei confronti del giocatore, e lo scambio in questione avrebbe coinvolto Austin Croshere, Anthony Johnson e James Jones oltre al Raptor Milt Palacio.
Non contenti i media dell'Indiana avevano lasciato trapelare un'altra indiscrezione sul possibile futuro di Marshall in maglia Pacers: uno scambio alla pari con il centro Scot Pollard.
Di tutte le voci riguardanti il numero 4 atipico a disposizione di Sam MItchell questa si era rivelata decisamente come la più fondata, se non altro perché la contropartita tecnica che Toronto si sarebbe assicurata avrebbe realmente rappresentato un upgrade per il roster dei Dynos: un centro con ottime doti difensive ed a rimbalzo con la possibilità di liberare un posto in rotazione per un giocatore di buon livello come Aaron Williams.
Le possibilità di concludere un affare con Marshall protagonista erano state definite da Babcock buone ma non ottime, soprattutto perché le offerte non erano esattamente di totale gradimento per l'entourage di Toronto.
Un esempio di trade non troppo gradita in Canada era quella con i Miami Heat, già “invischiati” con i Raptors nell'intricata (e per ora ancora irrisolta) vicenda Mourning, che offriva a Mitchell e assistenti i servigi di Michael Doleac, back-up di Shaq destinato ad essere soppiantato da “Zo” nei piani di Van Gundy, in cambio di un lungo tiratore perimetrale come Marshall.
Neppure l'inserimento nella trattative di due “patate bollenti” come Wesley Person e Malik Allen sembrava smuovere le indecisioni di Babcock.
Alla vigilia del 24 febbraio si era poi fatta strada una voce che voleva, dietro tutti i tentennamenti del GM, l'intenzione di mettere a segno un colpo ad effetto, un ingaggio clamoroso per risollevare l'annata di Toronto sin dalla ripresa della regular season e per ridare credito ad una franchigia decisamente indebolita nell'immagine e nel fascino dopo la dipartita (in senso cestisitico ovviamente…) della bandiera Vince Carter.
L'operazione, che avrebbe dovuto essere nei piani della dirigenza molto simile a quella che ha poi portato Chris Webber ai Sixers, era indirizzata verso l'approdo in maglia Raptors di Baron Davis, assolutamente scontento dell'esilio di New Orleans e desideroso come pochi di essere ceduto.
Ovviamente la contropartita per un giocatore del calibro del “barone” doveva essere congrua al valore di Davis, e l'ipotesi più concreta era qella di un trittico di nomi: il già citato Donyell Marshall, il pari ruolo dell'ex All-Star Rafer Alston e l'ala Lamond Murray.
Il problema è che il contratto di Davis, 63 milioni per 4 anni, rapprsentava uno scoglio per Toronto nonché un impegno a lunga scadenza decisamente oneroso per la franchigia, ed i dubbi (più o meno giustificabili) della dirigenza sulla continuità di rendimento e sulle condizioni fisiche di Davis hanno poi portato i Dynos a defilarsi nella corsa alla point guard degli Hornets vinta poi dai Golden State Warriors.
Le famigerate 15 del 24 febbraio sono quindi arrivate senza che una delle squadre più indicate come fulcro di scambi e di affari venisse coinvolta in alcuna trade, ed il roster dei Raptors, se si eccettua il rilascio ampiamente previsto di Alonzo Mourning, non ha subito variazioni.
Certo molti potrebbero pensare che qualche ritocco, anche in funzione della stagione 2005/2006, andava apportato, ma la titubante insicurezza della dirigenza potrebbe anche rivelarsi una scommessa incente.
Innanzitutto perché il free agent Marshall ha un contratto di 5 milioni di dollari in scadenza che, se non rinnovato, libererà dello spazio salariale per il mercato estivo, e proprio in virtù di una off-season da svincolato il giocatore dovrebbe impegnarsi in questo finale di stagione per “mostrarsi” alle altre formazioni NBA assicurando un alto rendimento ai Raptors.
Poi perché la fuoriuscita dal contratto di Mourning permetterà un'ulteriore sgravio del payroll della franchigia che alla fine della stagione dovrebbe ridursi ad una cifra molto vicina al cap, consentendo (anche in virtù del possibile non esercizio dell'opzione da 3 milioni di dollari da parte di Aaron Williams) a Babcock di poterso muovere con discrete possibilità durante l'estate.
A tutto questo va aggiunto che i risultati, sicuramente poco indicativi perché sono state disputate solo due partite, sembrano dare ragione alla politica conservativa del GM.
Le due gare disputate in trasferta e vinte sui campi di New Jersey e Milwaukee non possono certo far gridare al miracolo ma la rimonta nei confronti delle capoliste della Division, staccate ora di 4 incontri, non sembra del tutto impossibile.
L'All-Star Break ha inoltre restituito a Sam Mitchell un Chris Bosh sempre più sicuro dei suoi mezzi, che nella partita rookies-sophomores ha brillato per talento e concretezza, mettendo a referto un'autoritaria doppia-doppia e meritando secondo molti addetti ai lavori il titolo di MVP virtuale della partita (quello ufficiale è andato all'idolo di casa Carmelo Anthony, escluso dall'incontro domenicale).
Il record (23-32) è ancora molto negativo, ma nella Atlantic Divison non è detto che si vada ai playoff con un record vincente.
Ora il calendario offrirà una settimana di fuoco a Rose e compagni, con quattro partite in 7 giorni a casa di Spurs, Grizzlies, Hornets e Mavericks: un 2-2 sarebbe un bilancio da accogliere con celebrazione in Ontario, perché in vista del rush finale per la post-saeson uno 0-4 potrrebbe significare l'addio definitivo alle già flebili speranze di gloria.