Duello fra un nativo di Philadephia e l'idolo della città : Allen s' ripreso quel che Kobe aveva vinto nel 2002
Con un lampo di indicibile talento Vince Carter ci ha voluto ricordare perché ogni anno decidiamo di fare notte bianca per la partita delle stelle: Vince è partito in palleggio, ha buttato la palla al tabellone e, ad altezza incredibile, ha schiacciato per la sua personale versione della remix.
Ci è voluto un quarto e mezzo perché la musica da circo e lunapark, eredità dell'All Star Saturday più vuoto da molti anni a questa parte, si dissolvesse per intero; sarà stata l'atmosfera rarefatta dei 1600 metri di Denver ma proprio l'All Star Game 2005 ha dimostrato che la Nba sta attraversando un momento di difficile transizione.
Something missin'. Dicevamo della partita: la Eastern Conference ha ribaltato il pronostico battendo la selezione dell'ovest 125-115. Allen Iverson ha bissato la prodezza di Washington 2001, aggiudicandosi la palma di miglior giocatore della partita in virtù di 15 punti, 9 rimbalzi e una direzione altruista della gara. Dicevamo dell'atmosfera: qualcosa di intangibile che ha portato i protagonisti a ruminare basket per molti minuti.
Più che dell'altura, sarà stato l'effetto di qualche convocazione inopportuna, Stoudamire, Wallace, Lewis e Arenas, ad esempio: un conto è essere giocatori d'impatto nelle squadre di provenienza. Altra merce è avere la "statura tecnica" e la personalità per emergere in un contesto del genere. Da questo punto di vista Jason Kidd, uno della vecchia guardia, è mancato tantissimo.
Non è un problema di belle giocate; Stoudamire alla fine ha inchiodato una schiacciata da non credere. E' un discorso di presenza vera sul campo; vale anche per le stelle di prima grandezza che stanno dimostrando di non avere il magnetismo e la capacità di affascinare che, qualche anno fa avevano altri giocatori.
Bryant ha giocato a sprazzi, Mc Grady ha avuto l'atteggiamento da matineè e ha lasciato un segno solo nel finale ricordando a Carter che la remix l'ha pur sempre inventata lui. Lebron James ha giocato senza forzare, come se dovesse aspettare il suo turno. Qualcosa ci ha messo pure Popovich, che nell'ultimo quarto ha ritenuto opportuno lasciar fuori Duncan e Garnett, non a posto dal punto di vista fisico. Carter ormai ci ha fatto l'abitudine e non si arrabbia nemmeno più. Complessivamente siamo un gradino sotto il livello dell'All Star Game di New York, l'ultimo di Michael Jordan.
"Non è stato granchè, vero?", ha ammesso con candore Steve Nash. "E' stato strano - ha commentato Garnett alla fine - giocare in quest'atmosfera. Non è stato (la partita ndr) quello che ci saremmo aspettati."
Spazio all'Mvp. "Allen è stato il leader vocale della squadra - lo ha omaggiato Stan Van Gundy, coach per una notte - e ha dato grande energia a tutti. Ha davvero voluto vincere e lo ha dimostrato col piglio del veterano." Iverson ha 30 anni. Sembra un attimo dal 2001, la sua miglior stagione di sempre. L'ex Georgetown è stato uno dei pochi a volerci mettere qualcosa per divertire veramente il pubblico. Ma lo ha fatto mostrando una maturità insospettabile: "Ehi - ha commentato alla fine - non potete aspettarvi che rimanga a 23 anni per sempre. Si deve crescere a andare avanti."
Il suo atteggiamento nuovo, del quale sarebbe orgoglioso anche Larry Brown è sintetizzato dai consigli dati a Lebron James: "Mi ha detto - ha spiegato il giocatore dei Cavs - di stare attento a chi oggi predice per me il futuro migliore. Tra qualche tempo potrebbe volermi tirare nella polvere." E' strano vedere in Iverson, il giocatore che a inizio carriera fu il simbolo della "X" generation, un veterano. Sarà per la faccia, sarà per i tatuaggi. La sua deludente stagione dell'anno scorso è un ricordo. Sarebbe bello testarlo in una realtà diversa da quella dei Sixers, in cui adattarsi ad una realtà con un'altra star.
The big clown and the big question. La Nba continua a pompare un duello fra Shaq e Yao che non è nemmeno proponibile. Il cinese ha giocato il terzo All Star Game trasparente come un bicchiere d'acqua. Anzi, era in campo mentre Zydrunas Illgauskass e Jermaine O'Neal erano il carburante del parziale decisivo. Shaq lo ha salutato all'inizio e sul primo possesso lo ha attaccato, con partenza in palleggio da ala grande. Ha poi tirato il libero con mano appoggiata al fianco.
Shaq è altra merce, rispetto a chiunque, ed è stato il sole nero che ha oscurato tutti negli incontri con i media; ha ringraziato Kobe, per avergli consentito di "vendere a 6 milioni di dollari la casa che avevo comprato spendendo la metà ", e riservato l'ennesima stoccata a Kupckack, "devono averlo eletto general manager quest'anno perché sino all'anno scorso lo facevo io." Nel quarto periodo O'Neal ha fatto la guardia sotto canestro e ha fatto fare bella figura a Wade con due fantastiche aperture di 15 metri.
Visto che la Nba non può chiudere internet sono urgenti provvedimenti: spiegare qualcosa a Yao oppure smetterla di presentare il mach up come il nuovo "Chamberlain-Russell".
Discorsi di bordo campo. Il più clamoroso coinvolgerebbe Peja Stojakovic e Lamar Odom che si scambierebbero la maglia in uno scenario che porterebbe ai Lakers anche Boozer in cambio di Caron Butler. Di certo c'è che Sacramento, dopo gli ultimi rovesci, ha qualche dubbio in più e vorrebbe muovere qualcosa. Bryant e Jerry Sloan hanno smentito, come da copione.
Il clan di Eddie Curry ha lasciato circolare la notizia, peraltro non nuova, di dissapori fra il centro e coach Skiles. Le trattative per i rinnovi dei contratti di Shaq O'Neal e Ray Allen stanno andando in direzioni diametralmente opposte: gli Heat hanno pronto un contratto di 90 milioni di dollari per il loro centro che ha dichiarato di voler avere un anello per ogni dito della mano e di avere ancora 5-6 anni di grande basket nelle gambe.
Discorso diverso per l'ex Buck che ha anche attaccato l'attuale allenatore di Denver, Karl, per aver spinto Kohl, proprietario di Milwakee, a scambiarlo. Entrambe le parti in causa, David Stern e Associazione Giocatori si sono dette ottimiste sulla possibilità di evitare una serrata: le contrattazioni proseguono con lo spauracchio di quanto è appena successo alla lega nazionale di hockey.
Ron Artest è dato un po' dappertutto, soprattutto New York, ci mancherebbe, ma i Pacers continuano a negare l'evidenza. Continuano intanto gli ammiccamenti fra Kidd e i T-Wolves, fra Michael Redd, fortemente voluto da James e Cleveland.
Un passo indietro. Qualcosa di simile era già successo il sabato: Josh Smith ha vinto la gara delle schiacciate con pieno merito. Però qualcosa non va, forse siamo viziati. Il giocatore di Atlanta ha ripetuto la wind mill che fu di Dominique Wilkins; quest'ultimo si è alzato in segno di approvazione. Ma il carisma che trasudava Nique era ben altra cosa. E' brutto dirlo ma lo stesso gesto atletico e tecnico ha altro impatto se lo fa un Carter, un Mc Grady, oppure i Jordan e gli Wilkins dei bei tempi.
Non è solo una sensazione di già visto. E' che un mito te lo godi fino a quando sta in campo. Poi rischia di diventare un peso.
Ritorno alla realtà . "Spero che la gente si sia divertita - ha spiegato Gregg Popovich - ora torniamo alle cose serie." L'ultimo segnale di quanto fosse un pesce fuor d'acqua. Da domani comincia una lunga volata in cui la sua squadra sarà la lepre. Dietro una muta di cani capeggiata da Shaq, Nash e Larry Brown. Cala il sipario sulla notte delle stelle.