Il salvagente dei Bucks al momento resta sempre e comunque Michael Redd…ma per quanto?
Non si può nascondere il fatto, che scrivere dei Milwaukee Bucks versione 2004 - 2005 non sia proprio un esercizio di stile lineare.
Questo articolo, in linea con le prestazioni offerte dalla squadra della prima parte del campionato, avrebbe infatti dovuto titolare: Milwaukee: dove è finita la bella squadra della passata stagione?
Poi, d'un tratto, come se fosse cambiata chissà quale congiunzione astrale, ecco che con l'inizio del 2005 la squadra di coach Terry Porter ha ricominciato a macinare un gioco accettabile, mettendo a referto un bilancio nel mese di febbraio di 5 vinte e 2 perse (l'ultima la notte scorsa contro i campioni del Mondo di Detroit 83 a 107).
La sostanza però non cambia, la squadra che lo scorso anno aveva impressionato tutta la Eastern Conference con il suo gioco veloce e divertente, fatto di tiro da fuori e di velocità , non c'è più.
Dove è quindi finito il progetto della franchigia made in Wisconsin?
Si sa, nello sport è molto più facile ottenere un exploit che ripeterlo, ma questa debacle non se l'aspettavano in molti, anzi.
Nei report di inizio stagione, i Bucks erano dati come la classica mina vagante, il ruolo per intenderci che avrebbero dovuto interpretare i Seattle Supersonics nella Western.
Ed infatti le affinità fra le due franchigie non sembrano essere davvero poche: in entrambi i casi il pronostico diceva di essere in presenza di squadre in presunta fase di ricostruzione.
I Sonics arrivavano dall'era Payton, dall'essere stati stabilmente una forza importante dell'Ovest, una fase che aveva trovato il suo apice con la finale contro i Bulls della seconda era Jordan, mentre i Bucks, avevano vissuto la bella parabola della guida di George Karl.
Sotto il vulcanico allenatore da North Carolina la franchigia aveva giocato un basket a dir poco brillante, basato sull'asse Allen - Cassell - Robinson sfiorando la qualificazione alla finale NBA e rimettendo sulla cartina del basket professionistico, quella sorta di regno grigio che erano diventati i Bucks dopo la vittoria del titolo negli anni '70 firmata Lew Alcindor al secolo Kareem Abdul Jabbar.
Lo scorso anno le squadre avevano vissuto destini alternati: una buona partenza i Sonics nonostante l'assenza proprio di Ray Allen ed un finale così così, nonostante il ritorno della stella da Connecticut; un partenza lenta invece per i Bucks con una gran seconda parte di stagione e conseguente qualificazione al primo turno di play-off.
Quest'anno le attese del pubblico e dei media erano per forza di cosa incentrate più sulla squadra verde viola, piuttosto che sui rappresentanti dello stato di Washington.
E allora cosa è accaduto? Perché la squadra di coach Nate Mcmillan (altra affinità , entrambi i coach sono ex atleti ed amatissimi dai propri atleti) vola sulle ali di un gioco "pericolosamente bello" mentre i Bucks sono spesso affondati proprio a causa dello scarso peso della loro front-line e della eccessiva dipendenza dal tiro da fuori?
Una prima risposta potrebbe arrivare dall'infermeria di Milwaukee.
La prima scelta dello scorso anno, T.J. Ford in questa stagione non ha ancora potuto assaggiare il parquet del Bradley Center a causa di un brutto infortunio alla spina dorsale dal quale non sembra essergli facile recuperare e la guida della squadra è stata quindi affidata a Maurice Williams back up di Arroyo lo scorso anno nello Utah e promosso di grado con l'addio alla terra dei mormoni.
Peccato per i tifosi dei cervi, che tanto il prodotto da Alabama, quanto la sua riserva naturale Mike James, già d'istanza a Miami, Boston e Detroit, non abbiano prodotto nella prima parte di stagione, quelle cifre e soprattutto quel ritmo partita fondamentale per tenere in piedi la struttura di gioco dei Bucks, anche se in queste ultime settimane le cose parrebbero essere migliorate.
In ala piccola il ballottaggio resta quello che vede impiegati con minutaggi variabili Keith Van Horn, Tony Kukoc e Desmond Mason.
Il trio sulla carta è notevole, ma un conto è la carta (soprattutto dei contratti) un conto è il campo.
Ad oggi l'intelligenza cestistica del croato, la pericolosità offensiva dello sceicco bianco e l'esplosività dell'ex Seattle, non sono riuscite mai pienamente a compensare la cronica mancanza di difesa e di intensità delle quali lo spot numero 3 di Milwaukee pecca.
Se ad oggi, Kukoc può vantare la scusa del suo probabile ultimo anno sotto i riflettori della NBA, diverso è il discorso per gli altri due atleti.
In particolare Van Horn sta compromettendo ancora una volta le possibilità di rimanere stabilmente in una franchigia. Dopo i primi anni del New Jersey, le esperienze di Philadelphia e New York, anche ai Bucks la sua scarsissima propensione ad essere uomo squadra e non oggetto offensivo a se stante lo sta spostando dal quintetto base alla panchina sempre più spesso. I punti (11 per gara), i minuti ed i rimbalzi sono al minimo storico, vedremo quanto il suo contrattone lo salverà in questa occasione.
Per Mason, le cifre appaiono migliori; segna infatti 16.6 punti per gara, prende più di 4 rimbalzi, ma il problema è un altro: con l'assenza di Ford, spesso viene schierato da numero 2 lasciando un buco nella rotazione di coach Porter, in più ed è questo il fattore rischio maggiore, non è decisivo per la sua squadra, non riesce a fare la differenza. Certamente un problema, per uno con i suoi mezzi atletici che non si chiami Vince Carter, più che notevole.
Cosa rimane?
Rimane il reparto lunghi, che in buona sostanza è rappresentato da Joe Smith , l'unico lungo capace di segnare più di 10 punti di media (10.6) e da due giovani come Dan Gazduric e Zaza Pachulia (Marcus Fizer non è nominato volontariamente, visto che se ci fosse un premio al giocatore più sgradevole ed indolente per linguaggio del corpo, sarebbe in pole position).
Il primo è l'ala forte georgiana che lo scorso anno si era conquistato un posto agli Orlando Magic grazie ad una Summer League tutta cuore e polmoni, il secondo è un prodotto di UCLA al terzo anno di professionismo.
Per entrambi cifre in crescita ma ben lontane dall'essere cifre che possono tenere in piedi un gioco sotto i tabelloni anche in questa parte della lega, non certo la migliore in quanto a lunghi di potenza.
L'unico elemento che resta per fare la differenza è quindi l'unico non ancora nominato, ovvero l'All Star 2004, Michael Redd.
Ecco, il signor Redd è davvero il giocatore simbolo di questa squadra.
Dodici mesi fa aveva stupito l'intera lega, passando da ottimo realizzatore al ruolo di campione, inserendosi di prepotenza nella lista dei Bryant, McGrady, Allen, tanto per restare in tema di confronto con Seattle.
Quest'anno le sue prestazioni continuano ad essere di gran lunghi le migliori del gruppo e questo probabilmente spiega perché questa squadra, smarrita la magia, la chimica e persa in sostanza l'ispirazione della stagione passata, continui ad essere a sole 4 partite dall'ottavo posto utile per i play-off.
Le sue cifre sono le migliori della carriera, 22.2 punti per gara, 4.2 rimbalzi, 2.5 assist e anche se le palle perse sono salite a 1.83 per serata poco male, il dato si spiega fondamentalmente con il fatto che mancando un impianto di gioco affidabile, per forza di cosa palloni che scottano anche in situazioni di raddoppio o peggio sono sempre e comunque per le sue mani.
Insomma Redd sembra un giocatore in missione, un atleta da cuore oltre l'ostacolo (senza di lui Detroit ne ha dati 24 ai Bucks) peccato però che anche qui la nota sia stonata.
Dopo il finale del 2004 infatti, Redd aveva chiesto alla dirigenza un sostanziale passo in avanti nella squadra e non sembra che ad oggi le mosse operate siano state di suo gradimento. Per questo il suo nome è legato un giorno sì e l'altro pure a qualsiasi possibile trade e nonostante la persona ed il professionista sembrino di prim' ordine, per forza di cose questa tensione potrebbe costare in termini di concentrazione e di futuro da pianificare.
A questo punto, la squadra è davanti al classico bivio: saranno capaci di ripetere la rincorsa del 2004 (la strada è sicuramente più in salita) oppure la dirigenza lancerà segnali per immettersi sulla strada del draft, scelta spesso poco premiante nelle ultime stagioni?
I Sonics dell'est devono innanzitutto dimostrare a se stessi che la magia dell'anno scorso non fu vana gloria, il resto dovrà farlo ancora una volta la capacità di coesione di Porter. Se basterà al momento non è dato saperlo.