Larry Miller, proprietario di Utah, abbraccia il miglior giocatore della storia dei Jazz nel giorno del suo ritiro
Un destino beffardo ha accompagnato la chiusura del sipario sulla carriera di Karl Malone. Rileggo qualche appunto preso nei giorni di preparazione all'ultima finale Nba: fra le notizie di contorno si legge di un po' di liquido aspirato dal ginocchio del postino.
La beffa sta proprio qui: il giocatore che in 17 stagioni ha perso solo 6 partite per infortunio, arrivato a Los Angeles, si è seriamente fatto male al legamento del ginocchio. Questo infortunio gli ha sostanzialmente impedito di giocare per davvero la finale con i Lakers; l'unica in cui la sua squadra è partita favorita.
Malone ha scelto il giorno del compleanno della mamma per annunciare al mondo la sua decisione di chiudere con la pallacanestro. Lo ha fatto al Delta Center, la sua casa, affiancato dalla moglie Kay e dal proprietario degli Utah Jazz: "Oggi - ha detto Malone - si chiude definitivamente la mia carriera da giocatore di basket. Non ci saranno ripensamenti, non tornerò indietro. Ho voluto essere qui perché appartengo a Utah anche se ho giocato un'ultima stagione a Los Angeles. Un giorno, se verrò introdotto nella Hall of Fame, sarà grazie a quello che ho fatto qui."
La scena fatto una certa impressione: Karl è apparso in perfetta forma. Nonostante tutto ha assicurato di non avere più la testa per essere un giocatore di basket. "La perdita di mia mamma - ha spiegato - mi ha segnato profondamente. Ho recuperato dall'infortunio al ginocchio. Ma non ho più lo spirito per andare avanti."
Le circostanze sono strane: solo una settimana fa diversi osservatori avrebbero giurato su un'imminente firma per San Antonio. Evidentemente Karl ci ha ripensato: la sensazione di non essere proprio ben accetto fra la pattuglia dei lunghi di complemento degli Spurs ha avuto un peso. L'orgoglio che lo spinge a non considerare la sua carriera solo in funzione dell'anello che non ha mai vinto è la motivazione più attendibile. Anche perché il suo ruolo in Texas sarebbe stato marginale.
"Tanti grandi giocatori - dice Malone - hanno chiuso la carriera senza aver vinto un titolo. Eppure hanno giocato ogni stagione, ogni partita dando tutto per le loro squadre e per il basket. Se qualcuno pensa che io non sono degno della Hall of Fame per questo fatto non c'è problema: non consideratemi. Non mi interessa."
Molti negli ultimi giorni hanno adombrato la possibilità che Malone sarebbe andato a "rubare" l'eventuale titolo a San Antonio. Peter Vecsey ha capeggiato la pattuglia. Diverse critiche sono arrivate anche un anno fa, all'annuncio del passaggio di Malone ai Lakers per una manciata di dollari rispetto a quello che avrebbe potuto guadagnare. Nulla di più sbagliato: è legittimo, dopo una vita spesa a mettere sulla cartina Nba una squadra di un mercato minore, cercare la gloria sportiva da qualche altra parte. Non pretendendo di farlo da protagonista ma da giocatore di ruolo; non all'ombra di altre stelle, ma da specialista di lusso.
Diverse squadre in un contesto meno competitivo gli avrebbero offerto più soldi e maggiori possibilità di superare Kareem Abdul Jabbar sul trono del miglior marcatore della storia. Malone ha cercato il successo di squadra, incrociando i gomiti con Tim Duncan e Kevin Garnett, sprintando a 41 anni in transizione difensiva per coprire le deficienze di Shaquille O'Neal. Non a caso, quando il suo ginocchio è andato in pezzi, il castello di carta dei Lakers dell'ultimo anno s'è disfatto.
Ognuno di noi riserverà a Karl il suo ricordo particolare: il pick 'n' roll con John Stockton, i suoi duelli epici con Dennis Rodman durante due le finali consecutive del 97 e 98. Chi ha almeno 35 anni ricorderà la sua curiosa e breve apparizione a Desio. Chi non lo ha mai apprezzato può citare i due errori ai liberi di gara1 nel '97, la palla persa, smanacciata da dietro da Jordan con la tecnica che proprio Karl elevò ad arte, oppure i suoi gomiti terribilmente appuntiti.
"Karl al pari di Stockton - ha detto Jerry Sloan - è stato un grandissimo giocatore di squadra che avrebbe voluto con tutte le sue forze vincere un titolo Nba. Ma un titolo è un traguardo di squadra. Ecco perché ha rinunciato a questa sua ultima avventura. Sarà difficile trovare un altro Karl Malone."
Al momento è considerato la migliore ala grande della storia. Quando si ritirerà Duncan qualcuno ritratterà . Lo stesso accadrà quando smetterà Garnett. Non è importante: Malone ha il suo posto nella storia del gioco. Lascia con 36.928 punti segnati, 14.968 rimbalzi, sesto nella Nba, due titoli di Mvp (97 e 99), due medaglie d'oro e 11 convocazioni per l'All Star Game.
Il punto più alto della sua carriera è rappresentato dai 39 punti allo United Center nella quinta partita della finale del '98. Grandi quegli anni. Ci mancheranno. Un altro protagonista se ne va.