Three men, one religion

John Ferguson, fighter e leader in campo…

Un sabato sera a casa. Fa freddo, i soldi scarseggiano e la tv trasmette una partita Nhl. Sdraiato sul divano sorseggio una birra tiepida. Mi godo lo spettacolo e ogni tanto sgranocchio qualche patatina.

Arriva un conoscente a disturbare la quiete appena raggiunta:
"Ehi, ma che diavolo stanno facendo quei due?"
"Probert e Ferguson si stanno picchiando, che c'è di male" gli rispondo.

No, non può essere, sto vaneggiando, Probert e Ferguson non hanno mai giocato contro, appartengono a due ere diverse.

Ritorno lucido e gli dico: "Non ti preoccupare, sembrerà  strano, ma è tutto consentito, gli arbitri lasciano fare".

"Interessante"- dice lui.

Passa un po' di tempo, la partita pare scorrere veloce, ma eccolo che presto torna alla carica "Ehi, senti un attimo, perché il telecronista ha definito uno dei due un goon e l'altro un enforcer?"

"C'è una bella differenza tra i due termini, ragazzo. Il goon è un giocatore il cui unico scopo nella squadra è quello di picchiare. Di solito non ha altre abilità . Ha la tendenza a commettere azioni sporche durante la partita, servendosi soprattutto della stecca e dei pugni. Puoi scommetterci che è pronto a scontrarsi con chiunque in qualsiasi momento. Alcuni li definiscono Gorilla, io, in termini più spiccioli, li considero veri e propri bastardi. Nulla a che vedere con l'enforcer.

Quest'ultimo protegge la squadra, sia combattendo gli avversari che si prendono troppe libertà  con i suoi compagni, sia distribuendo a destra e sinistra terrificanti hits. Loro sono i signori del gioco per quel che mi riguarda e in più, rispetto ai goons, offrono dei cambi regolari e hanno della abilità  non indifferenti: spesso sono anche grado di segnare o di servire un assist decisivo. Dei buoni giocatori in tutto e per tutto insomma".

"Ma sapresti dirmi chi sono i migliori interpreti nella categoria?"

"Ho capito, seccatore, vuoi farmi perdere il resto della partita, ma mi hai convinto. Ci sto. Andiamo nella stanza al piano di sotto e ti faccio vedere l'articolo che ho scritto per Play.it, nel quale descrivo non i tre migliori fighters della storia, ma sicuramente i tre giocatori che a loro modo hanno maggiormente influenzato l'epoca nella quale giocavano. Ecco qui, leggi bene, mi raccomando":

JOHN FERGUSON

I Montreal Canadiens fecero un vero colpaccio quando, dopo il ritiro di Rocket Richard nel 1960, scelsero John Ferguson nel 1963, pedina che contribuì alla vittoria di ben cinque Stanley Cup in otto stagioni (1963-1971) e all'approdo in finale nel 1967 (sconfitta contro Toronto).

Ferguson si rese protagonista della dinastia degli Habs mettendo in mostra le sue grandi doti di leadership, la sua capacità  di proteggere i compagni di squadra (consentendo in particolar modo a quelli più piccoli di trovare campo libero), di cambiare il corso di una partita con uno shift o con le sue stesse doti di realizzatore. Egli, inoltre, odiava gli avversari e faceva in modo che anche i compagni si comportassero come lui. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per vincere.

Se da una parte "Fergie" può non essere considerato il miglior fighter, dall'altra non vi è ombra di dubbio che egli sia stato il miglior "policeman" nella storia della Lega.

Se paragoniamo Ferguson agli attuali fighters, molti di loro non hanno un impatto sulle sorti della gara, sui compagni o sulla stagione così letale, dato che non sono in grado di giocare e non sono dei leader come lo era "Fergie".

A titolo di esempio, basti ricordare una gara due di una quarto di finale del 1971 tra Boston e Montreal. I Canadiens avevano perso gara 1 per 3-1 ed erano sotto 5-2 nel corso della seconda partita. Coach Al McNeil decise di mandare in campo Freguson per "girare la minestra" ed egli lo fece veramente alla grande: mise alle corde i Bruins e segnò 2 dei 5 gol (compreso il game- winning gol), che permisero a Montreal di portarsi a casa la gara con il punteggio di 7-5.

Nonostante un team falcidiato da rivolte interne, a causa del graduale declassamento dei giocatori francesi in favore di quelli inglesi attuato da coach McNeil (a tenere banco fu soprattutto la questione dei portieri, dato che il giovanissimo rookie Ken Dryden venne a sorpresa promosso titolare al posto del veterano di lingua francese Rogie Vachon, cosa che mandò su tutte le furie la stampa di Montreal, dominata dai media francesi), Ferguson, con la sua forza di carattere, riuscì a tenere il team compatto e a guidare Montreal alla conquista della Stanley Cup segnando 2 decisive reti in gara 7 di finale contro Chicago, prima di ritirarsi all'età  di 33 anni.

Tale impresa, comunque, non impedì il licenziamento di McNeil, spedito immeritatamente ad allenare nella AHL.

Ferguson era un lottatore piuttosto concreto, anche se non stilisticamente perfetto. Tratteneva l'avversario con la mano sinistra e colpiva con il suo potente destro che aveva la capacità  di arrecare tagli e sanguinose ferite sui volti dei rivali.
Una delle sue principali prerogative era quella di vedersela contro chiunque, in relazione al fatto che il team necessitasse di uno scossone decisivo nel corso di una partita o che qualcuno dei suoi compagni fosse stato particolarmente preso di mira.
Perse davvero pochissimi fighting, sicuramente meno di dieci, e all'occorrenza poteva essere sporco e vendicativo.

La sua eccellente percentuale di vittorie/sconfitte è tuttavia oggetto di aspre discussioni: negli anni '60 non c'erano grandissimi interpreti nel ruolo come invece vi furono nelle epoche successive. Probabilmente Kurtenbach era il migliore, ma Ferguson non combatté mai contro di lui. Egli aveva la cattiva abitudine di vedersela con avversari fisicamente inferiori o "easy targets", come spesso vengono definiti, e talvolta danneggiava anche giocatori infortunati.

Nonostante ciò, è giusto ancora una volta ribadire quali furono le grandi doti di questo splendido giocatore: impatto sulla gara, sui compagni e sulla stagione, consistenza, leadership, abilità  nel gioco, successi, voglia di vincere.

Se, per gioco, calcolassimo le statistiche di Ferguson sulle 82 partite, le sue medie parlerebbero di 24 gol, 26 assist, 50 punti e circa 200 minuti di penalità . Niente male, poliziotto.

DAVE SCHULTZ


Dave Schultz, uomo capace anche di 20 goals in una stagione…

Schultz fu scelto dai Philadelphia Flyers al quinto giro del draft del 1969 con il pick numero 52.
Allora i team che militavano nella Nhl erano solamente dodici, dunque, al giorno d'oggi, quella di Schultz sarebbe stata una scelta da secondo giro.

Agli albori della sua carriera (1970-71) giocò con Quebec nella AHL totalizzando 37 punti e 382 minuti di penalità . L'anno successivo non cambiò Lega, ma cambiò squadra, si trasferì a Richmond, dove aumentò le sue cifre a 46 punti e 392 PIM. Giocò anche una partita con i Flyers.

Fu l'anno seguente quello del suo esordio nella Nhl con la maglia di Philadelphia. Guidò la Lega in minuti di penalità  dal 1972 al 1975 con 259, 348 e 472 (con i quali detiene il record Nhl di tutti i tempi), segnando rispettivamente 21, 36 e 26 punti e vincendo due Stanley Cup nelle stagioni 1973-74 e 1974-75. Questi anni costituirono probabilmente l' apice del suo successo di heavyweight fighter.

La seguente annata, con i Flyers sconfitti in finale dai Montreal Canadiens, si consumò con la cessione di Schultz (al quale vennero preferite nuove leve, nonostante un bottino di 32 punti e 307 PIM) a Los Angeles. Qui giocò in modo abbastanza discreto, ma venne comunque ceduto a Pittsburgh senza troppi complimenti, squadra nella quale mise assieme 36 punti e 405 minuti di penalità . Nuovamente scaricato, finì la carriera ai Buffalo Sabres giocando anche piuttosto male.

Schultz, al di là  di tutto, aveva delle abilità  e non era solamente il goon che molti consideravano: tipico fighter degli anni '70, che allo stesso tempo combatteva ed offriva dei cambi regolari, era anche in grado di segnare una ventina di gol a stagione.

Il suo stile di lotta rispecchiava a grandi linee quello di Ferguson e consisteva nel trattenere con la mano sinistra l'avversario e di sganciare potentissimi haymakers (pugno più ampio del gancio che arriva a colpire l'avversario lateralmente) con il destro, che gli valsero il soprannome di "The Hammer".

La sua presenza in campo era intimidatoria per gli avversari, sia che essi fossero fighters o non-fighters, dato che Schultz non aveva scrupoli nel vedersela sia con gli uni, che con gli altri.
Tutto sommato non è errato affermare che Schultz trasformò il ruolo di poliziotto nel ruolo di vero e proprio goon, ma egli avrebbe avuto abbastanza talento da poter comunque essere un uomo da 40-45 punti a stagione e 200 minuti di penalità . Decise, tuttavia, di andare sopra le righe.

Era un giocatore piuttosto sporco, non aveva paura a prendere per i capelli gli avversari o a colpire qualcuno mentre era ancora per terra. Non di rado il suo atteggiamento era spocchioso, soprattutto quando girava intorno all'arbitro a protestare per 10 minuti invece di andare subito nel penalty box dopo una penalità  che gli era stata inflitta. Fu per questo motivo che si guadagnò molti più game misconduct (espulsioni dalla partita) del dovuto e fu quasi sicuramente per lo stesso motivo che i team nei quali militò lo cedettero in continuazione.

Schultz, inoltre, contribuì a dare una brutta immagine di tutta la Nhl con il suo egoismo e le sue filippiche agli arbitri. Go to the box and shut up, sarebbe stato forse il miglior consiglio da dargli.

Di lui si ricordano epici scontri con giocatori del calibro di Terry O'Reilly, Garry Howatt e soprattutto una famosa sconfitta contro Clark Gillies nel 1975, che gli fece perdere molto del lustro che si era guadagnato negli anni precedenti.

Tecnicamente, infine, non era affatto superiore ad altri fighters che giocarono nella sua era, ma, nel suo essere un ibrido tra un goon e un poliziotto, trasformò il gioco in modo definitivo, dando inizio a quella che viene definita "goon era".

Fuori dal ghiaccio Dave sembrava essere una persona totalmente diversa: fu proprietario di una pista di ghiaccio, lavorò con il fratello per una compagnia di installazione di cavi, divenne gm in una minor league e anche coach e, credeteci o meno, fu nominato commissioner dell' Atlantic Coast Hockey League. Ora fa invece il comico e racconta barzellette…davvero imbarazzante se pensiamo a quanto instabile fu la sua carriera sul ghiaccio!

BOB PROBERT


Bob Probert: giocatore, e picchiatore, da All Star Game!

Per finire, eccoci giunti al piatto forte del pasto. Il migliore enforcer di tutti i tempi.

Bob Probert, accennando brevemente a quello che è stato il suo percorso di giocatore, giocò ad inizio carriera quattro anni in una lega minore, la OHL e fece il suo esordio tra i professionisti nel 1985 con la maglia dei Detroit Red Wings. Ha disputato 17 stagioni nella Nhl, nove a Motown e le restanti otto a Chicago. Ha collezionato 935 presenze nella Lega ed è quarto nella classifica di tutti i tempi nei minuti di penalità  con 3.300.

Cominciamo col dire che il suo stile di lotta inarrivabile è anche ciò che lo ha reso così popolare: egli aveva l'abilità  di cambiare mano nel mezzo di un fighting, di lasciar partire violenti uppercut (pugni diretti dal basso verso l'alto) con la mano destra e a questo aggiungeva una grande energia, resistenza, vigore, incapacità  di provare dolore e un mento sensazionale, capace di assorbire anche i colpi più duri.

Probert, tuttavia, non era solamente un fighter o un goon di bassa leva. Era un giocatore che possedeva buone abilità , uno scorer piuttosto decente che prese parte anche ad un All Star Game.
A sostegno delle sue doti, Terry Crisp, allenatore di Bob nei juniors, disse: "From the blueline in, nobody has better hands than Bob Probert. Nobody. ".
La sua migliore stagione lo vide totalizzare 62 punti (29 gol e 33 assist) e 398 minuti di penalità , suo record carriera. Molti sostengono che egli sarebbe potuto diventare un ottima ala nella Nhl se non avesse combattuto e in tal modo i suoi numeri sarebbero stati decisamente migliori.

Un ulteriore punto in favore della tesi che vuole Probert come il più grande di sempre è il fatto che "Probie" si è scontrato, anche più di una volta, con i lottatori più forti della sua epoca, i quali, per quanto riguarda le capacità  di lotta, erano di gran lunga superiori ai fighters che giocarono tra la fine degli anni '60 e l'inizio degli anni '70.

Proviamo ora a porci la domanda dall'altro verso: cosa fa pensare che Probert non sia il migliore?
In questo senso la percentuale di vittorie/sconfitte costituisce una sorta di tallone d'Achille per l'ex Blackhawk. Facendo riferimento alla sua fight card, i numeri dicono che ha vinto all'incirca il 75% dei suoi fighting, persi il 15% e terminati con un sostanziale pareggio i rimanenti.
Quel 75% probabilmente non è un valore sufficiente per metterlo in cima alla classifica, ma come spesso accade c'è un "però".

Ed ecco che si scopre che Probert perse quasi tutti i suoi scontri nei primi anni (soprattutto nella stagione da rookie) e nelle sue ultime stagioni, quando già  da tempo era sul viale del tramonto, soprattutto a causa dei 37 anni di età . Importanti sconfitte comprendono due ko subiti da Todd Ewen e Craig Berube al primo anno ed un altro ko che porta la firma di Ken Belanger a fine carriera.

Se, come Ferguson, egli si fosse ritirato a 33 anni, avrebbe avuto una percentuale di sconfitte inferiore al 10%, con solo una ventina di sconfitte in più di 200 fights. Percentuale ottima, non c'è che dire.

L'atteggiamento di Probert sul ghiaccio derivava a rigor di logica da un indole piuttosto aggressiva e violenta che, a differenza di Schultz, gli causò non pochi problemi anche al di fuori del campo di gioco.
"The Bad One", così come venne soprannominato, venne infatti pescato più di qualche volta in atteggiamenti non proprio consoni a quelli di un professionista serio, ma ciò, a mio parere, non fa altro che alimentare la sua leggenda. Non potrei immaginare un fighter che racconta barzellette a bambini o che si occupa di servizi sociali. Non ce la faccio.

Fatto sta che Probert fu arrestato per sei volte per guida in stato di ebbrezza, una volta per presunto spaccio di una piccola quantità  di cocaina lungo il confine canadese e, dopo aver lavorato nei tre mesi successivi al ritiro da telecronista, ebbe egli stesso problemi per abuso di droga.
Si rese inoltre protagonista di uno degli episodi per un certo verso più simpatici agli appassionati di hockey. Dopo aver distrutto la sua moto andando a sbattere contro una macchina si mostrò sorprendentemente cooperativo (a causa del tasso alcolico tre volte superiore alla norma) con gli agenti pronunciando quella che è diventata ormai una famosa frase "Just charge me with the usual". La Nhl lo sospese per l'intera stagione.

Le ultime sue notizie risalgono allo scorso giugno, quando, dopo aver compiuto un tratto di strada contromano e iniziato una zuffa con degli uomini, fu arrestato dalla polizia che con enormi difficoltà  riuscì a fargli mettere le manette.

Al di là  delle sue tormentate vicende private, va riconosciuta a Probert giocatore una delle peculiarità  che da un po' di tempo è venuta a mancare tra i fighters della nostra epoca, ovvero quella di prendere i combattimenti non come un momento di intrattenimento, ma come un vero e proprio lavoro, utile all'economia della squadra. Tanto è vero che "Probie", dopo aver vinto un fighting, non esultava mai e pattinava tranquillamente verso il penalty box.

Solo una volta si lascio andare ad un'esultanza.

Nel 1990-91, ai tempi di Detroit, venne a contatto con Bob McGill, il quale militava nei Chicago Blackhawks. C'era un'acerrima rivalità  tra i due team.

I due ebbero uno scontro brutale, ma alla fine Bob Probert scaraventò il rivale sul ghiaccio. Pattinò piano verso la "prigione", alzò il braccio, puntò il dito. "Numero uno".

Esattamente ciò che lui era, il migliore in assoluto.

Si ringraziano per la gentile collaborazione il sito hockeyfights.com e i redattori di Play.it Da Coach e Woodyjay

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