I mezzi atletici di Wade sono notevolissimi…
Primavera 2003 - A New Orleans si consuma il consueto rituale finale della cosiddetta March Madness : la final four vede di fronte il meglio delle Sweet Sixteen, come vengono denominate le migliori sedici squadre universitarie d'America. In semifinale si scontrano i Jayhawks di Kansas e la rivelazione del Michigan, la Marquette University trascinata dall'entusiasmo del suo leader Dwyane Wade. Sarà una vittoria facile per Kansas (93-61 alla sirena) , che vedrà poi svanire i propri sogni di gloria ad opera dei Syracuse Orangemen di coach Boheim e della stellina Carmelo Anthony , vittoriosi in finale per 81 a 78.
Dwyane Wade, una guardia di 1,93 nato nel 1982, era giunto alla Marquette nell'autunno del 2000 e nel suo primo anno aveva vestito la red shirt (che indossano coloro che stanno fuori squadra un anno, vuoi per infortunio, vuoi per motivi accademici o particolari strategie, così da avere poi altri quattro anni per giocare), ma poi nei due successivi era divenuto il leader ed il trascinatore dei Golden Flashes, con 21,5 punti, 6,3 rimbalzi e 4,4 assist per gara nel suo ultimo, ottimo anno, quando aveva praticamente da solo portato Marquette alla final four NCAA.
Evaporata la delusione per l'epilogo della stagione, Wade decide di dichiararsi eleggibile per il NBA Draft 2003, omettendo quindi di completare la propria carriera accademica e rinunciando agli ultimi due anni di attività nella NCAA.
Il giorno del draft tutti hanno occhi (e flash) per le due superstelle : LeBron James, direttamente dalla Saint Vincent and Saint Mary HS, viene scelto da Cleveland al numero uno, mentre al tre i Nuggets chiamano Carmelo Anthony.
Al numero due Darko Milicic viene scelto da Detroit (per ora un fitto mistero….), mentre il giovane lungo da Georgia Tech, Chris Bosh, viene chiamato da Toronto al numero 4.
La quinta chiamata spetta agli Heat del g.m. Pat Riley , che chiama proprio Dwyane Wade a dirigere un'orchestra di giovani talenti che comprendono Jones, Butler, Odom e Grant, per fare qualche nome.
La stagione 2003-04 sarà per gli Heat memorabile ; Miami si aggiudicherà l'accesso ai playoff e costringerà Indiana a sudare le proverbiali sette camicie per accedere (4-2 il computo delle sfide) alla finale di conference contro i futuri campioni di Detroit.
Il talento di Marquette contribuisce sensibilmente alla buona annata del team di coach Stan Van Gundy, con cifre di tutto rispetto : 16,2 punti (18 nelle tredici gare di playoffs), 4 rimbalzi e 4 assists (saliti a 5,6 nei playoffs) per gara ; ma l'apporto più grande del ragazzo è senza dubbio di carattere morale : mai una volta fuori dalle righe, piglio da leader poco chiassoso, sa in gara trasformarsi in autentico trascinatore e rimane comunque l'unico tra quei rookie a portare la propria squadra lontano nei playoffs.
Nel corso dell'estate 2004, però, a Miami accade un piccolo terremoto : il front office, nel tentativo di far compiere al team un salto di qualità , sacrifica i tre giovani talenti Odom, Grant e Butler per giungere all'oggetto del desiderio, cioè Shaquille O'Neal, a.k.a. the Diesel.
Il supercentro da LSU è da tempo in rotta di collisione con Kobe Bryant, la giovane e rampante stella dei Lakers, e quando capisce che la dirigenza ha deciso che lui, Shaq, sarà la spalla di Kobe nel futuro losangelino e non il contrario, per di più con un allenatore diverso dal suo prediletto coach Zen (ovviamente Phil Jackson), decide di cedere alle lusinghe della Florida e torna sulla costa est a far da chioccia alla giovane squadra di Miami, con serissime ambizioni, come dichiara fin dalla sua presentazione.
A Miami, Shaq fa subito la conoscenza di Wade ed il ragazzo riesce in poco tempo ad entrare nelle simpatie e poi nel cuore del plurititolato campione che, per non smentirsi, conia subito per lui il soprannome di Flash, con chiaro riferimento all'eroe dei fumetti.
E la stagione comincia a ritmo di carica, con gli Heat a prendere subito il comando della neonata Southeastern Division, con un bilancio di vittorie e sconfitte che al momento, dopo 50 partite è di 36 vinte e 14 perse.
Ma è nella partita di Natale, a Los Angeles, contro i Lakers dell'ormai unico padrone Kobe Bryant che l'intesa tra i due viene messa alla prova delle difficoltà : è una partita particolare per Shaq, che torna laddove tanto ha vinto ma anche dove sente di non esser stato giustamente apprezzato, lasciato andar via da una dirigenza che ha sposato la causa di Bryant.
La partenza di Kobe è da ricordare ; 18 punti in meno di 5 minuti con Shaq, compassato e Wade scatenato a giocare in proprio e per la squadra con splendido equilibrio ; quando verso la fine della partita, coi Lakers in lieve vantaggio, Shaq lascia il campo, tradito dal nervosismo, per raggiunto limite di falli, Dwyane gli si avvicina e sussurra :
– No fear, Flash is here !!!
e presa per mano la squadra, orfana del suo centro, la guida al supplementare e poi ad una spettacolare vittoria in trasferta.
E' una vittoria della squadra, come sottolineerà poi Shaq nell'intervista post partita, con un velato e sarcastico riferimento all'egoismo di Bryant, che conclude, sconfitto, con 42 punti e una media al tiro non proprio ottima.
E' però anche la vittoria di un campione come Wade, capace di giocate individuali entusiasmanti, che non dimentica mai di far parte di una squadra e di portarla ad esprimersi al meglio.
Probabilmente non è il giocatore più appariscente, e non è ancora chiaro se la sua Miami sia o meno da titolo, certo è che Wade è un giocatore di pallacanestro, che bada al sodo per giungere alla vittoria, senza perdersi in giocate finalizzate solo alla gloria di chi le compie"una rarità nel circo dorato della NBA di questi anni, uno che fa piacere veder giocare e le cui cifre in questa prima parte di stagione sono ulteriormente lievitate : 23,6 punti, 5,2 rimbalzi e 7,3 assist per allacciata di scarpe.
Fatta una dovuta eccezione per Nash e forse Bibby entrambi grandi assistman e realizzatori, si può ben dire che siamo in un periodo storico dove di guardie individualiste è piena la NBA, da Bryant a Iverson, passando per Steve Francis e Baron Davis.
A fronte di un unico vero astro in ascesa, il giovane LeBron James, assolutamente fuori dai canoni e sicuramente la rivelazione di questo primo scorcio di campionato (particolarmente in rapporto alla giovanissima età ), a Dwyane spetta però il merito di essere riuscito, fin dal primo momento, ad essere parte integrante della sua squadra, uno che non ti ruba un tiro, ma che quando c'è bisogno non si tira indietro, ti prende per mano e ti porta alla vittoria.
Scusate se è poco"