Bye Bye, Rudy T

Butler ad oggi è il vero vice Kobe. Cosa succederà  al ritorno del numero 8?

Il dado è tratto.
Dopo tre mesi di risultati alterni e di alterne fortune, l'accavallarsi delle ultime vicende ha dato lo spintone finale alla precaria situazione di Los Angeles e la stagione che sembrava dovesse essere la prima di una possibile ricostruzione con un piano di sviluppo a lungo termine, rischia invece di diventare un anno di transizione durante il quale i Lakers, dirigenza e personale tecnico, dovranno guardarsi in faccia e decidere da che parte vogliono proseguire per non sprofondare nei prossimi anni nel baratro della mediocrità .

Risultati

28/01/05 L 109-103 vs New Jersey
30/01/05 W 101-90 vs Charlotte
01/02/05 W 92-79 vs Portland
03/02/05 L 103-91 vs San Antonio
06/02/05 L 103-102 @ Houston
07/02/05 L 114-108 @ Atlanta
09/02/05 W 104-103 dts @ New Jersey

Il dato statistico dell'ultimo periodo, parla di quattro sconfitte e di tre vittorie. Per ben due volte i Lakers hanno infranto il taboo che li vedeva sempre vittoriosi dopo due sconfitte e nel frattempo hanno anche trovato il modo di vincere per la nona volta quest'anno due partite di fila.

Certamente dal punto di vista del morale, le sconfitte che fanno più male sono quelle contro Houston e Atlanta, quest'ultima arrivata su una prodezza difensiva di Tracy Mcgrady, mentre la sconfitta contro gli Spurs, peraltro maturata con un Tim Duncan assente per almeno 20 minuti di gara (infortunio al ginocchio subito rientrato per lui) ha solo confermato il divario fra le due franchigie oggi come oggi.

Fin qui il quadro tecnico: Lakers in ottava posizione nel ranking della Western Conference, 25 vittorie e 22 sconfitte, in più giocando senza la propria stella e" senza chi?

E qui si apre il quadro extra campo della vicenda Lakers.

Sì, perché il terremoto, lo scossone di cui si parlava poc'anzi, ha riguardato la guida tecnica dei Lakers, Rudy Tomjanovic. L'allenatore dalla faccia buona, il player's coach scelto non senza qualche tentennamento la scorsa estate, dopo qualche giorno di suspense ha rassegnato le dimissioni.

Motivo? Influenza la prima "scusa" addotta dal due volte campione del mondo sulla panchina dei Rockets, poi è arrivato lo stress, panacea di tutti i mali ed effettivamente ipotesi plausibile.

La verità , come spesso accade la sapremo fra qualche anno, leggendola magari fra le pagine di un'autobiografia non autorizzata, ma almeno in questo caso la situazione sembra essere abbastanza chiara.

Coach Rudy T, è un miracolato, nel senso più vero del termine. E' uscito da una brutta esperienza di tumore non senza un buona dose di coraggio e vitalità  ed è arrivato ai Lakers come uomo rispettato.

Purtroppo per lui, oltre a quest'aura di rispetto, si è portato dietro anche la fama di peggior allenatore in possesso di un anello, di tecnico ormai datato per idee e per schemi e cosa più grave, di uomo dal polso troppo morbido per reggere tutte insieme, la pressione della piazza angelina, l'eredità  dell'ineffabile Phil Jackson, i malumori di Lamar Odom e le vicende da divanetto psichiatrico di Kobe Bryant.

Non appare un caso che in meno di 24 ore dalla decisione, quando la notizia era ancora ufficiosa, i giornali avessero già  dato per certa la rinuncia e senza neppure una lacrimuccia si fosse aperto il toto successore.

Già  perché gli effetti a catena di questa decisione, saranno molti nel breve periodo, ma certamente molti di più nel lungo periodo.

Questo abbandono, assolutamente giustificato se vogliamo dare ascolto alla parte di tifosi che vedeva come fumo negli occhi la gestione Tomjanovic, porterà  a sostanziali cambi nelle scelte di mercato e nelle scelte tecniche future.

Partiamo dai possibili sostituti.

La ridda di voci e di nomi subito apparsa sulle televisioni è stata ricchissima. Il primo ad essere stato "chiamato" dalla stampa, al primo accenno di influenza, chiamiamola così, è stato il coach degli Huskies di U Conn, Dan Calhoun. Si sa, i giornalisti made in L.A. amano molto l'ipotesi uomo-del-college ma a far cadere questa ipotesi, potrebbe essere il particolare non indifferente dell'estensione di contratto appena firmata dall'allenatore campione NCAA, nonché la non proprio rosea tradizione dei tecnici universitari nella NBA dell'ultimo periodo.

Tornando sul pianeta pro, i nomi fatti sono stati poi i soliti, Pat Riley, felicissimo dove sta; Michael Cooper che dopo aver avuto il benservito da Denver potrebbe cominciare a lavorare ad un progetto più corposo nella sua vecchia franchigia (ma con quali garanzie?); non ultima l'ipotesi attualmente più supportata, sarebbe quella di un ritorno.

Ritorno di chi? Ma è chiaro.. MJ è tornato e ha dimostrato che l'unico giocatore che l'avrebbe potuto sostituire era lui stesso e quindi, chi potrebbe sostituire il Coach dei 9 anelli se non, lui stesso?

Esatto, bypassando in toto il GM Mitch Kupchack che a fine anno potrebbe anche lasciare la scrivania in favore di un'altra testa di legno, la vice presidente, Jenny Buss, sta lavorando al ritorno del fidanzato dal ritiro nel Montana, giusto per dimostrare di essere insostituibile e giusto per arrivare al decimo anello e quindi al record di Red Aeurbach.

Tutto definito? Certo, se non fosse per due varianti.

La prima riguarda Jerry West, che si dice potrebbe tornare, non certo come testa di legno a dirigere le operazioni e che mal digerirebbe il protagonismo dell'ex head coach di Chicago.

La seconda è semplice. Chi lo dice a Kobe?

Già , perché il capitano dei Lakers attuali, si è sempre dichiarato entusiasta della conduzione tecnica di Tomjanovic (ci mancherebbe altro) e dopo l'uscita dell'ultimo libro a firma dell'allenatore "poco amato come uomo, ma adorato come tecnico", i rapporti fra i due si sono ulteriormente raffreddati. Inoltre con il rinnovo della scorsa estate, i giallo viola si sono legati a doppio filo con il numero 8, perciò il ritorno di Jackson dovrebbe essere per forza di cose approvato dalla stella.

La speranza dovrebbe essere quella che fra il dominio di una squadra perdente e la condivisione della gloria in una squadra si auspica vincente, Bryant torni sugli sciagurati passi mossi in questa stagione (per intenderci basta serate di allenamento 1 contro 5 con pubblico pagante) e ritorno nell'alveo della pallacanestro più canonica.

Alla questione si sono poi interessati altri personaggi, Shaquille O'Neal in testa, Lamar Odom per bocca del suo agente, molti presunti conoscitori dell'ambiente, ma l'unica verità  ad oggi è che l'attuale tenutario della panchina fino a fine stagione sarà  Franck Hamblen il più classico dei traghettatori, poi si ripartirà  e di tempo per parlane ce ne sarà  quindi parecchio.

Il meglio della settimana: Tornando un momento a questioni legate più al gioco che all'inchiostro dei contratti, in questo periodo i Lakers hanno lavorato sul nuovo assetto.

Assente Bryant, è stato Caron Butler ad essere spostato nello spot numero 2 e questa mossa non può che essere valutata positivamente. Il rendimento dell'ex Heat non è ancora ai livelli dell'anno da rookie, ma sembra finalmente poter essere una buona opzione per l'attacco più bilanciato voluto da Hamblen.

Accanto a lui si confermano a buoni livelli Jumaine Jones ormai ala piccola titolare in attesa di Devean George, Chucky Atkins autore del tiro da tre che ha portato i Lakers all'overtime la scorsa notte contro New Jersey e Lamar Odom, ora che finalmente può mettere tre volte di fila le spalle a canestro.

Per Luke Walton infine, segnali di continuità , duri comunque in una squadra ricchissima di ali piccole e sempre più povera di centri.

Il peggio della settimana: Il Dottor Hamblen, trova sulla panchina affidatagli un paziente con tre patologia: mancanza di difesa, crolli di tensione con conseguente perdita di fluidità  di gioco, assenza di gioco sotto le plance.

Se per la fluidità  e la distribuzione dei palloni, l'ex vice di Phil Jackson ha lavorato da subito con mano ferma (complice anche l'assenza del miglior realizzatore), per gli altri due problemi sembra che i Lakers siano lontani dalla soluzione. In particolare L.A. non ha più notizie di un back up accettabile per il volonteroso Mihm (lui stesso un back up a dirla tutta).

Divac sembra perso per la pallacanestro attiva; Grant gioca una media di 14.6 minuti per gara;Medvedenko c'è in roster ma non si vede"va bene giocare senza centro come Phoenix ma per farlo bisognerebbe anche impostare il gioco come fanno in Arizona, o no?

E adesso? Il momento più duro dei Lakers coincide con l'avveto dell'All Star Game, che se verrà  saltato da Bryant (ha dichiarato che giocherà  solo se al 100%) non vedrà  nessun rappresentante di L.A. in campo da molti anni.

In attesa della passerella di Denver, stanno i Lakers giocheranno il remake della finale 2004 a Detroit, poi faranno un salto a Cleveland a trovare Lebron James, infine torneranno ad ospitare allo Staples Center la loro bestia nera, i Jazz.

Alla prossima"

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