Herb Williams non ha l'aspetto di Caronte, gli manca pure il remo, ma deve traghettare i Knicks
L'inferno c'è, i dannati pure. Fin troppo facile parlare metaforicamente ed indicare nel nuovo coach "ad iterim" Herb Williams una sorta di Caronte, il traghettatore di anime per eccellenza.
La stagione di New York sta rapidamente andando verso quella zona in cui la parola "fallimentare" è poco meno di un eufemismo. Via Lenny Wilkens, dimissionario o licenziato che sia; Allan Houston di nuovo in borghese; Jamal Crawford rientrato a costruire case rifugi per i piccioni; avversari che passeggiano al Madison Square Garden.
Avevamo lasciato i Knicks a quota 17 vinte e 19 perse, dopo la sconfitta al Delta Center di Chicago. In una sorta di back-to-back contro i Bulls, sono i Tori a restituire la visita. Mai ospiti furono più scortesi: 88-86 alla fine. Vittoria all'ultimo secondo con un tiro in equilibrio precario di Ben Gorn, jordaneggiante nel finale grazie alla difesa di New York. La gara, infatti, non si è persa all'ultima azione come il punteggio ed il play-by-play dicono, ma prima.
I Knicks, infatti, sono avanti di sei punti con 2:26 sul cronometro, ma Wilkens pensa bene di schierare questo quintetto: Marbury, Brewer, Crawford, Sweetney e Kurt Thomas, ossia con Brewer e Crawford che rientravano dalla lista infortunati, quindi con un po' di ruggine da tirare via, di certo non in un finale convulso. L'ex dell'incontro, però, si mette a sparecchiare a salve (4/14 dal campo 0/6 da tre), invece di mettersi buono buono alle calcagne di Gordon.
Greg Anthony, analyst della ESPN, fa notare che New York non ha segnato dal campo negli ultimi 3:33, continuando a tirare da fuori quando sarebbe bastato andar dentro per mettere pressione su avversari ed arbitri. Alla fine, così, con Anders Nocioni in versione Dirk Nowitzki ed il già citato Gordon, i Bulls portano a casa la vittoria.
Con la panchina di Wilkens più bollente che mai, si vola in Canada. I Raptors si impongono 98-81. Gara decisa dal solito passaggio a vuoto newyorkese, il quale si verifica questa volta nel terzo quarto, regalato agli avversari. Jalen Rose, sesto uomo, ne fa 24 in 26 minuti. Wilkens, non capendoci più nulla, mette Kurt Thomas a marcare Rose, con gli ovvi risultati che si possono immaginare quando si crea un miss match tra una guardia ed un'ala forte.
La prestazione al tiro dei Knicks è la solita, con Tim Thomas che fa 3/15 e Crawford 3/14. In due, bastano ed avanzano per gettare la gara alle ortiche, nonostante un Nazr Mohammed da 16 punti più 17 rimbalzi.
Marbury, con la sua squadra crollata a 1-8 dopo essersi autodichiarato il miglior playmaker del mondo, riceve un consiglio da Patrick Ewing, assistente allenatore dei prossimi avversari dei Knicks: "E' un grande giocatore, ma a volte, quando credi delle cose, conviene tenerle per te stesso". Insomma, Big Fella consiglia più o meno velatamente a Steph di chiudere la bocca e giocare.
Chi di tabella ferisce, di buzzer beater perisce: potrebbe essere questo lo slogan per riassumere la gara contro i Rockets, sconfitti nella precedente gara proprio all'ultimo tiro da Crawford. E' Scott Padgett a restituire il favore.
Con Allan Houston che si ferma nuovamente, non basta uno Sweetney da 13 punti nell'ultimo periodo se Crawford sbarella ancora con un bel 6/19. Come se non bastasse, confeziona una perla difficilmente replicabile con la collaborazione di Marbury: sul 91-90 palla in mano a 34 secondi dallo scadere, il play di Coney Island lavora con il cronometro, cercando la penetrazione quando mancano 5 secondi al shoot clock violation. La difesa ovviamente collassa su di lui, così scarica fuori a Crawford che, invece di tirare, fa il timido per una volta in vita sua e restituisce palla al compagno; l'infrazione scatta puntuale, palla ai Rockets che in 5 secondi confezionato il tiro di Padgett che, per quanto fortunoso nella sua dinamica, punisce giustamente dei Knicks davvero troppo sgangherati.
Questa sconfitta costa il posto a Lenny Wilkens. Il giorno dopo, infatti, il coach rassegna le dimissioni, rinunciando sulla carta a 7 milioni di dollari. Qui però si apre una delle solite storie newyorkesi, dove ogni personaggio più o meno coinvolto ci mette del suo per creare del chaos. I giornali come il NY Daily News sconfessano Wilkens (e pure Isaiah Thomas che insiste sulle dimissioni) e parlano di licenziamento, con l'owner James Dolan che avrebbe chiesto la testa dell'allenatore a Zeke.
Inutile riportare le dichiarazioni dei protagonisti, perché sono le solite di facciata. Alla fine, pare la classica situazione in cui si cercano di salvare capra e cavoli, ossia licenziare elegantemente e con rispetto un Hall of Famer (sia da giocatore che da coach) dietro la parola "dimissioni", così da andare in pensione senza la macchia del "You are fired". Pensione retribuita, dunque, con l'incasso dei 7 milioni di cui sopra in due anni.
Com'è o come non è, il nuovo head coach è Herb Williams, fin qui assistente allenatore e che già all'epoca del licenziamento di Don Chaney aveva guidato la squadra per una sola gara (vinta contro i Magic) prima dell'arrivo di Wilkens. Williams, che da giocatore era un buonissimo centro, conosce da lungo tempo l'ambiente, essendo stato back up di Ewing nei suoi ultimi sette anni di carriera, disputando tra l'altro le due finali NBA del 1994 e 1999.
La prima del dopo Wilkens è un'ennesima sconfitta casalinga contro i Bucks, 96-101. Gli ospiti sono sempre avanti, solo Marbury riesce a tenere a galla i suoi attaccando il canestro e facendo 8/8 nel finale dalla lunetta, per finire con 13 viaggi alla linea della carità , suo record personale eguagliato. Problemi, i soliti: di falli per Mohammed e al tiro per Crawford. Per la prima volta in carriera, Trevor Ariza parte titolare, ma pure lui ha problemi di falli e non incide come vorrebbe. Bene invece Sweetney, che esce da una panchina ridotta all'osso per le assenze assortite di Hoston, Hardaway e nuovamente Tim Thomas (più Norris in injured list e non ancora attivabile per via della regola delle 5 partite da saltare come minimo).
La soluzione Herb Williams è ovviamente temporanea, ma per adesso non è chiaro quali saranno gli sviluppi a breve/medio termine. A New York ci si pone molti interrogativi, dato che verosimilmente la stagione è compromessa, visto che il record è 17-23 e, con nove gare alle porte (di cui sei ad ovest) contro top teams, si potrebbe arrivare ad un bilancio delle sconfitte sotto a quello delle vittorie in doppia cifra.
Forse è maturo il tempo per la ricostruzione (alla" newyorkese, s'intende), quella ricostruzione che è iniziata già all'arrivo di Isaiah Thomas, con il rinnovamento del roster sia in talento che in giovinezza. I passi, a grandi linee, dovrebbero essere questi:
– Inserimento fin da subito di Ariza e Sweetney in quintetto, così da svilupparli, fargli fare esperienza e valutarne il potenziale. Inutile continuare a giocare con i vari Tim Thomas: lasciare lui e Penny Hardaway in panchina non abbasseranno intanto il loro valore di mercato, dato che è già adesso al minimo.
– muoversi in estate per cercare di ripetere la mossa che ha portato all'acquisizione di Marbury, ossia cercare di ottenere il può possibile dalla cessione dei contratti che entreranno nell'ultimo anno di Tim Thomas, Vin Baker, Penny Hardaway e Mookie Norris. Con un monte salari da 107 milioni di dollari, infatti, è inutile aspettare che questi scadano in casa, perché non si arriverebbe comunque ad avere flessibilità per andare a gareggiare nel mercato dei free agent.
– Un massiccio lavoro di scouting, cercando nelle leghe minori qualche perla nascosta, magari a colpi di contratti decadali. John Starks è arrivato così, non è detto che con un po' di fortuna non si possa ripeterne gli esiti.
A questo punto vi starete chiedendo: "ma come, qui su queste pagine si è sempre detto che a New York la ricostruzione è impossibile perché si preferiscono dei playoffs di basso profilo per giustificare il solito rincaro dei biglietti, ed ora leggo che si ricostruirà ?". Ebbene sì: anche gli Spike Lee si stanno stufando, delusi. Accetterebbero la lotteria.
Si sta però parlando, ripetiamo, di un "rebuild" particolare, non da due/tre stagioni da 20 vittorie per svuotare il cap, ma come detto lavorando con i contratti in scadenza, perché se nella Grande Mela la Cablevision può permettersi una luxory-tax pressoché infinita, non è così in piazze minori, quindi il "colpo gobbo" potrebbe arrivare.
Zeke, poi, gode di molta autonomia presso la dirigenza. A Layden non sarebbe mai stato permesso un tentativo di ricostruzione e dichiarare, più o meno velatamente, che si butterà la stagione alle ortiche a gennaio, ma Thomas forse può permetterselo. Se in questa striscia di sei sconfitte consecutive e 10 nelle ultime 11, è stato bravo e buono, forse vuol dire che questa benedetta ricostruzione sta partendo.
Inutile iniziare a fare nomi, sarebbe prematuro, soprattutto parlando di giocatori. Tra gli allenatori, però, si parla di Phil Jackson (che però vediamo restio a prendere una squadra non già pronta per il Titolo, anche a luglio e non sappiamo quanto di buon grado accetterebbe l'autorità di Zeke) e Larry Brown (in rotta con il suo GM Joe Dumars).
Poi, magari, ci siamo sbagliati su tutto, domani Kurt Thomas diventa Kevin Garnett, Tim Thomas Dottor J, Mohammed Wilt Chamberlain e Crawford si mette a tirare con il raziocinio di Jeff Hornacek e questo report diventa ancora di più aria fritta rispetto a quello che è già "