Trevor Ariza è l'unico a volare in questo momento
L'inversione di rotta non è arrivata ed un piccolo iceberg di nome Hornets ha dilaniato lo scafo. Si salvi chi può, la nave Knicks sta colando a picco ed il comandante Wilkens resta sul ponte (forse perché non si sta rendendo bene conto di cosa stia succedendo, maledetta arteriosclerosi? ndr).
Sei sconfitte nelle ultime sette partite giocate parlano da sole, il momento è sportivamente drammatico. Incredibilmente, con un bilancio di 17 vinte e 19 perse, si resta al vertice dell'Atlantic.
Gli alibi veri o presunti degli infortuni di Jamal Crawford, Penny Hardaway e Tim Thomas reggono fino ad un certo punto perché, fino a qui, New York ha sempre vissuto sulla lama del rasoio come ogni jump-shooting team che si rispetti, alternando ottime prove ad altre davvero sconcertanti. Poteva dunque arrivare il momento della striscia negativa e puntualmente si è presentato, sfasciando in due settimane le speranze e le poche illusioni dei tifosi.
Le sconfitte, nella vita e nello sport, portano a galla tutto il marcio che sta dietro anche alle vittorie, perché queste ultime lo mascherano. Oggettivamente, in fondo al cuore, anche i più ottimisti sapevano che dietro alla leadership della propria Division i problemi c'erano, pure troppi. Prima di affrontarli, però, andiamo a vedere cosa è successo in quest'ultima settimana sul parquet.
New Orleans si presenta al Garden come peggiore squadra della lega dal basso delle sole 3 vittorie in 32 partite. Ebbene, gli Hornets centrano il quarto successo stagionale (88-82). Solo Marbury e Jerome Williams (ancora in quintetto per l'assenza di Tim Thomas) degnano i presenti con una prestazione sufficiente, mentre il resto del roster è impresentabile. Wilkens ferma la rotazione a soli sette uomini, un po' per scelta e un po' perché obbligato dagli infortuni.
A sorprendere ancor di più è che la squadra di Baron Davis resta sempre avanti nel punteggio se non per meno di un minuto nel secondo quarto. Il resto è dominio degli ospiti, con Dan Dickau, non certo un fulmine di guerra, che umilia Allan Houston. Il NY Post, disperato quanto i lettori bluarancio, scrive: "E' un momento terribile per essere un Knickerbocker".
Se si perde con gli ultimi della classe, pare dunque scontato andare a Chicago e tornare con una L sul proprio tabellino contro dei Bulls mai così in forma dai tempi di Michael Jordan. Questa volta però i Knicks mostrano una pur minima reazione, ma se ti devi affidare al peraltro ottimo Trevor Ariza quale go-to-guy, vuol dire che non sei messo tanto bene.
Il rookie, per carità , risponde alla grande con 18 punti e 9 rimbalzi, ma si fa stoppare il tiro del vantaggio a 5 secondi dalla fine, azione su cui si innesta il canestro della vittoria di Eddie Curry sul contropiede generatosi (86-84). Proprio il centro dei Bulls, a fine gara, definisce la difesa interna dei Knicks "soft".
"Abbiamo perso. I miei career-highs? non mi interessano se non vinciamo. Io sono così: se i miei numeri non servono per vincere, non contano veramente. Peccato per quell'ultima azione. Avrei dovuto fintare e prendere la linea di fondo, invece ho sbagliato il timing. Spero di ritrovarmi di nuovo in una situazione del genere perché so che non sbaglierei più" Ecco le parole di Ariza.
Velo pietoso sulla prova di chi dovrebbe mettersi sulle spalle la squadra, altro che un rookie scelto con la 44 e non ancora ventenne. Marbury ne mette 25 smazzando 10 assists, ma con brutte percentuali al tiro e senza incidere nel finale. Williams gioca solo 16 minuti per un infortunio; Mohammed ha problemi di falli e a Michael Sweetney gliene vengono fischiati sei in 19 minuti. La perla delle perle, poi, è che Houston è panchinato nel finale a favore di Mookie Norris, dato che il ginocchio torna a far male e Wilkens lo vede "troppo rigido su quell'arto".
A New York, viste le sole due gare giocate, si è parlato e scritto molto, quindi noi non vogliamo essere da meno.
Partiamo dal vecchio argomento della squadra da 50% che Isaiah Thomas ha sfornato una decina di giorni fa. Alcuni l'hanno accusato di disfattismo, altri di essere realista. I suoi sottoposti hanno effettivamente storto un po' il naso, perché in pratica li ha affossati. Zeke, alla fine della fiera, si è auspicato almeno di finire quattro vittorie sopra il bilancio di parità .
Marbury: "Credo che se siamo sani, possiamo essere meglio di così, ma ora ci sono troppi infortunati e penso che potremmo arrivare anche a 50 vittorie. Faremo di tutto per arrivarci" ma per cosa stiamo giocando? Per provare a vincere un anello o per fare soldi? Io so che sto giocando per il Titolo. Isaiah è stato realista perché per ora è come dice lui, ma noi abbiamo l'obbligo di migliorare" .
Wilkens: "Appena recupereremo gli infortunati non saremo più un team da 50%. Da coach devo porre come unico limite il cielo".
L'alibi degli infortuni però regge fino ad un certo punto, perché i Knicks non hanno mai dato l'impressione di potersi staccare di dosso l'etichetta appicicatagli da Zeke, anzi, le parole del GM frullavano nella testa di parecchi addetti ai lavori da un paio di mesi.
Il problema più grave è la difesa. Lenny Wilkens, ripetiamolo ancora una volta, in un anno non ha dato un sistema difensivo alla squadra, debole sia quando è chiamata a difendere a metà campo, sia al rientro nelle transizioni.
I giornali newyorkesi non usano giustamente mezzi termini. Si passa da ottime gare (Denver, Orlando, Minnesota) a porcherie allucinanti (Cleveland, Boston, Dallas, Toronto, New Jersey, ora pure New Orleans): le prestazioni come quella contro gli Hornets portano al licenziamento di un allenatore, non solo in uno sport professionistico, ma spesso anche a livello di high school. Ad essere elastici, due o tre prove vergognose sono concesse, ma ormai con Wilkens si è abbondantemente oltre quota cinque.
Alla fine, però, il licenziamento del coach sarebbe come un'ammissione di fallimento da parte di Thomas ed onestamente non c'è molto sul mercato. Spariti Mike Fratello e Doc Rivers e con Phil Jackson che non prenderà di certo la squadra in corsa, resta il neo disoccupato Jeff Bdzelik, che potrebbe essere ben più della classica soluzione di ripiego.
Zeke, però, chiosa, quasi attendesse di aver un roster competitivo per tornare in panchina di persona con una squadra che gli piaccia" ma chi visse sperando"
Senza una "blockbuster trade" all'orizzonte, si andrà avanti così, finchè i contratti di Penny, Tim Thomas e Norris non saranno appetibili, entrando nell'ultimo anno di garantito. O almeno questo è per ora il pensiero più comune.
Diciamocelo francamente: il roster attuale non è competitivo.
Molti danno la colpa a Stephon Marbury che avrebbe dovuto guidare la squadra della sua città verso la terra promessa. Da solo? In NBA non si vince con un singolo giocatore, figuriamoci se con un esterno. Non migliorerà i compagni, ma quale playmaker lo fa, oggi, in NBA? Jason Kidd, Steve Nash (da testare però sul lungo periodo)" poi? Ci si può pure accontentare del terzo PM della Lega, visto che comunque è un miglior realizzatore rispetto agli altri due.
Chi si pensava che Steph avrebbe vinto l'Anello da solo, ha sbagliato fin dal principio. Occorre un lungo che spalleggi il nativo di Coney Island, poi si vedrà se è davvero il caso di gettargli definitivamente la croce addosso per ogni fallimento delle squadre che lo hanno avuto tra le fila.
Oggi non può di certo estrarre vino dalle rape. Tim Thomas avrebbe dovuto essere la chiave di svolta, ma ha fallito per l'ennesima volta, senza mezzi termini. Difende male, tira peggio e non attacca il canestro, basti pensare che Jerome Williams, con 340 minuti in meno giocati, è andato cinque volte in più in lunetta. Il buco in ala piccola è profondo.
Jamal Crawford, la polizza assicurativa per il ginocchio di Houston, sarà la classica boa di salvataggio già nel breve periodo, sperando che con il tempo migliori la selezione al tiro così da trasformarsi in una stella. Senza di lui, i Knicks sono 4-5, nonostante una partenza di 3-0 coincisa con buone prove di Houston. Con la flessione definitiva del capitano, il bilancio è caduto in negativo.
Il duo titolare dei lunghi vede Kurt Thomas sempre più logoro da troppe battaglie contro gente più grossa di lui. Attualmente sarebbe più un lussuoso backup che non un uomo da starting five. Nazr Mohammed è cresciuto, se non ha problemi di falli può pure risultare determinante. Sarebbe bello vederlo o accanto ad un'ala atletica o ad un big man. Insieme a Marbury e (si spera) a Crawford, Nazr occupa uno spot che può considerarsi ben coperto.
Altre note dolenti vengono dalla panchina. Oltre all'ottimo Jerome Williams, che un tuffo sulle prime file per recuperare una palla così da galvanizzare pubblico e compagni non lo nega mai, cosa passa il convento in quella che doveva essere il vanto dei Knicks?
In primis, due ex giocatori. Di Anfernee Hardaway, francamente, non ci va di parlare: probabilmente sta attendendo la pensione seduto in una veranda in qualche paesino nei dintorni di Memphis. Allan Houston è ormai altrettanto finito. Al momento, sta discutendo con lo staff medico sull'eventualità di fermarsi per qualche gara, ancora.
Sembra che giochi al rallentatore, tutti gli vanno via e pure il suo tiro non è più bello fluido, con parabola alta e morbida come quello di una volta; oggi è piatto, rigido, senza troppo arco. Dice che la colpa è del ginocchio che spesso gli fa ancora male, ma non risponde quando gli viene chiesto qualcosa che riguarda la meccanica di tiro, irritandosi.
Si dice che la colpa di questa sua involuzione sia di Charles Austin, medaglia d'oro ad Atlanta nel salto in alto, il nuovo personal trainer di H20. Ci si chiede: cosa c'entra un saltatore in alto con il basket? Cosa ne può sapere di uscite dai blocchi, contatti e tiri in sospensione?
Michael Sweetney paga i troppi centimetri che regala agli avversari diretti. Questo lo porta non solo ad avere difficoltà in attacco (sta cercando di costruirsi un tiro dai 2-3 metri cadendo all'indietro per ovviare al problema), ma ovviamente pure in difesa, il che lo porta a commettere troppi falli e, difettando pure il atletismo, la fatica è tanta. Il paragone con Elton Brand è ormai un'offesa per il giocatore dei Clippers.
Trevor Ariza, benché una sorpresa ed il canditato numero uno al titolo di "Steal of the draft", è pur sempre un rookie scelto con al secondo giro. Principale (anzi, unico) terminale degli alley-up di Starbury, oltre all'atletismo che gli è sempre stato riconosciuto, si sta costruendo un discreto jump-shoot dalla media, tiro che già su queste pagine ci auguravamo mettere in repertorio la prossima estate. Invece il ragazzo sta evidentemente lavorando molto in palestra imparando in fretta, segno che i suoi margini di miglioramento potrebbero essere molto in là .
Vin Baker è uscito dalla rotazione di Wilkens se non per sporadici minuti, quindi resta in giudicabile. Bruno Sundov" chiedete a Flavio Tranquillo, se non ha abbandonato la telecronaca dopo averlo visto anche solo in panchina. Mookie Norris? Chi, quello che Guido Baratta prendeva come pietra di paragone per "se c'è Norris in NBA, allora Pozzecco ci può stare alla grande"?
Chiude Jamison Brewer, terzo PM che oscilla tra lista infortunati ed dodicesimo spot. Ingiudicabile, ma non diventerà di certo John Stockton e neppure il nuovo Bobby Jackson.
Il quadro, se siete arrivati fino qui nella lettura, è questo. Zeke, per quanto ci riguarda, ha ragione: jump-shooting team da 50%, forse +4, ma siamo lì. Arrivederci al prossimo report, se non vi siete stancati di leggere le solite storie di fallimenti ormai da troppi anni.