Arizona Dreaming

Steve Nash e i suoi Suns: i migliori della Lega. Chi l'avrebbe mai detto?

Se Vince Carter è (era…) soprannominato Air Canada, per la sua propensione a passare una gran parte delle partite con i piedi sollevati da terra, e per il fatto di ricevere gli assegni di fine mese in dollari canadesi invece che in classici verdoni, Steve Nash viene omaggiato da alcuni (e a buon diritto) con il nomignolo di “Hair Canada” per la sua nazionalità , e per una ostinata desuetudine all'utilizzo di gel e spazzola.

Nativo di Johannesburg, in Sud Africa, ha un fratello che ha giocato a calcio nella Premier League inglese, ma è di nazionalità  Canadese, pur avendo speso tutta la sua carriera professionistica negli Stati Uniti (e se volete completare il suo curriculum “geografico”… ha lavorato per un Cuban!!).

Scelto al draft del 1996 dai Phoenix Suns ha passato le sue prime stagioni nel deserto dell'Arizona a prendere appunti da due mostri sacri del ruolo di point guard, Jason Kidd e Kevin Johnson. Trovatosi suo malgrado in una situazione in cui mancava solo che appendessero al suo armadietto un cartello con la scritta “Spiacenti, siamo al completo”, Steve decise che per la propria completa maturazione avrebbe avuto bisogno di cambiare aria. L'occasione si materializzò in una trade che lo portò ai Dallas Mavericks nel 1998 in cambio di Pat Garrity (e vabbè), Martin Muursepp (che probabilmente rientra nella top 5 del titolo di “European Bust of the decade”) e Bubba Wells (…inserire commento a piacere), più una prima scelta del 1999, tramutatasi in Shawn Marion (e poteva andare peggio).

E' stato il cosiddetto turning point. In Texas Nash ha trovato il suo ambiente ideale: un coach che l'ha fortemente voluto e che gli ha consegnato le chiavi della squadra (Nelson), un proprietario entusiasta della sua personale interpretazione del Gioco, un pubblico che l'ha subito accolto come un beniamino, non foss'altro che per quella capigliatura da “a che ora si gioca?” (indimenticabile descrizione del Buffa), e dal 1999 un compagno di squadra e un amico prima di tutto come Dirk Nowitzki.

Il suo stile di gioco, tutto imperniato sul “corri e tira”, ha consentito ai Mavs di produrre uno degli attacchi più prolifici e divertenti da vedere della NBA, il che è quasi sempre sinonimo di “squadra che non difende”, il che a sua volta non sempre (praticamente mai) si accompagna ad una squadra che fa strada nei playoff.

E infatti i Mavericks sono sempre stati in questi anni la classica squadra da stagione regolare, sempre ai vertici della classifica della media di punti segnati a partita, sempre ai playoff, ma mai fino in fondo. La scorsa stagione scadeva il suo contratto pluriennale, e il proprietario dei Mavs Mark Cuban era pronto a far firmare al ragazzo della British Columbia un'estensione che lo mettesse tranquillo. Ma Steve e il suo agente, Dwight Manley, decisero di rifiutare l'estensione proposta loro, per saggiare le acque aperte della free agency.

Nel blog di Mark Cuban potete trovare un'accorata e dettagliata spiegazione di come sono andate le cose, compreso un gustoso retroscena sui rapporti burrascosi tra il vulcanico owner di Dallas e l'agente di Nash (che ha tra i suoi assistiti anche Karl Malone… notato che nessuno menziona Dallas come possibile destinazione per il secondo marcatore della storia?). La conclusione della vicenda è stata che i Phoenix Suns hanno avanzato un'offerta impensabile e soprattutto impareggiabile, e i plenipotenziari di Dallas (Cuban, Don Nelson e… Nowitzki) sono stati costretti loro malgrado a salutare la point guard canadese.

Onestamente, molti vedevano nella mossa del front office di Phoenix quantomeno un azzardo: offrire un contratto così lungo (5 anni più opzione) a quelle cifre per un play di 30 anni con uno stile di gioco così logorante sembrava come investire nelle azioni Enron il giorno del crack.

Ora, è vero che le trade vanno sempre valutate con una prospettiva pluriennale, ma, come canterebbe Bryan Adams, “so far so good”. I Phoenix Suns guardano tutti dall'alto in basso nella NBA, con un record di 24 vinte e 4 perse, con una media di punti segnati a partita addirittura di 109 abbondanti (che per la NBA di oggi sono come i quasi 130 che facevano scrivere ai refertisti i mitici Denver Nuggets di Alex English, Kiki Vandeweghe e Dan Issell degli anni '80) tirando con il 48% complessivo dal campo e il 39% da tre (in entrambe le categorie sempre il meglio che potete trovare tra le 30 sorelle).

Tutti in scacco, in due sole mosse estive degne di nota: oltre a Nash, è stato fatto arrivare anche Quentin Richardson dai Los Angeles Clippers. Con tutto il rispetto per il talento da DePaul, la chiave della sinfonia dei Suns pare proprio essere l'arrivo del direttore d'orchestra, più che di un pur ottimo violinista (oltre al grande lavoro del “direttore dei lavori”, coach D'Antoni, ma questo meriterebbe un discorso a parte).

Il “ragazzo” sta andando a 15 punti di media a partita, con (udite udite!) il 53% dal campo, e una media di più di 11 assistenze ad incontro, che sono un'enormità  se considerate che è dal '97 che il vincitore della speciale classifica non supera quella soglia (Mark Jackson, se vi stavate chiedendo).

Se non bastassero questi numeri, Steve ha appena battuto un record che apparteneva a Magic Johnson: maggior numero di partite vinte di fila dalla squadra abbinate alla doppia cifra di assist del proprio playmaker. I Suns hanno appena inanellato una striscia di undici vittorie consecutive, interrotte da una sconfitta contro i San Antonio Spurs: in queste 11 sfide, Nash è sempre andato in doppia cifra nei servizi ai compagni, battendo così il limite di 10 stabilito dalla point guard dei Los Angeles Lakers nell'ormai lontano 1987, quando il genio da East Lansing fu nominato anche MVP della Lega.

A proposito di questo, nell'entourage di Phoenix, c'è anche chi sta avanzando l'ipotesi di una “campagna” per sensibilizzare i grandi elettori verso una candidatura del nostro al trofeo Maurice Podoloff, facendo leva sulla nozione del concetto di “Valuable”, che non significa necessariamente il giocatore “più forte” della Lega, ma quello che ha maggior impatto sulla propria squadra.

I Suns hanno finito la stagione scorsa con un record di 29 vinte e 54 perse (andando al ritmo attuale arriverebbero a 72 W a fine stagione, 43 in più!), segnavano 94 punti a partita (15 in meno di quest'anno!), tiravano con il 44% dal campo (+4% oggi), e Steve ha un margine differenziale di punti tra quando è in campo e quando non lo è di +11,3. Il tutto dovendo combattere una forma di influenza che lo sta tormentando da qualche settimana, e che gli impedisce di respirare bene (e chissà  allora quando guarirà !).
Sinceramente non conosciamo migliori definizioni del termine “impatto”.

Le sue caratteristiche tecniche sono rimaste sempre le stesse: è un playmaker che ama correre e lanciare i compagni in contropiede. A difesa schierata, è uno dei migliori (il migliore?) artigiani nell'arte del pick and roll, dove riesce ad interpretare benissimo il ruolo di “tripla minaccia” (tiro, penetrazione, scarico al lungo).

Tra l'altro, si è adattato benissimo alle diverse caratteristiche fisiche e tecniche del suo “compagno di giochi” in situazioni di questo tipo, Amarè Stoudamire, il quale ha una certa attrazione, dopo il blocco, a lanciarsi verso il canestro per schiacciate selvagge, laddove il suo ex partner in crime Nowitzki preferiva aprirsi per il suo solito layup da sette metri e mezzo. L'energia che sprigiona in campo è contagiosa, e la sua leadership dentro e fuori dal campo evidente. Fateci caso: è uno dei pochi giocatori che dà  proprio l'impressione di divertirsi mentre è sul parquet.

Fin qui, le rose e i fiori (o le “le pesche e la crema”, se siete Iversoniani). Si ritorna però al discorso fatto in precedenza per i Mavericks degli ultimi anni: i Suns sono vincenti da regular season e basta? Gli avversari confuciani attendono che il cadavere di Phoenix scorra loro davanti lungo il fiume della post season. Squadra troppo orientata offensivamente, troppo atipica, troppo piccola, troppo devota agli alti ritmi per fare strada nei playoff, dicono. E poi storicamente Nash è sempre arrivato spompo a fine stagione, e ha subito tremendamente i vari Parker e Bibby in difesa.

Tutto vero, tutto giusto, tutto possibile.

Prima di maggio però, rimanete seduti là  davanti per favore, e fateci godere lo spettacolo in santa pace.

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