Travis Best, l'ultimo tassello del nuovo starting five dei Nets
Nove sconfitte consecutive, la peggior striscia della storia. Questo inizio complessivo da due vinte e 11 perse non può certo portare ad un ulteriore tracollo tecnico, ma può sicuramente peggiorare la già precaria situazione psico-fisica non solo dei giocatori, ma dell’intero staff tecnico.
Houston L 69 – 80 2-5
Seattle L 68 – 79 2-6
Washington L 86 – 97 2-7
@ Denver L 88 – 90 2-8
@ L.A. Clippers L 88 – 101 2-9
@ Seattle L 79 – 92 2-10
@ Portland L 73 – 83 2-11
L’infortunio di Ron Mercer è stato ancora utilizzato come parziale giustificazione di queste recenti disastrose prestazioni. Frank dice che aveva dei progetti, un idea di base che prima ancora di potersi sviluppare è stata stroncata. Non ci sono controprove, ma è difficile ipotizzare che con Mercer in campo i risultati dei Nets sarebbero stati di gran lunga più soddisfacenti.
La stampa del New Jersey, che non ritiene granchè sufficienti questo tipo di scuse, inizia a dubitare anche delle capacità del giovane allenatore che, volente o nolente, ha finora portato ad una involuzione tecnica che ha visto in primis l’estinzione quasi totale del contropiede (che purtroppo non potremo mai più chiamare Flying Circus), dell’attacco Princeton e di qualsiasi altro tipo di motion offense.
I Nets attaccano male, sono statici, poco sincronizzati e le individualità stanno avendo la meglio sul collettivo. Fortunatamente si è un po’ consolidata la presenza difensiva e agli avversari vengono concessi circa 92 punti di media a partita. Il grande problema rimane vincolato all’attacco o meglio, per essere più precisi, al peggior attacco del campionato. Solo 81 punti di media dei quali 22 appartengono a Jefferson, 10 a Mourning e agli altri rimangono solo le briciole.
La squadra tira con un 40% complessivo ed un misero 29% da tre punti. Le palle perse sono circa 18 a partita e, il dato che più di tutti fa preoccupare e che sintetizza al meglio la scarsa produttività offensiva dei Nets è il numero di assists: 16 di media contro i 24 della passata stagione.
Lo scorso anno il principale contribuente in questa statistica era, ovviamente, Jason Kidd, che questo anno non c’è. Ma nemmeno a Chicago, una delle peggiori squadre della Lega (sperando che i tifosi dei Bulls e di Hinrich non se la prendano a male), c’è Kidd, eppure la loro media è al di sopra dei 21 assists per partita.
Si torna quindi al punto di partenza: la squadra gioca male, i meccanismi sono bloccati e gli ingranaggi da oliare. E a questo punto non è più solo una questione di talento individuale dei giocatori disponibili nel roster; qui subentrano le (scarse) qualità dello staff tecnico e di Lawrence Frank, in quanto capo allenatore, in particolare.
Dell’attacco Princeton abbiamo già accennato e assistito alla sua lenta ma progressiva dismissione (e probabilmente da questo punto di vista Byron Scott e Eddie Jordan avrebbero qualcosa di dire). Non è comunque detto che non possa tornare in auge con il rientro di Kidd e con la definizione di uno stabile quintetto base.
Con Mercer fuori dai giochi e la coppia Vaughn-Buford dallo scarso rendimento, il ruolo di guardia va a ricoprirlo Richard Jefferson e, di conseguenza, Eric Williams si sposta in ala piccola, ruolo decisamente più consono alle sue caratteristiche. Questa nuova, e forse più logica, formazione esordisce contro i Rockets con risultati abbastanza tristi. Non tanto per la prestazione degli esterni, ma per la curiosa impostazione dei lunghi. Jason Collins, giocatore dai limitatissimi movimenti e con pochi punti nelle mani, diventa improvvisamente ala grande e Mourning torna ad essere in pianta stabile il centro titolare.
Uno starting five decisamente votato alla difesa, ma con grandi, grandissimi limiti in fase offensiva. Soprattutto in considerazione dello stato di riserva energetica di Jefferson. RJ ha una media di 42 minuti giocati per intrattenimento (terzo assoluto nella lega), di cui almeno trenta spesi a difendere sull’esterno più forte della squadra avversaria.
Anche un atleta del suo calibro, per forza di cose, ha il permesso di accusare qualche calo di rendimento che va a sporcare le sue statistiche. Se si considera anche che è l’unica vera bocca da fuoco dei Nets, imbrigliata in un sistema che funziona poco con tutte le forzature del caso, il suo 41% al tiro lascia una doppia interpretazione.
Complessivamente è accettabile proprio per quanto menzionato in precedenza; diventa deficitario quando, come nell’ultima sconfitta a Portland, Jefferson realizza un 3 su 13 nell’ultimo decisivo quarto, permettendo ai Blazers di gestirsi il vantaggio in tutta tranquillità . Contro Portland timbra finalmente il cartellino Travis Best, mettendo a referto 15 punti in 37 minuti. Best era riuscito a “rubare” il posto di point guard a Planinic già contro Seattle, ma la sua prestazione in quella occasione è stata del tutto incolore.
Il contributo dalla panchina continua ad essere insufficiente, ma del resto è appurato ormai che il talento è pochino e l’aspetto tecnico, al momento, non è il solo elemento che lascia a desiderare. Ultimamente sta letteralmente peggiorando l’atteggiamento dei giocatori. Il pessimismo regna sovrano e quelli che vanno in campo danno l’impressione di essere certi di portare a casa un’altra sconfitta.
C’è poca grinta e tanta rassegnazione, soprattutto nelle parole di Alonzo Mourning: “Sembra quasi che anche un sconfitta sia soddisfacente, non dovrebbe essere così…..non sono gli stessi New Jersey Nets che avevo conosciuto perché quel gruppo reagiva alle avversità , questo no……”.
Un Mourning sempre più polemico e arrendevole soprattutto dopo il tanto atteso incontro con Bruce Ratner, che all’unica domanda schietta e ben mirata del centro dei Nets (“Cosa vuoi fare con questo team?), risponde con una sentenza ancora più fredda e breve: “Spostarlo a Brooklyn”.
Mourning a questo punto deve mettersi il cuore in pace, ma per dimostrare a tutti che il soprannome “il guerriero” è più che meritato, rialza la testa e tenta di suonare la carica, correggendo anche le sue stesse dichiarazioni: “E’ un bel gruppo, ci sono dei giocatori nuovi, ma tutti, chi più chi meno abbiamo talento. E se il talento non dovesse bastare, come si sta verificando in questo periodo, si deve migliorare sotto altri punti di vista. Dobbiamo lavorare duro, tutti quanti, per trovare la giusta chimica di gruppo e sostenerci dentro e fuori dal campo. Dobbiamo assolutamente trovare la forza per vincere la prima partita, da li in avanti sarà tutto più facile……”.
Sono certamente parole più positive rispetto a quelle sentite in passato, ma il problema di fondo non è sapere cosa fare, ma trovare il metodo corretto per farlo. E questo è compito di Frank, che ammette in conferenza stampa post Portland di dovere essere il primo a trovare la giusta via per ribaltare questa striscia perdente. Non c’è alcun dubbio che la mentalità debba essere più grintosa ed ottimistica.
Frank potrebbe prendere spunto da un’altra dichiarazione di un suo giocatore, duro quanto Alonzo, se non nel carattere, almeno nelle parole. Eric Williams finalmente esce allo scoperto e cerca di stimolare l’orgoglio dei suoi compagni: “Vestiamo la divisa dei New Jersey Nets con il Logo della NBA ricamato sul petto. Anche i nostri avversati hanno questo logo, con la differenza che loro gli rendono onore, fino alla fine e per 48 minuti, noi lo facciamo solo per tre quarti di gara e poi crolliamo. Il nostro obiettivo è quello di tenere testa agli avversari per tutta la partita”.
Inutile sottolineare che questi miglioramenti devono arrivare in tempi brevissimi, per poter limitare i danni durante il mese di dicembre, in attesa del ritorno del Capitano. Kidd, che ha saltato la trasferta ad ovest per continuare il suo programma di riabilitazione, potrebbe addirittura anticipare i tempi del rientro ed essere disponibile prima della fine di dicembre. Magari vestito da Babbo Natale e con un sacco pieno di regali e vittorie.