Ottimo inizio di stagione per Manu Ginobili
Ricominciare imparando dai propri errori. Ecco lo spirito che ha guidato i San Antonio Spurs in preseason e in queste prime due settimane di Nba. Il tiro di Fisher sulla sirena di gara 5, quello dei quattro decimi, quello che ha formalmente chiuso la serie negli scorsi playoff, ancora risuona nelle orecchie di tutti: giocatori, staff tecnico e tifosi.
Una cosa del genere non può essere dimenticata nell'arco di un'estate, nonostante si sia trattato della off-season più "movimentata", sul fronte mercato, della storia. Gli equilibri si sono spostati. L'asse geografico non è più lo stesso di una volta. L'uomo che non faceva dormire Gregg Popovich, quello che gli creava gli incubi più terribili, se né andato in Florida.
Inutile che l'ex agente della Cia ci dica che gli dispiace. Forse ha ragione solo quando afferma che il West non sarà più lo stesso senza Shaquille O'Neal (come se gli indiani decidessero di andarsene ad est, lasciando gentilmente le loro terre ai "visi pallidi"), che le sfide con gli odiati Los Angeles Lakers perderanno il fascino di una volta.
Il Pop in realtà è contento. Lo sanno tutti. Lo sa perfino lui, che quest'anno ci sarà un avversario in meno con cui competere e che il principale nemico sarà Kevin Garnett, uomo-alieno che ancora una volta sta dimostrando di essere un fenomeno, uomo all-around se ce né uno.
Ma veniamo alla cronaca, cercando di mixare ad essa la giusta dose di commenti e riflessioni.
Dopo una pre-season anonima e senza valore, gli speroni hanno cominciato la stagione in maniera convincente. Tre vittorie ed una sola sconfitta (per altro arrivata sul campo ostico dei Seattle Sonics).
3 novembre.
San Antonio Spurs – Sacramento Kings: 101-85.
Si inizia in casa. Il sipario sulla nuova stagione dei principali "contender" al titolo di Detroit, viene alzato all' Sbc Center, davanti a 18.797 persone. Tutto esaurito per la prima assoluta. A San Antonio si presentano i Sacramento Kings, reduci da trasferte orientali (e soprattutto commerciali) a braccetto con gli Houston Rockets di Yao Ming e oggettivamente molto stanchi per gli oltre 10.000 chilometri e le molte ore di fuso orario.
Dopo le immancabili e classiche presentazioni da "opening-night" ha inizio la partita. Totale controllo. Questa la sensazione che Duncan & co. trasmettono costantemente. Mai in svantaggio netto, dominio totale a rimbalzo (57 a 36) e prestazione da incorniciare per Timoteo e Ginobili, le due stelle assolute di questa squadra.
Il primo mette a referto 30 punti e 14 rimbalzi con 11/17 dal campo e 8/8 ai liberi, mentre il secondo, fresco di medaglia d'oro alle Olimpiadi, piazza 24 punti, 9 rimbalzi, 3 assist e 3 rubate, con 7/12 dal campo, 2/3 dal perimetro e 8/9 ai liberi.
Francamente per i Kings c'è stato poco da fare ed è stato lo stesso Peja Stojakovic a riconoscerlo: “Con Manu in quintetto di partenza e Brent Barry sul pino pronto ad entrare, questi Spurs sono migliori rispetto all'anno scorso. Loro hanno avuto più spazio e più tiri in campo aperto e questo forse perché erano più riposati".
Ma aldilà dei demeriti di Sacramento, ciò che ha impressionato è la nuova versione degli Spurs: un mix tra passato e presente, tra vecchia e nuova mentalità , che francamente deve spaventare in molti ad Ovest. Emanuel Ginobili è ormai in quintetto. Bruce Bowen è pronto difendere contro tutto e tutti. Tim Duncan e Rasho Nesterovic che dettano legge in area pitturata.
Ma quello che ha alzato il livello di questa squadra è la panchina; sotto due punti vista: la maggior profondità della stessa e la maturazione tecnico-tattica di Gregg Popovich. Cominciamo con il primo aspetto. Uomini come Brent Barry, Devin Brown, Malik Rose, Robert Horry, Beno Udrih (15 minuti per lui all'esordio) e Tony Massenburg, ti garantiscono un'ampia rotazione e permettono ai titolari di recuperare energie importanti in vista dei quarti periodi che, nella Nba di oggi, stanno diventando sempre più decisivi.
Di sicuro però, il fattore che più sta incidendo sui nuovi speroni, è Popovich. Le Olimpiadi gli hanno insegnato qualcosa. Gli hanno fatto capire che nessuno deve essere mai sottovalutato, aldilà di quanti fuoriclasse possa disporre la tua squadra. Ha capito che il talento, oltre ad avere un notevole valore e peso "dietro", ha anche un estremo significato in "avanti".
Dunque difesa si, ma anche attacco. Se uno come Barry gioca 29 minuti di media con il Popp. qualcosa significa, considerando poi che Ginobili ha lo stesso tipo di minutaggio. Insomma la sintesi fra difesa e attacco è l'aspetto che potrà risultare vincente in questa stagione.
5 novembre.
San Antonio Spurs – Los Angeles Lakers: 105-96. Si torna in campo, non per una partita qualsiasi, ma per una grande sfida contro i nuovi Los Angeles Lakers di Kobe Bryant. È vittoria schiacciante (105-96) molto di più di quanto il risultato faccia immaginare. Primo tempo dominato. Secondo in controllo assoluto. Da vera grande squadra.
Un uomo solo al comando ha guidato la missione texana in California. Il suo nome è Tim Duncan: 26 punti (con 10/21 dal campo e 6/12 ai liberi), 16 rimbalzi, 2 assist e 3 stoppate. Nesterovic (14 punti), Ginobili (18 punti), Parker (16 punti) e Barry (13 punti) contribuiscono al grande successo allo Staples Center.
Le buone prestazioni di Bryant, 28 punti (8/22 dal campo, 1/5 dal perimetro e 11/13 ai liberi) conditi da 5 rimbalzi e 4 assist e di Odom, 24 punti (8/15 dal campo, 2/3 nelle triple e 6/10 dalla lunetta) con 11 rimbalzi e 4 assist, 3 rubate e 2 stoppate, non fanno altro che nobilitare la grande prova degli speroni.
7 novembre.
Seattle Sonics – San Antonio Spurs: 113-94.
È la prima sconfitta stagionale. In realtà non in molti se l'aspettavano. Gli Spurs avevano dato un'ottima impressione in casa dei Lakers, mentre i Sonics venivano da sette sconfitte consecutive (considerando anche la passata stagione).
Sin dalla palla a due si è avuta la sensazione di un Duncan non eccezionale (nonostante la "solita" doppia doppia finale), forse un po' stanco dopo le prime due partite a pieno regime. Considerando poi il resto della truppa, solo Ginobili e Parker hanno tenuto botta.
Per il resto c'è poco da salvare. Gli Spurs hanno sofferto soprattutto in difesa. Subire 41 punti nell'ultimo periodo e 113 in totale, è inaccettabile per un team che punta dritto alla finale Nba.
Per i Sonics invece tre uomini in missione: Ray Allen (24 punti con 10/20 dal campo e 6 rimbalzi), Rashard Lewis (27 punti con 9/17 dal campo e 9/9 ai liberi e 5 rimbalzi), ma soprattutto Danny Fortson: 15 punti (3/8 dal campo e 9/10 ai liberi) conditi da 15 rimbalzi.
Proprio l'ex Golden State e Dallas ha fatto sentire la sua discreta stazza sotto canestro, mettendo più volte in difficoltà Timoteo (che negli spogliatoi ha parlato di una semplice giornata storta), garantendo quell'apporto che invece non è arrivato dal deludente Jerome James, centro titolare dei SuperSonics ormai in rotta con gran parte dello spogliatoio.
10 novembre.
San Antonio Spurs – Golden State Warriors: 91-71.
È stata la serata in cui i texani hanno dimostrato a tutti la loro "nuova versione": difesa tostissima e attacco efficace da ogni posizione. Le cifre parlano chiaro: 47% dal campo per San Antonio, 30% per i Warriors. Mettiamoci poi la prestazione-super per Tim Duncan (23 punti e 18 rimbalzi) ed Emanuel Ginobili (22 punti, 5 rimbalzi e 3 assist) ed ecco pronti tutti gli ingredienti per una vittoria fin troppo facile.
Aspetto molto più interessante il ritorno di Derek Fisher all'Sbc Center di San Antonio. Era la prima volta per l'ex gialloviola dopo quel tiro ormai entrato nella leggenda.
Queste le parole di Fisher al termine della match: “All'inizio non ero molto emozionato per questa partita, ma quando ho sentito che il pubblico mi ha dato un "gran benvenuto" (fischi e boo a tutto volume), devo ammettere che ho provato delle belle sensazioni. Quando il pubblico che per anni ti è stato avversario ti fischia vuol dire che sei rispettato".