Nel bene e nel male, Chris Webber fa sempre discutere
A volte le fortune delle persone si intrecciano fra loro a determinare il destino del gruppo in cui si muovono. A maggior ragione, accade per i grandi campioni, quando assurgono al ruolo di giocatori di riferimento.
Mike Bibby e Chris Webber toccarono il loro apice nel 2002, al loro primo anno assieme: entrambi giocarono al loro meglio di sempre, in una serie, quella con i Los Angeles Lakers, persa all'ultimo respiro. Se vinta, sarebbe arrivato il titolo.
Un anno dopo le cose andarono peggio: Webber, come sappiamo, si ruppe una cartilagine del ginocchio e non diede contributo. Bibby fu la pallida immagine del giocatore che aveva dominato Derek Fisher l'anno prima. Steve Nash vinse largamente il confronto diretto e Dallas eliminò i Kings in semifinale di conference.
Il resto è storia recente: l'ex Michigan, inginocchiato e con la testa in mezzo alle braccia, dopo aver visto il suo ultimo tiro uscire, per l'ennesima eliminazione bruciante della sua sqaudra in una gara7 playoffs. Nell'ultima post season la loro connection, sul campo, è apparsa ancora più evidente per via di quel pick n roll, indispensabile a mettere in movimento l'ala forte.
Caratterialmente i due non potrebbero essere più diversi: tanto attira le luci della ribalta Chris, tanto le rifugge Mike. Uno stile di gioco senza fronzoli, che sulle prime ha fatto storcere il naso a chi identificava i Kings con le mattane di Jason Williams. Webber è diverso, lo è sempre stato: quel sorriso gli apre qualsiasi porta. E dove non arriva il sorriso, arriva il talento che lo ha portato ad essere sempre l'uomo di riferimento da Michigan, al centro dei Fab Five, fino ai Kings.
Webber piace per le movenze, del tutto irreali per un uomo di quella stazza. Per la seta dei suoi tiri. E perché ha sempre avuto quella dose di incompiutezza che non lo rende indifferente.
Il rapporto con la "sua gente" è controverso. Lo amano, lo hanno amato e per questo gli rimproverano i suoi continui tradimenti: il rimprovero si è trasformato in aperta contestazione, una sera che Chris tirò 2 su 21, in casa contro Golden State. In quegli ululati, la gente mise tutto: il risentimento per l'uomo che nel 2001 dichiarò apertamente di voler andare via, il tipico moralismo della puritana provincia americana nei confronti dell'afroamenricano che fa uso di droghe leggere.
Il giocatore, ancora recentemente, ha fatto sapere che di quella serata è rimasto un segno. Come in una coppia che ha ricomposto uno screzio pesante. Ed in fondo Webber è proprio così: una bella donna che ami alla follia ma che non senti mai completamente tua. I tifosi dell'Arco Arena, comunque sia lo amano: lo amano quando tira bene fa fuori, quando mostra sprazzi dell'esplosività antecedente all'infortunio.
Mike Bibby, come detto, ha dovuto combattere conto un fantasma: quello di Jason Williams. Il play, ora alla corte di Jerry West, con i suoi sprazzi d'artista ha infiammato il pubblico di Sacramento come nessuno. Fino a che Geoff Petrie ha dovuto ammettere che per battere il cinismo dei Lakers serviva ben altro.
Bibby ci è andato vicino come nessuno. Con il tiro che, nel 2002, diede la vittoria ed il 3-2 alla sua squadra. Costringendo letteralmente Phil Jackson a spendere Bryant in marcatura per lui, laddove Fisher e Lindsey Hunter venivano sistematicamente imbarazzati. E con una gara7 ai limite delle possibilità umane. L'immagine più intensa del giocatore rimane quella del di gara6 allo Staples Center, con il naso rosso, ai limiti del sanginamento per un colpo ricevuto da Kobe, che non gli impedisce di mettere un tiro in un finale serratissimo.
Spesso Bibby passa inosservato, come quei giocatori che dai quasi per scontati per la loro regolarità . In campo però si sente, e te ne accorgi le rare occasioni in cui, come in gara1 contro Dallas quest'anno, gioca male. Alla squadra manca una guida, nonché un leader occulto.
Da tre anni a questa parte le stagioni dei Kings sono assimilabili al film in cui Bill Murray si sveglia e rivive sempre lo stesso giorno. I due giocatori sperano che quest'anno sia diverso.
Webber ha dichiarato: "Voglio avere con me giocatori che diano tutto, che pensino intensamente alla possibilità di vincere un titolo qui e non si accontino di una buona stagione." E c'è da credere che i due saranno ancora il punto di riferimento.
Magari ingombrante, nella squadra in cui gioca Stojakovic, il secondo marcatore dell'ultimo campionato. Ma pur sempre gli uomini in grado di determinare i destini della franchigia. Una versione moderna di Stockton e Malone.