La sagoma inconfondibile dell'ultimo grande centro di New York
Quello in atto a New York è un patto a due con il demonio in persona; accordo non richiesto e quasi imposto, accordo sconveniente nel quale l'unico seppur minimo vantaggio è fornito dal fatto di poter rinviare ad agenti esterni l'ininterrotta serie di sventure che da decenni ormai si abbattono puntuali sul Madison.
Concezione quasi religiosa del destino,ma la serie di motivi per non ritenerla puramente fittizia o speculativa può essere ricercata in più di un tangibile aspetto,e sarebbe davvero ardua impresa trovare testimonianza più attendibile di quella di un'icona del basket giocato. Forse basterebbe l'inclusione tra i più grandi 50 giocatori d'ogni epoca a nobilitare il soggetto in questione,se non fosse che la carriera di costui rappresenta un'argomentazione quasi "giuridica" nei riguardi della fortuna, buona o cattiva che sia la sua accezione.
Lo spettabile Claudio Limardi amava iniziare i propri, frequenti pezzi su Patrick Aloysius Ewing tirando in ballo la struggente storia di mamma Dorothy che si accolla una famiglia e tra mille stenti la mantiene, ma con tutto il rispetto per una verità comunque storica l'evoluzione degli eventi ci vieta di analizzare il giamaicano integrato e di successo,quanto piuttosto il giocatore, la stella internazionale, il rappresentante politico di altissimo peso per la categoria dei giocatori, quello raffigurato di spalle a David Stern con in pugno una pistola, quello indubbiamente "duro" pure sul parquet di una Eastern d'altri tempi, basti pensare alle celeberrime rivalità con Miami o Chicago.
Ewing è a tutti gli effetti americano e forse famoso in quanto tale,e la sola particolarità veramente caraibica che ha mantenuto è una faccia più che mai tosta in bello stile Marcus Garvey, prima di essere stroncato dalle fatiche psico-fisiche dovute ad un'età avanzata ed all'impietosa stampa newyorkese, cui ha resistito pure troppo.
Oltre a questo, tra tutte le definizioni nelle quali Ewing non può e non deve essere assorbito c'è in primis l'epiteto di "non vincente", senz'altro dovuta ad un anulare rimasto decisamente spoglio pure anche in un'invidiabile bacheca di riconoscimenti, e non sia questa una delle classiche invettive pro-Stockton o Malone: le versioni di Seattle o di Orlando sono poi un goffo canto del cigno, realisticamente distante dalla speranza e pure dalla possibilità di raggiungere il tanto agognato titolo, sfiorato in non meno di tre occasioni.
E se i pivot non sono per definizione troppo propensi all'assist,è normale che il miglior Knickerbocker in questa specialità sia a tuttora tale Frazier Walt, meno normale e certamente notevole che in ogni altra categoria eccezion fatta per media-punti (McAdoo) e tiri dalla lunga (Starks), il primatista si chiami sempre allo stesso modo, ed indossi immancabilmente il numero 33, ornamento di nessun'altra possibile schiena da quando nel 2000 Ewing decise di levare le tende, e di mettere la propria lentezza (allora da 15 punti e 10 rimbalzi a sera) al servizio dei Sonics,fino a quel tempo abituati agli scempi di McIlvaine.
Per un'ulteriore conferma del fatto che non stiamo citando i numeri di uno qualunque ci siano d'aiuto le tre Finali NCAA con gli Hoyas di Georgetown, delle quali si aggiudicò soltanto la seconda(1984) perdendo la prima per colpa di un imberbe Michael Jordan, mentre nel 1985 fu l'indiscusso numero uno del college Basketball, situazione che gli valse la prima chiamata nel draft dello stesso anno(Chris Mullin e poi il nulla),ad opera dei New York Knicks che non poterono esimersi dal selezionarlo.
Epoca,quella di Georgetown, che sarebbe stata destinata a riemergere in numerose circostanze della vita di Ewing,sia per il puro piacere di ricordare il Black Power in voga a quei tempi con la co-gestione Ewing-Thompson,sia per l'efficace tradizione di lunghi che si è poi protratta fino a Mourning e Dikembe Mutombo, ed ereditata personalmente nientemeno che da Bill Russell.Quanto alla proverbiale ciliegina sulla torta, ecco 17 stagioni in NBA, a 21 punti, 9.8 rimbalzi e 2.45 stoppate, numeri condizionati dai diversi infortuni subiti che l' hanno portato a disputare almeno 80 incontri in sole sei annate, con il picco negativo '97-'99 che lo ha visto scendere in campo in appena 64 occasioni nel biennio.
Seattle ed Orlando vanno ritenute,piuttosto,le stagioni del rifiuto dei propri limiti,allo stesso modo in cui siamo stati costretti a subirci Olajuwon in maglia Raptors ed al contrario dell'Ammiraglio,che ha concluso in grande stile con tanto di titolo.
Olajuwon citato non casualmente, non solo in qualità di centro dominante degli anni '90 al pari di Ewing e David Robinson,ma soprattutto per aver negato con violenza ad Ewing la gioia del titolo nel 1994,occasione in cui i Knicks si portarono persino avanti per 3-2, per poi capitolare mestamente tra le braccia di Hakeem e la totale frustrazione di John Starks.
Olajuwon ci teneva a regolare i conti,non fosse altro per lo smacco subito esattamente un decennio prima dagli stessi Hoyas di Patrick, quando ancora si chiamava Akeem.
Curiosamente poi, i due lunghissimi sopra ricordati hanno entrambi giocato due finali come Ewing,ma entrambi con un eloquente due su due in fatto di vittorie, dato che ben si inserisce al fianco dell'epopea targata Jordan,che risultò fatale proprio al nostro uomo da Kingston.
Gi nel 1992, dopo un'annata da 50 vittorie, i Bulls affondarono New York in gara7 del secondo turno, per non parlare delle finali di conference del '93,che videro i Knicks soccombere 4-2 dopo una partenza stratosferica,nella seconda grandissima opportunità di realizzare il proprio sogno.
Si afferma questo a ragion veduta; d'altronde non è poi molto significativa l'ennesima eliminazione per mano dei Bulls dei record nel'96,ma neppure quella con gli Heat nel '97, quella della rissa e delle squalifiche in cui pure Ewing fu estromesso dalla serie,persa per 4-3.
La finale del '99 poi non fa davvero testo: infortunatosi in gara2 delle finali di Conference contro Indiana,non fu neppure della sfida,dominata dalle Twin Towers Duncan e Robinson. Bilancio magro, di sconfitte più che di vittorie memorabili,con premi di consolazione come poté forse essere il 4-3 su Miami nel 2000, ma è in vero esito a dir poco scarno.
Dopo di che Ewing divenne ineluttabilmente lento,progressivamente più macchinoso nella situazione più imbarazzante della propria esistenza da quando veniva sfottuto per la forte cadenza giamaicana, per effetto della quale l'uomo si pronuncia "mon" e tutte le a diventano cupe.
Allora reagì dedicandosi con dedizione alla pallacanestro pur di fronte alla "propria" fine cestistica,non seppe però resistere alla tentazione di un ultimo assalto,e se i 9.6 punti e 7.4 tabelloni di Seattle(rammentate la "King Kong trade"?) commossero tutti,il misero 6 più 4 collezionato in Florida fu pressoché scandaloso,in quanto unica imperdonabile pecca di un mostro sacro:il miglior "shooting center" di sempre,a detta di molti,nei cui confronti l'ultimo spogliatoio dei Knicks fu persino cinico,con Spreewell e Camby a non soffrire più di tanto per la sua mancanza.
Per il resto ogni ulteriore considerazione rasenta il superfluo,al cospetto di 11mila rimbalzi e quasi 25mila punti e 3mila stoppate,di due ori olimpici(come pro nel primo vero ed unico Dream Team della storia e come collegiale nel 1984),11 chiamate all'All Star Game di cui 10 in perfetta successione cronologica.
Passando poi per un primo quintetto assoluto nel '90 e sei inclusioni nel secondo,ed altre tre nel secondo quintetto difensivo. Elenco non malvagio, su questo non vi sono dubbi,ma che rende maggiormente l'idea di quanto questi '90 siano stati anni di lotte di estrema difficoltà tra egemonie e mezze dittature, tra le quali Ewing ha cercato di sguazzare nel miglior modo possibile, ma senza mai giungere a livelli in assoluto dominanti; ed è qui che forse può essere tirato in ballo il lato più umano della vicenda.
Giacché alla prova dei fatti stiamo parlando di un dramma, dell'essere incompiuti pur essendosi crogiolati per anni nel successo e nella popolarità senza che alcun coach riuscisse a giovare a Pat in maniera definitiva, che fosse Hubie Brown, che fosse Pat Riley, Rick Pitino o Jeff Van Gundy.
E così ecco quel 33, a penzoloni al fianco di vari Willis Reed, Walt Frazier, Earl Monroe, Bill Bradley, ma con lo stesso bottino di uno Starks o di un Oakley, giusto per citarne due ad Ewing legati nella malasorte e nelle mille peripezie.
E pensare che per quelle ginocchia tanto fragili qualcuno non gli avrebbe concesso neppure la NBA. Ma almeno quello, per Ewing, fu un diritto sacrosanto.