Vince Carter vola a Sidney. E' la leggendaria “In your Weis”, la dunk più bella che si sia mai vista.
L’importanza che gli americani danno ai Giochi Olimpici è maggiore di quella che riservano a qualsiasi altra competizione internazionale, siano essi i Mondiali o i Giochi Panamericani. Gli Yankees, a seconda del clima politico e degli eventi internazionali, sono di volta in volta isolazionisti o interventisti e questo non certo solo in politica.
Erano isolazionisti per esempio negli anni ’20, quando il Presidente, “Silent Cal”, era poco più di un supervisore di una società che cresceva così rapidamente da non sapere che proprio questa corsa sfrenata gli sarebbe costata in seguito anni di miseria raccolti sotto l’etichetta di “Grande Depressione”.
Erano così isolati nella loro prosperità da ignorare, mentre si coccolavano Babe Ruth, leggendario hitter della squadra più forte di sempre di sempre, i “Murderer’s row” degli Yankees, che noi eravamo costretti ad un ridicolo saluto romano ogni volta che andavano anche a comprare il pane.
Ancora, isolazionalista era il Presidente James Monroe, le cui paroli dolci nascondevano non del tutto un certo sentimento di superiorità ma lasciavano scoperte un consiglio vivo agli europei e a tutti gli altri : “Fatevi i fatti vostri che noi ci facciamo i nostri”.
Ma isolazionisti non si può essere per sempre. E oggi, in verità non per la prima volta, gli americani cercano di prevenire, di prevedere e così (magari fosse solo per questo motivo…) si spiega l’intervento armato in Iraq e la CIA oggi ridimensionata che però nel dopoguerra è stata presente e attiva (per esempio in Cile) con la stessa efficacia con la quale Pierino spiava la Fenech dal buco della serratura.
Questo per dire, e scusate il prologo, che se gli americani vogliono farsi valere all’estero, opzione come si vede non sempre maggioritaria nel paese, ci metteno l’anima, perchè potere issare la loro tanto adorata “Stars and Stripes” sul gradino più alto del podio è un orgoglio patriottico che può valere una vita.
Bene, i Giochi Olimpici, e ancor di più il torneo di basket, è uno dei campi di battaglia preferiti.
BERLINO 1936
I primi palleggi olimpici di una palla da basket risuonarono sui campi di sabbia e argilla di Berlino. Il primo torneo fu bagnato infatti dalla pioggia, che però non fu il solo fattore imprevedibile che alterò gli equilibri.
Nella prima gara gli USA avrebbero dovuto affrontare la Spagna ma in quel periodo i ragazzi iberici erano impegnati in patria nella Guerra Civile e la squadra non si presentò, concretizzando la prima vittoria in un 2-0 a tavolino.
La squadra americana è formata da giocatori di college, delle squadre AAU e del campionato YMCA tanto caro all’inventore del gioco James Naismith.
Il dottore canadese partecipò all’Olimpiade come spettatore e fu anche onorato con una medaglia d’oro. Il torneo fu vinto facilmente dagli USA che in finale sconfisse il suo Canada in una gara dilaniata dalla pioggia. Alla cerimonia furono premiati però solo 7 giocatori perché tanti prevedeva il regolamento, lo stesso che avrebbe voluto non far giocare i ragazzi più alti di 6 piedi e 2 inches.
PODIO : 1. USA – 2. CANADA – 3. MESSICO
LONDRA 1948
Dopo la guerra si torna a giocare, ancora in una capitale europea. La squadra USA è basata per lo più sullo squadrone di Kentucky, e comprende anche il vice-allenatore Adolph Rupp, un razzista convinto che però qui si piega alla volontà della federazione di far giocare il primo nero, Don Barksdale.
Le stelle sono Alex Groza e Robert Kurkland, il primo sette piedi dominante della storia del gioco. In finale, dopo aver faticato solo a battere l’Argentina, vincono 65-21 contro la Francia.
PODIO : 1. USA – 2. FRANCIA – 3. BRASILE
HELSINKI 1952
Sono le prime Olimpiadi con la partecipazione dello squadrone URSS. Di qui in poi la competizione sarà vera. Nei quarti infatti i ragazzi sentono molto la sfida che aleggiava allora nella Guerra Fredda e 6 giocatori escono per falli, in una gara comunque facilmente vinta dagli USA.
Miglior marcatore è Clide Lovellette di Kansas (il suo coach Phog Allen è in panchina come vice), autore di 9 punti in finale contro l’URSS. Sarà una finale ancora più tesa della gara precedente e passerà alla storia come la “gara della Guerra Fredda”, dove tale fredezza è anche e soprattutto quella che attanaglia le mani dei tiratori.
Il punteggio finale sarà infatti uno squallido 36 a 25, colpa del congelamento della palla dei sovietici, capaci anche di passersela in attacco per un quarto d’ora senza tentare nemmeno un tiro.
PODIO : 1. USA – 2. URSS – 3. URUGUAY
MELBOURNE 1956
Dopo lo scandalo della finale ’52 il cronometro dei 30 secondi (24’’ negli USA) fu introdotto anche alle Olimpiadi. La squadra americana trovava il suo nucleo nei San Francisco Dons campioni NCAA con il duo K.C. Jones – Bill Russell, poi ritrovatosi anche nei Boston Celtics.
Fu un torneo facile, vinto con una media punti di quasi 100 a gara e con la difesa soffocante di un Bill Russell che di lì a poco avrebbe dominato la giovane lega chiamata National Basketball Association.
In finale i sovietici furono schiacciati 89 a 55, e Russell potè finalmente debuttare nella NBA quando ormai si avvicinava il mese di dicembre, ritardo che fu fatale dai St. Louis Hawks che lo avevano scelto al draft ma che non vollero aspettare così a lungo.
PODIO : 1. USA – 2. URSS – 3. URUGUAY
ROMA 1960
La squadra che emozionò i quindicimila del PalaEur fu il vero Dream Team ante litteram. Comprendeva tutte stelle del college, da Jerry West (West Virginia) a Oscar Robertson (Cincinnati), poi autentiche leggende della NBA, da Jerry Lucas (Ohio State) a Terry Dischinger (Purdue) e Walter Bellamy (Indiana).
Ma soprattutto era una squadra equilibrata, senza egoismi, che vide le sue stelle “Big O” e “The Logo Man” equipararsi perfettamente nella media punti a quota 17. L’allenatore era Pete Newell dalla University of California, colui che oggi organizza il più rinomato camp della nazione riservato ai lunghi.
L’esordio fu contro l’Italia, schiacciata 88-54 perché la sua stella inattesa, il 19enne Dado Lombardi, non emerse prima della gara successiva. Finimmo quarti, perdendo contro il Brasile 78-75 in una gara contestata per le decisioni arbitrali e del tavolo.
PODIO : 1. USA – 2. URSS – 3. BRASILE
TOKIO 1964
Gli Stati Uniti nel 1964 erano un calderone di tensioni sociali che sarebbero esplose a più riprese pochi anni dopo. Tra le questioni più scottanti c’era la conquista dei diritti civili dei neri. Gli afro-americani minacciarono la federazione di non partecipare ai Giochi ma fortunatamente tutto rientrò nella normalità .
Tra i ragazzi di Hank Iba (coach di Oklahoma State) c’erano Walt Hazzard (UCLA), Bill Bradley (Princeton), il “Dollar Bill” che nel 2000 cercò di strappare ad Al Gore la nomination Democratica per la Casa Bianca e Larry Brown (UNC), l’odierno campione NBA come coach dei Detroit Pistons.
La forza di questa squadra era la difesa. Solo la Yugoslavia riuscì a segnare 61 punti. In finale sconfissero i sovietici fin lì imbattuti grazie ai problemi di falli di Alexander Petrov e al loro contropiede letale per un rassicurante 73-59 finale.
PODIO : 1. USA – 2. URSS – 3. BRASILE
CITTA’ DEL MESSICO 1968
Gli USA si presentarono ai Giochi messicani come una delle contendenti e non come la favorita proibitiva per l’oro. Era una novità assoluta perché fin qui gli americani avevano vinto ogni gara olimpica, ben 46 di fila. Ma nel 1967 persero due gare contro l’URSS e altre due contro una nuova superpotenza, la Yugoslavia.
I ragazzi di Hank Iba era cambiati e non erano nemmeno più i migliori giocatori disponibili provenienti dal college. Le stelle erano Spencer Haywood (Trinidad State Junior College, primo a non completare il quadriennio collegiale prima di entrare nei pro) e Jo Jo White, spumeggiante guardia di Kansas poi a Boston.
White e Haywood, a 19 anni il più giovane olimpico della storia (battuto oggi da LeBron James), erano perfetti per il running game di coach Iba e così gli USA arrivarono agevolmente in finale dover però non trovarono l’URSS ma la Yugoslavia di Skansi, Daneu, Solman, Korac e Cosic. Vinsero 65-50 senza grandi sforzi.
PODIO : 1. USA – 2. YUGOSLAVIA – 3. URSS
MONACO 1972
Furono le Olimpiadi del terrore, conseguente all’attentato dei terroristi palestinesi contro gli atleti israeliani. E furono le olimpiadi dello scandalo della finale tra USA e URSS, la partità più famosa della storia del gioco della pallacanestro.
La squadra di Iba non era tra le più forti, non aveva campioni e giocava di squadra. I nomi più noti sono Thomas Henderson (San Jacinto Junior College), Bobby Jones (UNC) e il futuro coach NBA Doug Collins (Illinois State). Seppur non ricchissimi di talento però gli americani non ebbero problemi ad arrivare in finale e anzi batterono anche l’Egitto di 65 punti e il Giappone di 66 (e l’Italia di 30…).
La finale era contro gli acerrimi rivali sovietici, sempre in vantaggio per tutta la gara. Con 40 secondi sul cronometro un piazzato di Jim Forbes portò gli americani sotto di uno, 48-49. Nel possesso successivo i sovietici cercarono di congelare il cronometro ma dovettero prendersi un tiro con Alexander Belov che fu però stoppato dal futuro virtussino Tom McMillen.
Sulla palla vagante si avventò il sempre combattivo Doug Collins che volò in contropiede ma fu fermato con un fallo. Andò in lunetta con la possibiltà del primo e forse definitivo vantaggio USA. Mancavano 3 secondi. Furono i famosi “3 secondi che cambiarono il mondo”.
Il primo libero andò a segno. Partita pareggiata a quota 49. Mentre Collins caricava il suo secondo tiro libero suonò inspiegabilmente la sirena che richiamava i giocatori per il time-out. Era una violazione evidente perché il time-out poteva essere chiamato solo con la “palla morta” mentre qui la sirena suonò sul tiro di Collins, che entrò. Vantaggio Stati Uniti 50-49.
Il coach sovietico Kondrashin aveva chiamato il time-out troppo tardi oppure il tavolo aveva fatto suonare la sirena dopo che gli arbitri diedero la palla in lunetta a Collins. La rimessa da fondo campo però si giocò e con la palla a Belov, mentre mancava un secondo, Kondrashin invase il campo interrompendo la gara con la pretesa di ottenere il time-out.
Lo ottenne dopo mille proteste in un clima sempre più teso. Avvenne poi un clamoroso colpo di scena. Il presidente nonchè fondatore della FIBA William Jones scese dalla tribuna per indicare con la mano al tavolo che i secondi da giocare erano ancora tre. Era un abuso di cui nessuno al momento si rese conto perché i 3 secondi furono giocati dopo il tanto contestato time-out.
I secondi “tre secondi” portarono solo a un passaggio lungo per il solito Belov che però finì fuori campo. Gli USA avevano vinto e andarono a festeggiare negli spogliatoi l’insperata vittoria. Dal tavolo però i giudici di gara ordinarono di ripetere la rimessa perché il cronometro era partito in ritardo e di secondi ne indicava addirittura 50 !
Dopo 5 minuti, richiamati in campo i festeggianti americani, si rigiocarono i tre secondi per la terza volta. La palla arrivò ancora a Belov, appostato nell’area dei tre secondi. Segnò e la partita finì con la vittoria URSS per 51 a 50. Ma sul canestro che “non avrebbe dovuto esistere” gravano altri sospetti.
In primo luogo Belov sostava da troppo tempo nell’area dei tre secondi (evidentemente questi tre secondi sono protagonisti a più livelli per strani disegni del destino…). In secondo luogo Belov commette fallo sul lungo americano Kevin Joyce e ancora più evidente un’infrazione di passi sullo slancio. Insomma, quell’azione illegittima era ben lontana da poter essere giudicata regolamentare.
Gli USA persero per la prima volta dopo 63 gare e nella cerimonia di premiazione si presentò solo un anonimo dirigente. Lo scandalo era stato appena consumato ma l’imbattibilità degli USA era stata sverginata solo grazie ad una plateale ingiustizia.
L’eroe sovietico Alexander Belov aveva pareggiato la storica vittoria del primo settembre dello stesso anno nel “Match of the Century”.
In piena Guerra Fredda il leggendario Bobby Fischer avuto battuto il sovietico Boris Spassky in un match di scacchi che durò tre mesi e che ebbe anche risvolti politici. Belov, l’eroe dello storico pareggio, morì tre anni dopo in un carcere russo dopo essere stato arrestato per contrabbando di blues jeans americani. E’ probabilmente questa, al di là dello sport, la pagina più triste di tutta questa storia.
PODIO : 1. URSS – 2. USA – 3. CUBA
MONTREAL 1976
La risposta allo scandalo doveva per forza coinvolgere un nome importante. In panchina fu chiamato il leggendario Dean Smith da UNC e come assistente John Thompson da Georgetown. Le stelle erano Adrian Dantley (Notre Dame), Scott May (Indiana) più tre nomi che poi avrebbero trovato fortuna nella NBA più come allenatori o manager che come giocatori : Phil Ford (UNC), Ernie Grunfeld (Tennessee) e Mitch Kupchak (UNC).
La squadra era solida e la lezione era stata imparata perché si tentò qui di far ruotare la nazionale intorno ad un nucleo preciso, quello di North Carolina (erano 4 su 12) con il proprio coach Smith.
L’URSS questa volta si demolì da sola e non riuscì ad arrivare in finale, dove invece gli USA sconfissero la la Yugloslavia 95-74.
PODIO : 1. USA – 2. YUGOSLAVIA – 3. URSS
MOSCA 1980
Il presidente Democratico Jimmy Carter decise il boicottaggio degli atleti USA per protesta contro l’invasione sovietica dell’Afghanistan. La squadra giocò un torneo alternativo in America contro squadre di All Star NBA.
PODIO : 1. YUGOSLAVIA – 2. ITALIA – 3. URSS
LOS ANGELES 1984
Questa volta a non partecipare furono le squadre del blocco sovietico ma non per questo gli USA dominarono. La realtà è che quella allenata da Bobby Knight di Indiana era uno squadrone che poteva contare su un’infornata di collegiali assolutamente senza rivali.
Tra di loro Steve Alford (Indiana), Patrick Ewing (Georgetown), Chris Mullin (St John’s), Sam Perkins (UNC), Alvin Robertson (Arkansas), Wayman Tisdale (Oklahoma) e un giovane e scattante atleta che due anni prima aveva regalato con un tiro allo scadere il titolo NCAA a North Carolina. Il suo nome era Michael Jordan.
In finale arrivò la Spagna, battuta 96-65 senza appello.
PODIO : 1. USA – 2. SPAGNA – 3. YUGOSLAVIA
SEUL 1988
Le Olimpiadi coreane saranno ricordate per sempre come il momento storico del “turning point”. Furono le ultime Olimpiadi con una squadra di soli collegiali.
John Thompson aveva avuto successo con Ewing e gli altri Hoyas ma i suoi metodi duri furono solo delle camicie di forza per i vari Dan Majerle (Central Michigan), David Robinson (Navy), Danny Manning (Kansas), Mitch Richmond (Kansas State) e Hersey Hawkins (Bradley).
Senza il tiratore Hawkins e con Manning con problemi di falli il primo incontro con l’URSS dopo la gara dello scandalo del 1972 fu dominato dal giovane centro Sabonis per l’82 a 76 finale. Ma la squadra aveva cuore e superò lo smacco per lottare e vincere il podio contro l’Australia.
PODIO : 1. URSS – 2. YUGOSLAVIA – 3. USA
BARCELLONA 1992
La vera data storica fu quella del 7 aprile 1989. La FIBA, per 56 voti favorevoli e 13 contrari, ammise i giocatori NBA nella competizione olimpica.
Il mondo cambiò. Gli USA infatti esagerano perché scelsero realmente la migliore squadra disponibile (con l’unica esclusione di Isiah Thomas pretesa da Jordan) e allora il “Dream Team” che ne nacque fu la più bella pagina sportiva del basket olimpico e uno degli eventi sportivi più grandi di sempre.
Chuck Daly poteva contare su Charles Barkley, Larry Bird, Clyde Drexler, Patrick Ewing, Magic Johnson, Michael Jordan, Christian Laettner unico collegiale da Duke, Karl Malone, Chris Mullin, Scottie Pippen, David Robinson e John Stockton. Seppur al tramonto delle loro carriere e con numerosi problemi (Magic con l’AIDS e Bird con la schiena), Magic, Larry Legend e His Airness erano semplicemente i tre giocatori più forti della storia del gioco che giocavano nella stessa squadra.
Gli highlights del torneo non furono solo le schiacciate di MJ e le giocate di Magic e compagni ma soprattutto gli autografi che gli avversari chiedevano ai campioni NBA a fine gara e l’entusiasmo che gli avvolgeva.
Due immagini fra tutte ci ricordiamo dei Giochi di Barcellona. La prima è quella del panchinaro avversario che steso sul parquet davanti la propria panchina scatta foto ai Dream Teamers. La seconda, purtroppo, ci fa ricordare gli americani sul podio che felici si attorcigliano nella bandiera a stelle e striscie per amor di patria e…del proprio sponsor.
PODIO : 1. USA – 2. CROAZIA – 3. LITUANIA
ATLANTA 1996
Dopo soli 12 anni si torna a casa. Il Dream Team III (il secondo fu schierato ai Mondiali di Toronto del 1994) vince facile contro la Yugoslavia per 95 a 69.
Il coach è Lenny Wilkens e la novità maggiore è la presenza dominante di Shaquille O’Neal, accompagnato da Penny Hardaway, Charles Barkley, Grant Hill, Karl Malone, Reggie Miller, Hakeem Olajuwon, Gary Payton, Scottie Pippen, Mitch Richmond, David Robinson e John Stockton.
L’unica pecca è l’arroganza di alcuni giocatori, subito però dimenticata dalla grande mole di spettacolo prodotto e dalla convinzione di tutti che la mossa di ammettere i giocatori NBA nella squadra olimpica riserverà loro un perpetuo specchiarsi nell’oro.
PODIO : 1. USA – 2. YUGOSLAVIA – 3. LITUANIA
SIDNEY 2000
La nazionale allenata da Rudy Tomjanovich segna i Giochi di Sidney con una perfomance non all’altezza dell’etichetta di Dream Team, che a scanso di equivoci, si dovrebbe applicare solo alla squadra di Barcellona.
In semifinale contro la Lituania gli USA vincono 85-83 ma il play Jasikevicius tirò corto il tiro da tre della vittoria. In finale sconfissero la Francia 85-75, la formazione in cui milita il centro Frederick Weis, un due e venti o poco meno che è passato alla storia dalla parte sbagliata.
In un contropiede dopo una palla recuparata Vince Carter vola a canestro, incontrando però Weis che si apposta come a ricevere uno sfondamento. Carter però gli salta sopra e senza sfiorarlo con una balzo spaventoso che termina con una fragorosa schiacciata, la più bella di tutti i tempi.
PODIO : 1. USA – 2. FRANCIA – 3. LITUANIA.
E’ tutto pronto per le Olimpiadi di Atene. Ehi, dire che è tutto pronto con Atene 2004 non è una formalità , questa sì che è una notizia…
Gli Stati Uniti del basket intanto hanno perso l’imbattibilità dei giocatori NBA contro l’Argentina ai Mondiali e poi ancora contro la Yugoslavia, la Spagna (sempre ai Mondiali) e persino contro di noi recentemente in un’amichevole a Colonia.
Avendo perso già due Olimpiadi e diversi Mondiali l’unica verginità da conservare è la vittoria olimpica con giocatori NBA. Non c’è che dire, alle Olimpiadi ci tengono e se forse non più di un titolo NBA e meno di una volta il giocatore NBA vuole comunque ben figurare in questa competizione.
Sono gli ovvi favoriti per l’oro e sperando che tutto vada bene anche sotto il profilo della sicurezza non mi resta che augurare a tutti delle buone Olimpiadi.