L’uomo mascherato

Finalmente Hamilton può gioire contro il suo rivale Kobe Bryant

Tra le peggiori torture a cui può essere sottoposto un uomo, subito dopo un concerto di Britney Spears e un film con Richard Gere, c'è sicuramente una partita in marcatura su Richard Hamilton.

Sì perché questa guardia di 2,01 per soli 87 chili (con le pietre in tasca, direbbe Ben Wallace), che macina chilometri su chilometri in una sola partita portandoti sui blocchi non certo gentili dei suoi lunghi, si proclama il giocatore più in forma dell'NBA, e probabilmente lo è davvero.

Richard Hamilton, detto Rip sin da bambino per il modo in cui trattava i pannolini, entra nella Lega nel '99 selezionato con la settima scelta assoluta dai Washington Wizards, intenzionati a farne un discreto giocatore di rotazione.

Nonostante provenga da una un'università  come Uconn, condotta da lui a un incredibile upset alle Final Four contro Duke, le voci che lo circondano lo definiscono sì come buon realizzatore, ma anche come giocatore mono-dimensionale, gracile e poco adatto a crearsi un tiro da solo. Poco da obiettare, ma l'analisi non è sempre così semplice.

Dopo una stagione alle spalle di Richmond con pochi minuti (9.0 punti a partita) e un'altra in cui giuda nelle realizzazioni dei disastrati Wizards e pare iniziare a guadagnare sempre più rispetto in giro per la Lega (18.1), nella capitale fa il suo arrivo His Airness, il miglior giocatore di tutti i tempi, convinto di poterne fare finalmente un giocatore completo che aggiunga al suo fantastico "in between game", altre armi al suo repertorio.

Il processo riesce solo in parte, in quanto il gioco di Hamilton non sembra allargarsi più di tanto, ma i 20 punti di media e incredibili capacità  realizzative sembrano renderlo il soggetto ideale per aiutare Jordan a sostenere il peso dell'attacco e sicuramente un punto di partenza su cui fondare la squadra che verrà .

Ma è a questo punto che il miglior giocatore di tutti i tempi si diletta nella dimostrazione di una delle tesi maggiormente accreditate nell'NBA, "I grandissimi giocatori non sono necessariamente anche grandi General Manager" (Kwame chi?)

Durante l'estate 2002 infatti, Hamilton viene ceduto a Detroit sostanzialmente in cambio di Doctor Jerry Stackhouse. Jordan e la dirigenza Wizards sono convinti di aver fatto un affare, e con loro anche la maggior parte degli addetti ai lavori. Un giocatore con un grosso punto interrogativo sopra per uno Stackhouse reduce dalla migliore stagione della sua carriera, fatta di punti, espolosività  e carisma.

Ma Joe Dumars, ormai si sa, poco si cura delle voci in giro per la Lega, e sembra avere la capacità  di vedere il futuro. Nella sua prima stagione ai Pistons, Rip disputa tutte le partite di stagione regolare dall'inizio facendo registrare di quasi 20 punti e 4 rimbalzi ad allacciata di scarpe, che lo rendono la prima indiscussa opzione offensiva di una squadra non certo votata alla attacco come quella della città  dei motori.

Il definitivo salto di qualità  coincide, guarda caso, con l'arrivo in panchina di Larry Brown che, senza alterare il suo gioco, lo inserisce in un sistema perfetto per le sue caratteristiche, e ne migliora l'efficacia, tanto da renderlo uno dei più faticosi e difficili da marcare in tutta la Lega. Hamilton ci mette del suo e, come solo i grandi giocatori sanno fare, eleva il suo livello di gioco nei playoff, passando da medie di 17,6 a 21,5 punti a partita. E scusate se è poco.

L'epilogo lo conosciamo tutti, l'uomo con la maschera è riuscito nell'impresa di battere il suo nemico Kobe Bryant (rivale sin dall'High School) e a mettere dell'argenteria alle mani. Il suo apporto è stato a dir poco fondamentale lungo tutto l'arco dei playoff, pagando spesso e volentieri la cauzione in attacco per tutti i suoi compagni.

Il passo futuro è ovviamente l'All Star game, che sembra, con l'anello al dito, molto più vicino che in precedenza. Ma per entrare a far parte definitivamente dell'elite dei giocatori NBA Hamilton dovrà  ancora migliorare alcuni aspetti del suo gioco, come ad esempio il tiro dall'arco dei tre punti, per ora solo su piazzati e neanche con grandi percentuali.

In ogni caso, Rip ha dimostrato di poter essere un punto di riferimento, per quanto riguarda l'attacco e la dedizione, ed attira ormai le maggiori attenzioni dalle difese avversarie che giocano contro Detroit. E come per la maggior parte dei Pistons, per Rip Hamilton questo anello ha un po' il sapore della rivincita, verso chi lo ha ceduto forse troppo frettolosamente, verso chi non ha creduto in lui.

Questa persona non è uno qualunque. Questa persona è Michael Jordan.

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