Larry Brown felice in mezzo ai suoi giocatori
Durante gli ultimissimi minuti di gara 5 della finale NBA i Detroit Pistons erano già entrati nella storia della lega come gli autori di uno dei più netti upset della storia della NBA, battendo gli strafavoriti Lakers degli hall of famers guidati da coach Jackson.
I protagonisti della vittoria sul campo festeggiavano in panchina, mentre le riserve salivano alla ribalta per raccogliere la loro parte d'applausi dal pubblico di Auburn Hills, ma nel marasma generale una sola figura si distingueva dalle altre. Si muoveva in modo diverso rispetto a tutti gli altri, non saltava, non mandava baci verso le tribune, non sorrideva, ma continuava ad allenare; continuava incredibilmente a dare indicazioni ai propri giocatori in campo.
Probabilmente coach Larry Brown dentro di sé ribolliva di gioia, ma non lo dava a vedere perché la sua assoluta priorità restava onorare il gioco fino in fondo, fino alla sirena. Durante la cerimonia di premiazione Billups e il resto della squadra sollevavano al cielo i trofei personali e di squadra sommersi dai cori del pubblico mentre il coach stringeva a sé sua figlia, in disparte, con gli occhi bassi, come se tutto il resto non lo riguardasse come se quell'epilogo non lo avesse consegnato alla storia ponendolo di diritto fra gli immortali.
Larry Brown ha finalmente vinto il suo primo titolo da capo allenatore e poche vittorie sono state più meritate.
Dopo aver portato la squadra di Kansas guidata da Danny Manning al titolo NCAA del 1988 Brown decise di spiccare il grande salto passando alla NBA nella quale avrebbe prodotto diciannove stagioni vincenti su ventidue guidando squadre come Denver, San Antonio e New Jersey che fra i primi anni ottanta e l'inizio degli anni novanta non erano certamente fra le grandi potenze della lega, poi arrivarono le due stagioni ai Clippers condotti ai playoff dopo anni di assenza.
Dal 93 al 97 Brown allenò gli Indiana Pacers prima di accasarsi per sei stagioni ai Philadelphia 76ers di Allen Iverson trasformando una delle franchigie più derelitte della lega in una squadra da playoff, raggiungendo la finale del 2001 persa 4-1 contro i Lakers, salvo poi essere nominato allenatore dell'anno.
Tutte queste tappe hanno costituito una carriera ricca di vittorie che collocano Brown al quinto posto fra gli allenatori più vincenti di sempre nonché unico a vincere il titolo NBA e quello NCAA.
La personalità e la conoscenza enciclopedica del gioco hanno reso Brown un coach sempre ben voluto dai suoi giocatori, anche i più problematici come Iverson che, al di là delle incomprensioni personali che costrinsero Philadelphia a dover scegliere fra il coach e la loro star, lo ha amato profondamente tanto da dedicargli il titolo di MVP dell'All Star Game di Washington.
Pur avendo un carattere molto lunatico che lo porta ad innamorarsi molto facilmente di giocatori poi ripudiati anche dopo una sola stagione (vedi Mutombo a Phila), Brown costruisce le proprie vittorie sullo spirito di squadra e sul rapporto umano fra giocatori e coaching staff pur essendo considerato forse l'allenatore tatticamente più preparato dell'intera NBA.
Rimarranno nella memoria di tutti alcune sue geniali decisioni con le quali metteva in crisi anche le squadre più ricche di talento, come i quintetti composti da quattro piccoli ed un solo lungo con i quali vinse il memorabile All Star Game 2001 e mise in tremende difficoltà i Lakers al loro massimo potenziale nella finale dello stesso anno.
L'impresa memorabile è chiaramente arrivata quest anno alla guida dei Pistons condotti al titolo al suo primo anno in panchina, un arrivo fra mille polemiche visto che chi gli lasciava il posto, Rick Carlisle, aveva conseguito ottimi risultati. Ma il GM Joe Dumars sapeva che per far fare il salto di qualità alla squadra, la rigida disciplina di Carlisle non bastava e doveva lasciare il posto alle innate doti di maestro del gioco di Brown; alla luce dei recenti risultati è assolutamente superfluo dire che Dumars ha stravinto la scommessa.
I Pistons hanno viaggiato per tutta la stagione ai vertici della Eastern Conference concludendo la regular season con il terzo posto ad Est (54-28). Coach B. ha saputo gestire al meglio l'ottimo organico messogli a disposizione valorizzando al massimo giocatori come Billups, Hamilton e Prince, fino ad allora considerati da tutti solo buoni giocatori, aiutandoli a diventare rispettivamente l'MVP delle finali, l'attaccante più scomodo della serie e il "kobe stopper" più efficace di sempre.
Brown ha poi preteso il contributo anche in attacco di Ben Wallace che ha risposto con miglioramenti davvero considerevoli rispetto agli standard dell'era Carlisle, quando nella metà campo avversaria veniva utilizzato solo come sponda e bloccante. La chiave di volta della stagione di Detroit è stato indiscutibilmente l'arrivo dell'altro Wallace nella mente del quale Brown ha fatto scattare qualcosa che lo ha reso un'arma letale nonché giocatore calmo e mansueto come un agnellino rispetto al suo recente passato.
Con questi attori nel suo cast Larry Brown ha messo in scena il capolavoro finale: la vittoria contro i Lakers. Durante le cinque partite i Pistons hanno dominato e perso gara 2 dopo l'overtime solo per merito delle incredibili imprese di Kobe, per il resto Brown ha stravinto il confronto tattico con Phil Jakson mantenendo la squadra con pugno ferreo, cosa che Coach Zen non ha saputo fare cedendo sotto il peso dell'ego smisurato delle sue stelle e della sua incapacità assoluta di far rendere al meglio il supporting cast di Kobe & Shaq, umiliando con cambi continui gente del calibro di Payton mai entrato nella serie e imbrigliato in quel triangolo al quale Jakson non sa davvero mai rinunciare.
Brown ha invece saputo ottenere prove strabilianti anche dai più incalliti "scaldapanchina" a sua disposizione come Elden Campbell, uscito dal fondo del pino come efficace difensore contro Shaq e insospettabile attaccante affidabile.
Un Hunter caricato a molla ha imbrigliato le guardie avversarie come mai aveva fatto prima, mentre Williamson si è trasformato in un'arma tattica fondamentale, da ala piccola in attacco ha dominato in post basso contro George e a volte Bryant attirando raddoppi e aprendo varchi nella difesa avversaria.
Queste sono state le armi di Brown, un coach capace di adattarsi alle situazioni dettate dal campo accantonando, quando serve, le proprie convinzioni tattiche, sempre convinto e capace di vincere anche quando l'avversario appare imbattibile, che non si lascia andare all'esultanza al momento della tanto sospirata vittoria, ma ne assapora ogni singolo momento in silenzio con quegli occhi bassi di chi guarda avanti, alla prossima impresa, al traguardo da tagliare, sempre e in ogni caso continuando, da vero maestro, ad allenare e a ricordare ai propri giocatori che anche contro il più forte avversario si può vincere.
Basta giocare rispettando il gioco, nel modo giusto: PLAY THE RIGHT WAY.