Solo pochi mesi fa, questo era solo un sogno per Rasheed…
Gli inguaribili romantici appassionati del gioco e dell'eroicità delle imprese dei suoi protagonisti più valorosi potrebbero anche storcere il naso assistendo alla gioia di Rasheed Wallace che celebra la più grossa impresa della sua vita, mentre dall'altra parte del palcoscenico il sipario cala impietoso sul sogno di un eroe che in borghese medita a bordo campo sull'ingiustizia del fato che, dopo anni di battaglie, non lo ha premiato con il titolo NBA, nemmeno quando sembrava cosa fatta.
Malone circa dodici mesi fa forse pensava che l'anello questa volta non gli sarebbe sfuggito visto che con Kobe, Shaq e Payton formava sulla carta uno dei quartetti più forti della storia del gioco. Mentre Karl si leccava i baffi, Rasheed a Portland collezionava arresti, multe, falli tecnici e grottesche figure in campo e fuori tanto da costringere i fin lì pazienti Trailblazers a mandarlo in esilio nella peggiore delle franchigie NBA, gli Atlanta Hawks.
Per lui il titolo di campione NBA non era nemmeno una remota ambizione e lo vedeva al massimo come un treno passato stagioni addietro ma perso per un soffio.
Proprio in quel momento però, quando tutti erano pronti a scommettere sulla riuscita dell'impresa di Malone e sulla fine della carriera di Rasheed, il destino ha deciso di rivoltare la realtà come un guanto fino a creare lo scenario odierno in cui l'eroe di tutti è in secondo o terzo piano al cospetto della mela marcia, del ribelle che sorride radioso, vittorioso e splendidamente restituito dalla sorte all'Olimpo del basket moderno.
Rasheed Wallace nel dopo partita, durante la premiazione sul campo, non ha rubato la scena ai personaggi da copertina Billups, Ben Wallace e Larry Brown. Era lì a godersi il momento, a godersi la rivincita, a godersi la gloria, sapendo forse in cuor suo di essere una delle ragioni, se non LA ragione fondamentale del trionfo dei Pistons.
A detta di chi scrive questo articolo ma non solo, Rasheed è stato il tassello mancante in un mosaico quasi perfetto che è diventato un capolavoro assoluto; i numeri nella loro freddezza non potranno mai rendere nemmeno lontanamente l'idea del peso che Sheed ha avuto sul gioco, sul gruppo e sulla mentalità della squadra.
Wallace è la variante impazzita che ha sconvolto gli equilibri con la sua follia e ciò potrebbe paradossalmente indurre a pensare che le mille traversie e gli squilibri mentali di questo giocatore alla fine siano stati molto più decisivi della forza, della storia, dell'esperienza e delle motivazioni di un Karl Malone.
Sul campo Wallace è sempre stato una delle ali potenzialmente più forti della lega, formidabile sia in attacco sia in difesa, ma il carattere sin dai tempi di Washington lo ha condannato a fare notizia solo per le sue bravate; diversi grossi talenti del passato si sono bruciati per questo motivo e, prima del suo approdo ai Pistons, Rasheed rischiava di entrare, o per qualcuno era già entrato eccome, nel gruppo assieme ai vari Lloyd Daniels e Roy Tarpley. Ma in quel momento ha evidentemente capito di essere di fronte ad un bivio e ha scelto la retta via che lo ha portato alla vittoria e forse ad una nuova vita cestistica.
In campo ha formato con l'omonimo Ben una coppia fenomenale innanzi tutto in difesa dove ha strabiliato con alcune giocate in marcatura singola anche contro il monumentale Shaq e in aiuto sui lunghi e sulle guardie dei Lakers che più di una volta hanno visto canestri in pratica già fatti, trasformarsi in stoppate con recupero e apertura del contropiede; in attacco sono arrivati solo 13 punti di media ma nei momenti caldi (26+13 nella decisiva gara 4) esecuzioni regali dal post indifferentemente alto o basso e giocate di pick n'roll davvero letali hanno trascinato Detroit.
Con gli arbitri il rapporto è stato idilliaco rispetto agli standard cui eravamo tristemente abituati e il nostro è parso completamente al servizio di coach Brown, anche quando lo faceva accomodare in panca, per quasi un tempo di gioco intero, non appena commetteva il secondo fallo.
Rasheed ha saputo immergersi pienamente nella grande mentalità e nello spirito di sacrificio e fatica di tutti i Pistons. Le imprese che hanno portato alla vittoria del titolo, sono state una diretta conseguenza di tale applicazione mentale e lascia una sensazione di agrodolce in bocca al pensiero di cosa avrebbe potuto regalarci nella sua carriera un Wallace dominante e con la testa sulle spalle come quello di oggi.
Al di là dei rimpianti, Rasheed oggi è un MVP perché ha saputo rinascere, mettendo in scena la vittoria dell'antieroe, del cattivo che passa dalla parte del bene e trionfa contro tutto e tutti.
Con buona pace dei vecchi eroi, dello Zen, dei puristi dell'etica e degli inguaribili romantici.