A Ruota Libera: Heat

Caron Butler reduce da un'annata in chiaroscuro e autore di buone prove ai playoff.

Miami Formula 347. Italiani popolo di maniaci del cellulare fermi lì. In questo pezzo non si parla di telefonia, GSM, UMTS, terza generazione, videotelefoni e sonerie varie ma bensì di una terna di giocatori che alla fine dei giochi nell'NBA avrà  fatto saltare più di un banco di scommettitori clandestini.

Miami, Florida fine ottobre 2003, l'eterno Pat Riley tuttofare della franchigia di basket della città  rimette a sorpresa le proprie dimissioni sia da coach che da GM, senza che ci fosse stato nessun preavviso di questo scossone, perchè lo stesso Riley aveva condotto gli Heat per tutta l'estate prima al draft, poi nello scoppiettante mercato di luglio agosto. Riley lascia a sorpresa a pochissimi giorni dall'inizio della stagione regolare, tempo per prendere decisioni vicino allo zero, in panchina ci finisce il suo assistente Stan Van Gundy, dietro la scrivania di General Manager un'altro dei suoi storici collaboratori Randy Pfound.

La stagione comincia nel peggiore dei modi, un raccapricciante 0-7, cha altrove (vedi Orlando) sarebbe bastato ed avanzato per dichiarare l'annata in corso un fallimento, e cominciare a pensare alle palline di ping pong, sperando nel frattempo di perdere il più possibile.

Invece agli Heat hanno creduto nel lavoro fatto fino ad allora, pian piano hanno lavorato sul roster cercando di creare quegli automatismi che servono ad ogni squadra per avere un minimo di speranza per vincere, senza piangere su quello che era successo. Da allora non si sono più voltati indietro ben sapendo che ad est si può sempre rimediare a qualche striscia negativa. A metà  aprile quando si sono chiusi i giochi erano tra lo stupore generale al quarto posto ad est, addirittura con il vantaggio campo nel primo turno di playoff.

Al primo turno una battaglia senza fine con gli Hornets portati fino a gara 7, senza che nessuna delle due riuscisse a vincere in trasferta. Gara 7 di fatto non è mai stata in discussione e Miami è andata in tranquillità  ad affrontare i Pacers al secondo turno.

Ma i miracoli non finiscono qui, perchè quando tutti li davano comodamente cappottati dai Pacers, sono riusciti, in gara 3 e 4 a tenere botta e strappare due vittorie che hanno messo più di un pensiero ai dominatori della stagione regolare. Alla fine hanno ceduto in gara 6, ma è una di quelle sconfitte che si prende con il sorriso in bocca, soprattutto pensando al futuro.

Ma come è possibile che in un anno una squadra se pur nel derelitto Est riesca fare un così notevole salto di qualità  ? Appunto la formula 3-4-7 ossia Dwayne Wade, Caron Butler e Lamar Odom.

Iniziamo dal super rookie di Marquette : innanzitutto bisognerà  cominciare ad entrare nell'idea che il draft 2003, non ha portato nell'NBA due immensi giocatori, ma bensì tre, perchè se il talento di Carmelo Anthony e di Lebron è obbiettivamente superiore, va anche detto che Wade non è poi così inferiore. Anzi come visto nei playoff il signore Wade probabilmente sarebbe stato rookie of the Year in almeno sette o otto delle ultime dieci stagioni, ma le pesanti ombre di Melo e Lebron lo hanno regalato un pò in secondo piano. Nonostante i suoi numeri siano stati di prim'ordine durante tutto l'anno e soprattutto, e il fatto che in sua assenza i gli Heat siano andati letteralmente in bambola quasi sempre.

A dire il vero però Wade non avrebbe avuto nulla da dimostrare a nessuno, perchè lo scorso anno riuscì a portare Marquette alle final fuor NCAA con prestazioni d'altri tempi compresa una tripla doppia, cosa che nel college basket si vede una volta al secolo. Wade come detto durate tutta la stagione regolare ha dato molto, in difesa tiene bene sia sui play che sulle guardie e su qualche ala piccola non eccessivamente alta, in attacco trova il canestro in mille modi, c'erano dubbi sul suo adattamento al ruolo di play, visto che al college giocava da guardia, ma sono durati poco o nulla, insomma un giocatore completo come pochi.

Manca qualcosa all'appello ? Si la leadership , e qui siamo a qualcosa di probabilmente visto pochissime volte nell'NBA. Nei playoff ha preso per mano la squadra, su sei partite vinte in post season, tre volte ha segnato il tiro della vittoria, uno memorabile sulla testa di Baron Davis, che non è certo l'ultimo arrivato. Riassumendo siamo di fronte ad un giocatore destinato ad un futuro glorioso, probabilmente già  all'All Star Game il prossimo hanno.

Il secondo della lista, si chiama Caron Butler, autore di una stagione regolare, molto deludente. Partito in lista infortunati durante tutta la stagione ha faticato moltissimo al tiro, in molti erano già  pronti ha darlo per finito, qualcuno lo vedeva già  lontano da Miami, lui ha lavorato in silenzio e ai playoff ha dato tutto quello di cui la squadra aveva bisogno, con prestazioni offensive importanti anche se con qualche stecca, ed ecco che nell'NBA si fa veloci a passare dalle stelle alle stalle, infatti arrivano i paragoni con Paul Pierce, con cui condivide il numero di scelta la draft, e il fatto che nello stesso draft sia stato snobbato da troppe squadre.

Butler è un ragazzo che ha avuto una vita difficile, su di lui c'erano molti dubbi a livello mentale, ma almeno da quel punto di vista non ci sono problemi. l talento non gli manca dovrà  solo imparare ad essere più continuo e a gestirsi maggiormente soprattutto quando la palla non ne vuole sapere di entrare. Per il resto basterà  avere pazienza che maturi e accumuli esperienza e con lui un giocatore da venti a sera ci scappa di sicuro.

Il terzo moschettiere degli Heat si chiama Lamar Odom.arrivato la scorsa estate alla corte di Riley, tra mille polemiche perchè con tutti i dubbi che c'erano su di lui aver investito oltre 60M$ in sette anni, sembrava una follia per tutti, tanto che almeno due terzi delle franchigie NBA quel contratto non glielo avrebbero dato.

E' bastato invece un anno e un cambio di ruolo apparso a molti una follia per trasformarlo nel lungo più determinante dell'est, perlomeno da gennaio in poi. Lamar è un giocatore multitasking come si direbbe nel gergo dei computer, ossia fa molte cose insieme, infatti credo che sia l'unico ad aver ricoperto tutti e cinque i ruoli in campo, dal play al centro.

Arrivato come detto tra mille punti interrogativi, dopo aver ricoperto nei quattro anni precedenti ai Clippers il ruolo di ala piccola, è stato spostato abbastanza inaspettatamente in ala grande, dove dopo due tre mesi di assestamento è risultato il giocatore più dominante sotto canestro della Eastern Conference, dimostrazione atipica che nel ruolo si può dominare senza un atletismo alla Garnett, o una fisicità  alla Ben Wallace, ma bensì con una tecnica degna di Magic Johsnon.

Odom è diventato un fattore, offensivo, ha dei movimenti che nell'NBA hanno in pochi, gioco spalle a canestro da manuale, in difesa regge botta, sempre di tecnica, mai lasciare un spicchio di palla scoperta, a rimbalzo non eccelle anche a causa di 3-4 cm meno dei pari ruolo.

Da fine gennaio in poi è stato un giocatore quasi immarcabile, a marzo ha vinto addirittura il premio per il giocatore del mese, nonostante le sue cifre, pur eccellenti non gli rendano pieno merito. Anche ai playoff ha giocato benissimo, per gli Hornets è stato un dilemma lungo sette partite e mai risolto, nonostante il suo difensore fosse un difensore di prim'ordine come PJ Brown, anche contro Indiana e Jermaine O'Neal ha fatto bene, sicuramente non sfigurando con l'All Star di Indiana.

Fino a qui però non ci sarebbe molto di nuovo perchè che fosse uno dei primi cinque della lega, se si considera il talento puro si sapeva, solo che ai Clippers era incappato in tanti piccoli problemi, sia di droga che comportamentali, che avevano fatto credere che il suo talento alla fine fosse andato perduto. Questo è un ulteriore conferma che l'ambiente dei Clippers, non da di sicuro gli stimoli per migliorare ai singoli.

E' chiaro che se Lamar Odom e Dwayne Wade proseguono nel loro percorso di maturazione Miami è destinata ad un decennio di alto livello, ma negli attuali Heat c'è un'altra nota lieta oltre ai tre sopraccitati, ossia Rafer Alston, detto Skip to my lou, trasformatosi da fenomeno da baraccone o giù di li a sesto uomo di alto livello. Classico playmaker newyorkese, che dopo aver fatto sperare invano i Bucks per tre anni e i Raptors lo scorso anno, ha trovato fiducia a Miami, danno un apporto eccellente dalla panchina, sia dal punto realizzativo, sia in cabina di regia.

Purtroppo non ci sono solo note liete e le note dolenti costano un'infinità  in termini di salary cap. Infatti gli Heat a roster hanno Eddie Jones e Brian Grant che nell'estate del 2000 furono messi sotto contratto al massimo salariale per sette anni. Eddie Jones al tempo reduce da una esperienza molto positiva agli Hornets, fu individuato come il leader offensivo, il realizzatore che doveva prendere in mano la squadra nei momenti che contavano, purtroppo chi masticava basket a memoria sapeva che non era così come Jerry West, che lo scambio dai Lakers dove era l'idolo della folla con Shaq. Eddie era un ottimo difensore con una ventina di punti scarsi nelle mani, nessuno però si sarebbe mai aspettato che dopo quattro anni tutto quello di buono che c'era sarebbe svanito, Jones ha giocato male per tutta la stagione, in difesa non è più lui, e tutto il mondo lo ha individuato come l'icona delle follie contrattuali dei GM NBA, e questo a pesato su di lui enormemente.

L'altro riccone degli Heat è Brian Grant, che arrivò a Miami dopo due ottime annate a Portland, nei playoff del '99 riuscì a fermare il miglior Karl Malone di sempre, l'anno seguente fece da cambio di lusso al duo Sabonis Rasheed Wallace, che sfiorò l'anello perdendo nella famosa gara 7 di finale di conference contro i Lakers. Brian è un giocatore fisicamente finito, ha la schiena a pezzi, di fatto gioca da fermo, però il suo immenso sapere difensivo basta per essere utile alla squadra. Il problema suo come quello di Eddie Jones è il fatto che ha uno stipendio spropositato.

Entrambi i contratti scadranno nell'estate del 2007, fino ad allora avranno quindi le mani legate sul mercato, allora qualcosa si potrà  muovere.

Il coach che ha guidato Miami ha questo miracolo è Stan Van Gundy, fratello del coach di Houston, che ha dato agli Heat una dimensione meno difensivistica, di quella degli anni passati sotto Riley, soprattutto in casa amano correre, e questo è valso moltissime vittorie tra le mura amiche, in trasferta ci sono state difficoltà  soprattutto quando non si sono potuti permettere i mini quintetti tanto cari al coach. in difesa hanno puntato molto su una difesa vecchia maniera, sfruttando pochissimo le zone, e lavorando molto sull'uno contro uno, con qualche raddoppio soprattutto sui lunghi.

Gli esterni Wade e Jones in difesa hanno fatto sudare chiunque, qualche problema in più sotto le plance dove comunque la presenza di Grant e la immensa tecnica di Odom non sempre hanno sfigurato.

Il vero problema però è la panchina che a parte Alston e un sorprendente Udonis Haslem, non ha dato nulla e soprattutto la rotazione dei lunghi è stata spesso dannosa.

L'annata si chiude con un bilancio enormemente positivo, che dovrebbe essere solo la base di partenza per il futuro. Difficilmente vedremo cambiamenti importanti in estate, quindi a parte le due scelte e qualche Journeyman chiamato a Miami per rilanciarsi, il roster sarà  questo. Se proseguono su questi livelli ripetersi è abbondantemente alla loro portata. Voto alla stagione sette e mezzo!

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