Carmelo Anthony, il rookie che ha riportato Denver ai Playoffs
La precoce eliminazione al primo turno dei playoff contro i Minnesota Timberwolves dell'Mvp Kevin Garnett non ha lasciato in Colorado il solito amaro in bocca accompagnato dalla sensazione di aver mancato completamente tutti i propri obiettivi ma, al contrario, Denver ha tutte le ragioni per poter tranquillamente definire la propria stagione un autentico trionfo.
La franchigia ha infatti chiuso la stagione con un record di 43 vittorie e 39 sconfitte aggiudicandosi l'ottavo posto nella Western Conference e strabiliando tutti durante la prima parte della stagione, quando è stata a lungo nel gruppo delle primissime. I Nuggets hanno costruito il loro record positivo con un rendimento eccezionale fra le mura amiche dove hanno perso soltanto 12 partite. Naturalmente è molto facile dare un nome al personaggio simbolo dell'ascesa della franchigia: Carmelo Antony che, dopo il titolo NCAA vinto con Syracuse, può aggiungere al suo curriculum anche l'approdo ai playoff al suo primo anno nella NBA.
Anche se non si è aggiudicato il titolo di matricola dell'anno, Carmelo ha dimostrato, numeri alla mano, di non avere assolutamente nulla da invidiare a LeBron James: 21 punti (12° NBA), 6 rimbalzi e quasi 3 assist ad incontro, con un season-career high di 41 punti, queste sono le medie stagionali di Melo, cifre che fanno capire solo relativamente l'impatto devastante che questo ragazzo ha avuto sulla franchigia.
Dare al rendimento di Melo tutto il merito dell'exploit stagionale di Denver sarebbe comunque la cosa più sbagliata. Durante il campionato, infatti, il coach Jeff Bzdelik ha saputo costruire un gruppo molto solido, tenuto insieme dal talento della sua giovane stella, attorno alla quale, giocatori molto sottovalutati fino ad allora, sono stati capaci di salire alla ribalta. Il playmaker Andre Miller dopo la disastrosa esperienza a Los Angeles, sponda Clippers, e le orribili prestazioni ai Mondiali di Indianapolis, era caduto in disgrazia ma quest'anno è tornato ad esprimersi ad alti livelli, come aveva fatto al suo ingresso nella lega tra le fila dei Cleveland Cavs.
Piazzatosi fra i primi dieci giocatori NBA in assist e recuperi Miller ha saputo dettare i giusti tempi alla manovra riuscendo ad esaltare le qualità dei compagni. Alle spalle di Miller si è mosso quello che secondo molti è stato il vero leader carismatico della squadra, una scheggia di 160 cm scarsi che risponde al nome di Earl Boykins. Fortemente voluto dallo staff tecnico dopo aver stupito tutti durante la scorsa stagione a Golden State, questo ragazzo è finalmente riuscito ad andare oltre i pregiudizi che aleggiavano su di lui a causa della sua taglia fisica e ha fornito prove strabilianti da vero condottiero.
Boykins ha portato in dote ai Nuggets non solo sprazzi di difesa e velocità , come faceva ad esempio Bogues anni fa, ma si è dimostrato giocatore costante solido in difesa e soprattutto molto efficace in attacco dove ha sfoggiato un tiro mortifero, grande precisione nei passaggi e freddezza nei momenti caldi risultando spesso decisivo, come in occasione di una vittoria casalinga dei Nuggets contro i Lakers, quando Earl stese Shaq e Kobe con un 4 su 7 da tre nel finale.
In posizione di guardia il titolare Voshon Lenard, ex Miami e Toronto, ha prodotto probabilmente la sua miglior stagione in carriera segnando 14 punti a partita e garantendo alla squadra grande pericolosità sul perimetro mentre nel ruolo di ala forte il brasiliano Nenè ha migliorato le sue medie rispetto alla scorsa stagione continuando a dare segnali confortanti sui suoi progressi nella comprensione del gioco.
Altro giocatore fondamentale per l'ascesa di Denver è stato il centro Marcus Camby che, dopo anni di sfortuna e infortuni gravi ha mostrato, con stupefacente continuità , le doti che lo avevano reso famoso ai tempi di UMass prima e dei Knicks poi. Giocando 77 partite fra regular season e playoff, Camby ha stabilito il suo record di presenze potendo così esprimersi al meglio, soprattutto in difesa, grazie alle sue doti intimidatorie (2,6 stoppate a partita, 5° NBA) e alla sua abilità a rimbalzo (oltre 10 a partita,10° NBA), fornendo in alcune occasioni prove eccezionali, andando spesso vicino alla tripla doppia.
La panchina, forse troppo corta, si è dimostrata di buona qualità , grazie ad un ottimo attaccante come Rodney White e lunghi giovani ma di sostanza come Andersen ed Elson. Esperienza, difesa e soprattutto grande intensità sono state garantite da un vero esperto del pino come Jon Barry che è sembrato quello degli "alternatorz" ai tempi dei Kings, quando entrando in campo dava elettricità alla partita.
Il futuro dei Nuggets si prospetta davvero roseo pensando alla situazione salariale che li vede secondi solo a Utah come maggiore disponibilità nel salary cap, Camby è l'unico giocatore che si deve provare a trattenere, visto che potrebbe esercitare un'opzione per uscire dal contratto attuale. Per il resto Denver potrà contare su un gran budget e il fascino della città per fare offerte ai grandi free agent, Bryant su tutti, che si affacceranno sul mercato durante l'estate.
Da chiarire sarà poi la posizione di coach Bzdelik che nonostante l'ottimo lavoro, è stato criticato per i suoi metodi troppo duri, ma si può tranquillamente dire che ai piedi delle Montagne Rocciose grazie a Carmelo e compagnia sono tornati i bei tempi.