Playoff: Il meglio e il peggio

La vera sopresa di tutti i Playoff 2004

PROMOSSI

DWAYNE WADE
Perchè scegliere come “uomo copertina” di questo secondo turno Wade, che è stato eliminato, e non qualcuno come Garnett, Kobe, Artest o Ben Wallace?
Sono stati tutti effettivamente splendidi, e tutti hanno fatto passare il turno alle loro rispettive squadre; questo ragazzo però, entrato nell'NBA con credenziali degne di un grande campione, ma totalmente offuscate dallo splendore delle due stelle designate James ed Anthony, rispecchia in pieno l'attitudine, la voglia di emergere, la brillantezza dei suoi Miami Heat: una squadra che tutti ad inizio stagione consideravano con buone potenzialità  ma senza grandi prospettive, destinata ad un futuro mediocre, partita malissimo, e cresciuta di partita in partita fino ad arrivare ad un passo dalla finale di Conference.

Difficile descriverlo in poche parole meglio di quanto non abbia fatto Larry Bird: “E' incredibile, è veramente un grande. Ha cambiato quella squadra: quando è fuori, faticano; quando è in campo, sono una buona squadra. Mi piace quando gioca da point guard: fa gioco, è altruista, sa andare in zona pitturata ma sa anche punirti da fuori. E' spettacolare.”

Non ha paura di niente e di nessuno e ha uno stile di gioco difficile da contenere: se parte palla in mano ti attacca senza paura, e tendenzialmente va fino in fondo; se parte lontano dalla palla si muove benissimo dietro ai blocchi e non sta mai fermo un attimo; se lo lasci ricevere e lo affronti faccia a faccia, sguscia via come un'anguilla (e la sua spin move è già  un marchio registrato); d'altronde se lo anticipi forte ti brucia quasi sempre col back door, che esegue in modo superbo (ha massacrato letteralmente Tinsley giocando un back door dopo l'altro contro di lui). Deve solo aggiungere costanza nel jumper e un metro al suo range di tiro, e poi potrà  affermarsi fra quelli che spostano gli equilibri.

Se nel primo turno si era preso sulle spalle l'onere dei tiri decisivi allo scadere, nel secondo ha deciso di alzare ulteriormente il livello del suo gioco: più assist, miglior percentuale al tiro, ma soprattutto 21 punti di media (+5 rispetto alla regular season) e 4 gare su 7 col ventello in saccoccia; aggiungendole ai tabellini del primo turno fanno sette gare in postseason con 20 o più punti, da rookie: non ci riusciva nessuno dai tempi di David Robinson.

BEN WALLACE, RON ARTEST
Pistons-Pacers è una serie che avrà  tanti protagonisti e due anime: “Big Ben” e il “Rottweiler”. Due giocatori troppo simili per non essere accostati: poco talento, un cuore enorme, una grinta ed una cattiveria agonistica senza eguali, una capacità  unica di prendersi cura del proprio avversario diretto e cancellarlo dalla contesa.

Ben al momento è a 10 punti, quasi 15 rimbalzi e quasi tre stoppate di media. Al primo turno ha passeggiato sui non-lunghi dei Bucks, al secondo ha sostanzialmente spianato il Grand Kenyon, che al primo turno aveva viaggiato a 23+14 col 64%, riducendolo ad una dolce collinetta dell'entroterra toscano (16+8.8 col 45%).

Ron ha fatto persino di meglio, perchè in attacco viaggia a 21 punti, 4.8 assists, 43% dal campo e 37% da tre, non male per uno il cui talento offensivo è veramente poverissimo rispetto ai grandi attaccanti della lega.

In difesa peraltro ha fatto, come sempre, il suo:
Paul Pierce, il miglior esterno offensivo della lega dopo Kobe, è stato letteralmente umiliato: 34% dal campo, 29% da tre, 6.2 palle perse.
Dopo PP gli è capitato tra le fauci Caron Butler, che di PP dovrebbe essere l'erede (come ruolo, come tipo di gioco, persino come scelta al draft): 10 punti a partita, 33% dal campo, 33% da tre punti. Nei momenti cruciali della serie ha pure dovuto fare gli straordinari mettendo una bella museruola al fantastico Wade, che contro di lui si è divertito poco e niente.

MCHALE, HASSELL, HOIBERG
Questa è la squadra di KG, tutto inizia e finisce con The Big Ticket; nelle poche occasioni in cui si menzionano i Wolves e non si parla di lui, la copertina va a Cassell, Spree, magari Szczerbiack; però ogni tanto sarebbe bene ricordare anche un signore che, dopo 7 eliminazioni consecutive al primo turno dei playoffs, è riuscito ad assemblare una splendida squadra, e lo ha fatto spendendo poco e niente: fra i cinque giocatori più utilizzati da Saunders in questi playoffs, due sono stati presi dalla “spazzatura” NBA, e hanno un contratto annuale al minimo salariale… eppure in questi playoffs hanno spesso e volentieri fatto la differenza fra vincere e perdere le partite.

Hassell in nessuna gara della sua carriera ha mai segnato più di 9 canestri, nè tentato più di 14 tiri; in tutti questi playoffs ha tirato un libero a partita, e ha tentato una tripla in tutto. Però, se guardate i tabellini dei suoi avversari, vedrete che ha tenuto 'Melo a 15 punti col 32% dal campo ed il 18% da tre, Stojakovic a 17 punti, 35% e 34%… e adesso tocca a Kobe.

Il Sindaco, dopo una carriera da “fenomeno di costume”, idolo dei tifosi e poco più, si è reinventato pedina decisiva in una squadra da titolo, alla Steve Kerr. Nella serie contro i Kings si sono rivelate decisive la sua intelligenza tattica, la sua lucidità , le sue percentuali mortifere al tiro da fuori (50% tondo, in carriera ha il 38%). I Lakers concedono tanti tiri sul perimetro con metri e metri di spazio, si sa: il fatto che lui li segni o meno sarà  uno degli elementi decisivi nello scacchiere tattico.

FOSTER, SCALABRINE
Esiste nel basket qualcosa di più bello che mettere a segno il proprio career-high di punti in una gara decisiva? Esiste un solo ragazzino che abbia mai preso in mano la palla a spicchi che non abbia sognato una cosa del genere? Beh, questi due ce l'hanno fatta a pochi giorni di distanza l'uno dall'altro.

Foster, in una fondamentale Gara 5 contro gli Heat, ha messo a referto in 35 minuti 20 punti e 16 rimbalzi con 9/10 dal campo (tutti career-high), e contemporaneamente cancellando dalla partita il miglior giocatore avversario, Lamarvelous Odom, tenuto a 14.

Brian “rosso malpelo” Scalabrine, messo in campo solo perchè non c'era più nessun altro da far giocare in seguito alle uscite per falli, ha vinto la gara per i suoi Nets con 17 punti e 4/4 dalla lunga distanza… niente male per uno che in carriera ha il 30% da tre, e che in questa stagione aveva segnato in tutto 10 triple, con un sontuoso 27% complessivo.

LAWRENCE FRANK
E' vero, i Nets sono usciti dai playoffs e ne sono usciti maluccio (un massacro in Gara 7), ma è proprio questo il momento giusto per dare i giusti meriti al dottor Frank-enstein: uno che in regular season ha raccolto i brandelli di una squadra ridotta ai minimi termini dalle diatribe interne, mettendo assieme 14 W consecutive da esordiente sul pino e portandola in carrozza ai playoffs con un fantastico record di 26 vittorie e 14 sconfitte.

Ai playoffs, dopo un primo turno in scioltezza, ha nuovamente dovuto mettere assieme i cocci di una squadra che in due partite aveva subito 37 punti totali di scarto, guidandola a tre vittorie consecutive una più bella dell'altra, salvo poi crollare nelle ultime due gare.

Lo ha fatto stampando, dopo Gara 2, numerose copie di questo articolo su Lance Armstrong, e scrivendo sulla lavagna questa citazione: “Nothing in the world can take the place of persistence. Talent will not. Nothing is more common than unsuccessful men with talent.
Genius will not. Unrewarded genius is almost a proverb.
Education will not. The world is full of educated derelicts.
Persistence and determination alone are omnipotent.”

Molti lo criticheranno per la devastante mazzata subita in Gara 7, ma è una scempiaggine: raggiungere Gara 7 è già  un trionfo, tenendo conto che i Pistons sono molto più forti di questi Nets; tenendo conto che Brown è una icona del basket a stelle e strisce, mentre lui rispetto alla media degli allenatori NBA è un neonato; tenendo conto che ha affrontato la frontline più forte dell'Est con una ala forte che che in tutta la serie è andato solo una volta sopra i 20 punti, solo una volta sopra i 9 rimbalzi, solo una volta sopra al 50% dal campo; tenendo conto che il tuo miglior giocatore, Kidd, ha giocato in questa serie la peggior pallacanestro non dell'anno, ma di tutta la sua vita.

Complimenti comunque, dottor Frank-enstein.

DEVEAN GEORGE
Come al solito quel luna-park chiamato Los Angeles Lakers fornisce in una settimana più spunti ai giornalisti di quanto altre franchigie NBA facciano in una stagione intera: solo in questo secondo turno di playoffs ci sarebbero decine di storie da raccontare, da Kobe a Jack Nicholson, da Jackson a Shaq, da Kuptchak all'incredibile buzzer-beater di Fisher, che resterà  indelebile nella storia della franchigia.

Troppa carne al fuoco per preoccuparsi di uno come George, l'unico essere umano in un quintetto di Hall of Famers, quello che sta dalla parte sbagliata della abusatissima frase “assieme a quei quattro lì potrei giocare pure io!”; uno che già  non fa notizia di per sè, figuriamoci se il suo score ai playoffs dice 5 punti e 2.5 palle perse in 21 minuti di media; invece il buon Devino è un giocatore più unico che raro, una delle pochissime formiche in una lega di cicale (ed in una squadra in cui il cicalèccio è più forte che in qualunque team professionistico del mondo), e merita ogni singola buona parola che viene spesa su di lui.

Non vede un tiro disegnato per lui da quando faceva il bello ed il cattivo tempo ad Augsburg, Minnesota, Division III; in certi periodi Jackson sembra quasi dimenticarsi di lui (26 minuti totali nelle prime tre gare contro Houston), salvo poi buttarlo all'improvviso nella mischia e chiedergli di contribuire (27' di media contro gli Spurs).

Quando è in campo assieme ai titolari può capitargli di non toccare letteralmente palla per decine di minuti, perchè gli altri giocano fra loro; quando è in campo assieme alle riserve, tutti giocano per farsi notare e mettere qualche punto a bersaglio, lui è l'unico a continuare a giocare di squadra e a non esagerare mai con le iniziative personali.

Il risultato è che in questi playoffs ha tentato un tiro ogni 7' giocati: nessun giocatore dei Lakers tira così poco in rapporto al minutaggio, nessuno!!! Nemmeno Cook, nemmeno Fox, nemmeno Russell che in tutti i playoffs ha tentato un tiro solo ma ha giocato sei minuti!

Però, anche se la palla in attacco non la vede veramente mai, ogni tanto all'improvviso gli capita di ritrovarsi l'arancia in mano al ventiquattresimo secondo con tre metri di spazio, e tutto il palazzetto che gli chiede di metterla nel cesto, e che in caso di errore è pronto a crocefiggerlo come “quello scarsone che non riesce manco a mettere un tiro con tutto lo spazio del mondo…”.

Non è proprio così, signori: il basket è un gioco fatto di ritmo, di fluidità , di confidenza: non avere la possibilità  di un minimo di continuità  di gioco e poi tutto ad un tratto dover segnare un canestro decisivo dal nulla, fuori ritmo, è la cosa più difficile di questo gioco (chiedete a Bowen); è difficile come una delle giocate di Kobe o KG, quelle che vanno negli highlights, se non di più.

Eppure, nonostante tutto, in ogni singola azione in cui è in campo da' tutto quello che ha, e molto di più: difende contro chiunque, va a rimbalzo come un ossesso, in attacco spesso e volentieri è l'unico a fare i movimenti che lo schema richiederebbe, mentre gli altri se ne infischiano bellamente.
Eppure, nonostante tutto, gli Spurs si ricorderanno a lungo delle sue gare 5 e 6, di quei 26 punti in 53', di quel suo 6/11 da tre.

Eppure, nonostante tutto, in questi playoffs ha il 54% dal campo, il 52% da tre, il 78.6% dalla linea della carità ; è il terzo miglior tiratore da tre di tutti i playoffs, e l'unico a tirare almeno il 50% da tre, il 50% dal campo ed il 75% ai liberi!

Quando il quintetto titolare dei Lakers viene annunciato e il “quinto moschettiere” è lui, il suo nome si perde fra le ovazioni (o i fischi, a seconda del palazzetto) tributate agli altri quattro, e lui appare estasiato, quasi spaesato, per il fatto di dividere il parquet con quei monumenti al basket; sempre con quella faccia estasiata ed il sorriso sulle labbra, Devean va a fare il suo bravo huddle con i titolari… ma ogni volta, ogni singola volta, prima che la partita inizi va a bordo campo, e con la stessa identica faccia partecipa anche all'huddle del “blue team”, i panchinari, i suoi ragazzi, quelli come lui.
Toglietemi tutto, ma non il mio George.

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RIMANDATI

JERMAINE O'NEAL
La sua stagione regolare è stata magnifica, strepitosa, e la sua candidatura ad MVP più che legittima. Però, per essere degno di entrare definitivamente ed a pieno titolo nel gotha dei giocatori NBA, deve farci vedere qualcosa in più rispetto a quello che ha mostrato finora.

Ora come ora questa è la squadra di Artest, non la sua; il suo contributo ai playoffs è stato apparentemente buono, ma in realtà  deludente: 20 punti, 8.6 rimbalzi e 43% dal campo sono cifre straordinarie se giochi contro Garnett o Duncan, ma diventano davvero poco significative quando l'avversario diretto è un'ala piccola (McCarthy e Odom) o un giocatore dal grande cuore ma che gli rende svariati centimetri e non salta il proverbiale foglio di giornale (Grant).

La prossima serie ci dirà  qualcosa di più su quel che Jermaine può e deve dare a questa lega nei momenti che contano: affrontare i due Wallace è un severo esame di maturità  per i lunghi dell'Est: Martin lo ha provato ed è stato sonoramente bocciato, che venga avanti il candidato O'Neal.

JAMAAL TINSLEY
Nelle prime sette gare dei playoffs ha tirato col 54% dal campo, compreso un incredibile 14/26 (53.8%) da tre punti, con quasi 7 assists di media a fronte di 1.5 palle perse. Nelle ultime tre gare ha tirato complessivamente con 8/28 dal campo (28%) e 0/11 dalla lunga distanza, con 5 assist e 4 palle perse di media; più in generale in tutta la serie è stato letteralmente messo in croce da Wade, che ha fatto di lui tutto quello che ha voluto, tanto da costringere Carlisle a ricorrere addirittura a Ron Artest per contenere l'irresistibile rookie.

Quale dei due Tinsley vedremo nella Finale di Conference? La risposta potrebbe dirci se i Pacers saranno o meno in grado di arrivare all'ultimo ballo.

LARRY BROWN
Grande personaggio, grandissimo allenatore, per l'ennesima volta nella sua carriera ha costruito una squadra solida, vincente, pericolosissima; però caratterialmente resta un soggetto davvero difficile da apprezzare…

In questa serie è riuscito a litigare con tutti: con Rod Thorn, con gli arbitri, con Lawrence Frank. In particolare quest'ultima faida è paricolarmente vergognosa, perchè dire che “Guardate, mettere lui in panchina equivale ad affermare che chiunque può allenare” è già  squallido di per sè; ma diventa ancor più patetico e vergognoso se tu sei uno dei più grandi allenatori di sempre e il tuo avversario è un giovane esordiente ai playoffs, e soprattutto se sei sopra 2-0 nella serie.

Molti dicono che se a fine carriera questo grandissimo coach non avrà  vinto nulla sarà  stata una incredibile ingiustizia… ma non sarà  che tante delusioni siano solo la giusta ricompensa da parte degli dei del basket per comportamenti di questo genere?

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BOCCIATI

CHICAGO BULLS
Probabilmente vi chiederete “ma che hanno fatto di male i Bulls per finire in questa classifica, visto che ai playoffs non ci sono nemmeno?”
Beh, diciamo che hanno cercato di farsi comunque notare: come nuovo “director of pro personnel” hanno ingaggiato Jay Hillock… che ha ricoperto la stessa carica prima nei 5 anni dei Grizzlies AW (Ante West), poi negli ultimi due anni della non troppo rimpianta gestione-Layden nella Grande Mela.

Insomma, magari è solo una cattiveria, ma assumere nella stanza dei bottoni uno che ha partecipato prima alle fantastiche avventure di una squadra che faticava a superare le 15 W in stagione, e poi all'inarrestabile declino di una delle franchigie più rinomate della storia del gioco, non è un po' come affidare i propri risparmi di una vita ad un manager della Parmalat?

TORONTO RAPTORS
Probabilmente vi chiederete nuovamente “ma che hanno fatto di male i Raptors eccetera eccetera?”
Beh, diciamo che anche loro hanno cercato di farsi comunque notare: da quando chi tiene le redini della franchigia ha deciso di giubilare Grunwald (che nella sua gestione ha fatto parecchi danni, certo, ma per una volta aveva azzeccato quasi tutto, in questa stagione!), ne hanno fatte di tutti i colori: hanno licenziato O'Neill una settimana dopo aver detto che il suo destino sarebbe dipeso dal nuovo GM; hanno contattato una mezza dozzina di papabili per il posto di GM, tutti presentati come degni di instaurare il classico “nuovo corso”, tutti repentinamente bocciati dopo ripensamenti fulminei (compreso il Doctor J); poi si sono messi in testa di scegliere il nuovo coach prima del nuovo GM, trovandosi nella invidiabile situazione di ricevere notevoli due di picche da possibili coach perchè “non posso accettare finchè non so chi è il GM”, e altrettanti due di picche da possibili GM perchè “non posso accettare se l'allenatore lo scegliete voi e non io”.
Incredibile, ma vero.

TAYSHAUN PRINCE
Le sue statistiche del primo turno:
17 ppg, 8 rpg, 3.3 apg, 1.8 bpg, 59.4%
Le sue statistiche nelle prime 6 gare del secondo turno:
8.8 ppg, 4 rpg, 1.2 apg, 1.2 bpg, 34.2%
Le sue statistiche in Gara 7:
3 punti, 6 rimbalzi, 5 assists, 0 stoppate, 1/9 dal campo.

Contro i Bucks è stato il giocatore decisivo, quello che ha fatto la differenza, nelle ultime gare della serie addirittura il go-to-guy.
Contro i Nets è stato abulico, svogliato, poco incisivo, alla mercè di Richard Jefferson (il duello fra i due si è concluso 147 a 51).
Brown è giustamente infuriato: il Principe deve ritornare quello visto contro i Bucks, altrimenti si fa dura per i Pistons, perchè gli esterni dei Pacers non perdonano.

RICK ADELMAN
Nelle prime 65 gare stagionali i Kings sono stati la squadra più efficace e spettacolare della lega; nelle seguenti 30 hanno riscritto il vocabolario alle voci “discontinuità “, “inaffidabilità ” e “talento sprecato”.

Durante la regular season hanno segnato poco meno che 103 punti a partita (secondi solo ai Mavs), col 46.2% dal campo (secondi solo ai Wolves), il 40% da tre punti (primi, con 3 punti percentuali di vantaggio sui secondi), 26.2 assists (primi).

La squadra segnava, Stojakovic era vice-capocannoniere della lega (24.2, 48% e 42%), tutti andavano a canestro in scioltezza, la palla girava che era un piacere e Miller e Divac viaggiavano a 9.6 assist complessivi a partita. Ah già , Chris Webber non era un fattore in tutto questo.

Ai playoffs tutto è cambiato: Adelman ha voluto restituire la squadra nelle mani di Webber (che, poveraccio, non era nelle condizioni fisiche per prendersela sulle spalle, e ha fatto quel che poteva). Il risultato:
Meno 8 nei punti a partita (95), meno 4 nella percentuale al tiro (42%), meno 6 in quella da tre (34%), meno 4 negli assists a partita (22); Divac e Miller da 24, 16 rebs, 9.6 assists a 17, 13 e 5. Stojakovic è crollato a 17 punti, col 38% dal campo ed il 31% da tre.

Soprattutto, però, i Kings sono passati da essere una autorevole contender ad una squadra che contro i Mavs ha ottenuto il massimo risultato con il minimo sforzo, e contro i Wolves è stata dominata praticamente per tutta la serie, restando sempre a galla solo grazie all'inesperienza dei propri avversari.
Adelman ha avuto le sue opportunità  per vincere dei titoli NBA, ma vuoi per sfortuna, vuoi per suoi obiettivi errori, le ha sempre fallite. Questi Kings sono una squadra talentuosissima ma vecchia, in declino, con gravi carenze in materia di personalità  e troppi buonissimi giocatori senza nessuno che si stagli nettamente sugli altri, in grado di guidarli e comandarli.

Forse è giunto il momento di fare qualche scelta drastica, a cominciare proprio da chi è al timone.

JASON KIDD
Sarà  una lunga, lunghissima off-season per Jasone. L'anno scorso era all'apice della sua carriera, aveva guidato i Nets ad una autorevole riconferma sul trono della Eastern Conference e ad una battaglia senza quartiere con i fortissimi Spurs: tutta l'NBA, a cominciare dai campioni in carica, era ai suoi piedi, offrendogli mari e monti per portarselo a casa.
Un anno dopo abbiamo un giocatore che in stagione regolare si è dimostrato per l'ennesima volta allergico a lunghe lune di miele con gli allenatori, mettendo su una indecorosa fronda nei confronti del proprio coach, e che ai playoffs ha deluso.

Presentatosi ai natri di partenza della postseason fortemente debilitato nel fisico, nel primo turno contro i Knicks si è risparmiato, ma nel secondo è crollato: 10.1 ppg, 28.4 fg%, 14.7 3pt%, 9apg, 6.7rpg, 3.3.topg. Sono ampiamente le peggiori cifre di tutta la sua carriera, rese ancora più drammatiche dal crollo di gara 7: neanche un punto in 43 minuti, 0/8 dal campo, una vera debà cle.

Chi già  l'anno scorso faceva notare come un settennale in scadenza nel 2009 sia un bel macigno, tenendo conto che Kidd ha già  31 anni, difficilmente resisterà  alla tentazione del classico “ve l'avevo detto io”. Definire Jasone un giocatore finito francamente è troppo, ha ancora alcuni anni ad altissimo livello di fronte a se', ma i Nets dovranno prendere qualche decisione importante: Kenyon Martin vuole una vagonata di soldi per restare nella palude, e qualcuno suggerisce che il modo migliore per darglieli sarebbe riproporre agli Spurs lo scambio con Tony Parker, per assicurare un ultima chance di titolo a Jasone, e un nucleo giovane da cui ripartire per i Nets.

EDDIE JONES
Ormai è indifendibile: al secondo turno dei playoffs 11 ppg, 3 rpg, 2.7 apg, 1.8 topg, 35% dal campo e 36% da tre.
Negli ultimi anni è stato la stella della squadra, e gli Heat sono stati una delle peggiori squadre della lega. Quest'anno sono arrivati Odom e Wade, in poco tempo si sono ambientati, e hanno portato gli Heat meritatamente al secondo turno dei playoffs.
In questa postseason, confrontandolo con Wade, Odom e Butler, è il peggiore per quanto riguarda rimbalzi, assist, percentuale dal campo e tiri liberi tentati, mentre nei punti segnati è solo di una spanna davanti a Butler.

Van Gundy II, sotto di tre all'ultima e decisiva azione di Gara 6, ha panchinato Wade e si è affidato ad EJ, disegnando un gioco per lui: air ball, e tutti in spiaggia da qui alla prossima stagione.

Ormai questa è la squadra del trio Wade-Butler-Odom (e metteteci pure Rafer Alston, che è stato encomiabile). Lui è soltanto un peso per questi Heat, un giocatore da sbolognare al miglior offerente (rappresenta il 27% del payroll della squadra, così come Grant che però il suo lo da' sempre), una ex grande promessa per cui il titolo di “next MJ” è stato letale, e che non si toglierà  mai più di dosso quella orribile etichetta di choker.

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