La delusione di Tony Parker in gara 6
La stagione dei San Antonio Spurs era forse già finita dopo gara 5, quando un canestro epico allo scadere di Tim Duncan era stato spazzato via da una prodezza di Derek Fisher che tutti d'ora in poi includeranno nei momenti salienti della storia dei playoff.
Allo Staples Center i texani sono scesi in campo privi di motivazioni finendo in pasto a Kobe e Shaq, facendo proprio a Hollywood la classica fine dei cattivi contro i supereroi.
Il volo di Kobe nel finale di gara 6 sopra le figure spaurite in maglia nero - argento, sarà l'immagine simbolo del trionfo dei Lakers e forse della caduta di una dinastia che era fin lì pronta a nascere.
Pensare che in Texas il cielo rimanga terso fino alla prossima stagione sarebbe un azzardo visto che certi aspetti tecnici, parlando di squadra e caratteriali dei singoli potrebbero, come tante nuvolette, unirsi fra loro in un temporale.
Certo la stagione regolare, conclusa con un ottimo record (57-25), unita al fatto che gli Spurs fossero i campioni uscenti, faceva pensare a tutti, nessuno escluso, che San Antonio fosse in assoluto la squadra da battere, potendo contare su maggior tranquillità rispetto alle situazioni da film, in campo e fuori, tipiche di casa Lakers, maggior esperienza in confronto ai Wolves e maggiore credibilità rispetto ai lunatici Sacramento Kings; in più, dopo le prime due gare della serie contro L.A. vinte davvero a mani basse con prove di forza davvero spaventose da parte di Parker soprattutto, si poteva certamente pensare ad un ritorno d'orgoglio dei Lakers, ma non ad una caduta di tali proporzioni da parte di Duncan & C.
Quali sono allora le cause e chi sono i principali indiziati della disfatta? Sarebbe molto facile dire che la forza dei quattro Hall of Famers è riuscita ad avere la meglio, anche perché la sensazione è stata che tutti i limiti degli Spurs siano venuti a galla nel momento in cui dovevano chiudere i conti e mandare a casa i gialloviola.
San Antonio è sembrata prigioniera della sua grande difesa.
Partendo dal presupposto che i quattro gialloviola di cui sopra non sono assolutamente arginabili simultaneamente da nessuna squadra presente oggigiorno sul pianeta, si può dire che gli Spurs hanno ceduto man mano che la loro difesa cadeva sotto i colpi dei Lakers evidenziando le proprie carenze offensive nel momento in cui si doveva cercare di rispondere colpo su colpo agli avversari, cosa che non era invece accaduta nelle prime due gare della serie, quando Parker era sembrato l'eroico Iverson delle Finali 2000, sparando da tre e penetrando a suo piacimento nella difesa avversaria.
Raffreddatasi la mano del francese nessun altro è stato capace di prendere in mano le redini dell'attacco: Duncan, fra i litigi con i liberi e il lavoro comunque massacrante sotto i tabelloni e in difesa, non è stato mai molto lucido, anche se, sempre generoso, è stato l'ultimo ad abbandonare la nave che affondava.
Per il resto Ginobili è forse stato il più costante dando le consuete scariche elettriche alle partite sia in attacco che in difesa mentre Nesterovic, Bowen e Turkoglu venivano sistematicamente trascurati dalle difese avversarie perché incapaci di impensierire offensivamente. Horry non ha davvero mai visto il canestro, ma rimane un giocatore fondamentale per la difesa e in generale per il suo pazzesco quoziente d'intelligenza cestistica soprattutto nei momenti caldi.
Buone cose ha saputo far vedere Devin Brown, capace di attaccare efficacemente (anche se spesso battezzato al tiro dalle difese) e difendere in maniera degna anche su Bryant.
Coach Popovich è parso molto confuso nelle decisioni, cosa strana per uno fra i più meticolosi e precisi allenatori della lega, lasciando troppo in panchina Turkoglu, Horry e sopratutto Ginobili quando poteva magari proporre quest'ultimo come regista nei tanti momenti di follia di Parker e dimenticando un giocatore importante in passato come Malik Rose, messo nel dimenticatoio anche quando sarebbe stato meglio dimenticare le vicende personali.
Il play transalpino è forse il caso più preoccupante di cedimento psico-tecnico fra gli Spurs; il giocatore pazzesco delle prime due gare si è trasformato, pur mantenendo cifre apparentemente valide, in un regista da serie B, con le sue folli selezioni di tiro e le sue imprecisioni. La dirigenza dovrà ora prendere delle decisioni riguardo a Parker visto che ha dimostrato ancora grossi limiti di capacità nel gestire una partita che conta, come aveva già fatto negli scorsi playoff, quando però Claxon alle sue spalle ne aveva coperto le pecche.
Tirando le somme si può dire che i rimpianti e la delusione non saranno facili da cancellare velocemente, ma a San Antonio possono in ogni caso contare su una buona ossatura di squadra con la sola preoccupazione di rifirmare Ginobili e fare chiarezza sui limiti di Parker, magari affiancandogli un secondo play affidabile, ruolo coperto quest'anno soltanto dai cammei di Ward e Hart.
Sarà da valutare la posizione di Rose, Willis, Hart e Bowen dai quali non ci si può più aspettare molto.