Hollywood Miller
Uno ha quasi trentanove anni, l'altro venticinque appena compiuti. Da una parte una carriera stellare, attraverso quasi due decenni che lo hanno visto spesso ombra del più grande di sempre. Dall'altra, qualcuno che ha ancora tutto da dimostrare e che per farlo ha scelto una strada diametralmente opposta da quella tradizionale fatta di grandi numeri alla portata dei media.
Poco in comune tra i due: il ruolo, il minutaggio (28 a sera), il fatto di avere segnato 14 punti e rubato 5 palloni nella quarta rispettiva partita del primo turno di playoff (vinta da entrambi) e, cosa più importante, la consapevolezza di trovarsi davanti al giusto pubblico, sul miglior palcoscenico possibile, con molto da dire, da fare e da dimostrare. Ancora una volta o finalmente, a seconda dei casi.
Reggie Miller e Trenton Hassell: ecco svelato il mistero durato un paio di paragrafi. La convinzione, a costo di essere tacciati di voler a tutti costi trovare il fenomeno quando i fenomeni veri sono altri, molto più visibili, è che le due shooting guards di Indiana e Minnesota rivestiranno un ruolo fondamentale nella più equilibrata e sfrenata rincorsa al titolo di campioni NBA degli ultimi anni.
Underdogs anche loro, sì: sottovalutati, vengono da dietro per fare poche cose, ma decisive; specialisti nelle loro arti come pochi altri nella lega; per quanto poco incidano i loro numeri sai sempre che è stato meglio averli con piuttosto che contro.
La storia, d'altronde, insegna che senza i Kerr, i Paxson, gli Horry, e chi più ne ha più ne metta (anche da tre) non si va da nessuna parte, fosse anche l'unica cosa che fanno in 48 minuti di battaglie per 7 guerre.
Hollywood Miller "è" i playoff NBA. Incarna l'essenza dell'ultimo tiro, dell'impresa impossibile, dello schema disegnato per il secondo che termina sulla sirena: un pennarello rosso che segna il suo numero sulla lavagna e una retina che si muove un momento dopo. Lo ha fatto per anni, con risultati enormi, dipinti su di una memoria giustamente troppo piena di graffiti made in Jordan. Ha steso pagine e pagine sulle quali il 23 ha sempre saputo scrivere sopra con un pennarello più visibile, più spesso, indelebile.
Ora, con quella che può tranquillamente essere considerata la miglior formazione della sua carriera, è giunto il momento di fare un passo indietro; quello che sarebbe il momento ideale per farne uno in avanti, dopo una finale persa quattro anni fa, che paradossalmente si trasforma nell'occasione migliore per girare per una volta le spalle al palcoscenico del quintetto base, in favore di un gruppo di giovani esuberanti e finalmente - almeno in stagione - vincenti.
Sull'altra metà del cielo NBA c'è poi Trenton Hassell. Al primo anno in compagnia del più forte numero 21 in commercio, il palcoscenico non l'ha mai cercato, anzi. E' entrato nei pro dalla porta di servizio da una squadra di servizio: un cantuccio ricco di incognite e di un'ombra (la stessa ombra numero 23, conosciuta anche da Miller) che a Chicago ha preso casa per la vita dello sport stesso.
Trenton ha stupito tutti, dal primo momento, per le doti difensive e per un'intelligenza cestistica molto poco comune nella classe di rookies di tre anni fa, la stessa classe che lo ha visto sostituire egregiamente Wally Szczerbiak nel quintetto base dei T-Wolves per parte di questa stagione, abbassando e non poco il tasso di presunzione dell'odierno Laettner.
Ora, per entrambi, la sfida più grande. Due squadre che devono combattere con decine di fantasmi, di scommesse perse nonostante tutto, di tanti "se" che le hanno relegate più indietro di meriti e potenzialità ; di uomini su cui hanno contato, allontanati e un po' colpevolizzati.
E' arrivato il momento dei momenti, in quest'era in cui le attese del "poi" coprono e sopprimono l'oggi a dispetto di un incerto futuro prossimo; un'era in cui si scommette sempre su cosa verrà dopo, come se l'oggi con cui ci troviamo a vivere sia sempre un gradino sotto rispetto ad un ipotetico e sconosciuto domani. Per Miller e Hassell non c'è tutto questo domani, vuoi per l'età , vuoi per le attese di un team intero con un potenziale che c'è solo oggi.
Che la retina si trasformi ancora in musica. Che l'espressione sul viso dell'avversario sia ancora di frustrazione per l'ennesima ottima difesa. C'è ancora tanto da dire e, in milioni, siamo qui solo per ascoltarlo.
See ya' by In The Zone
Andrea De Beni