Non dite che non sapete chi è…
Anzitutto una premessa: tra 5 anni non fregherà più niente a nessuno. Lebron James e Carmelo Anthony saranno due 25enni nel pieno della loro maturità atletica e tecnica, e la loro stagione d'esordio nella Lega sarà l'ultimo dei criteri con cui verranno valutati.
Fine della premessa: il futuro è riservato a cartomanti e meteorologi, quel che ci interessa è oggi, in questo momento, è la matricola meraviglia dei Cavs che supera quella dei Nuggets, per un pugno di voti, e conquista il trofeo Eddie Gottlieb, riservato al rookie dell'anno Nba.
La votazione
I giurati che hanno deciso il destino dei due fenomeni, dovevano votare le 3 migliori matricole dell'anno. Il regolamento prevedeva l'assegnazione di 5 punti al primo, 3 al secondo e 1 al terzo. James ha vinto con 508 punti, frutto di 78 preferenze (su 118) come migliore assoluto. Anthony è arrivato a quota 430, beccandosi i 40 voti rimanenti come migliore.
Terzo l'ex Marquette, oggi Miami Heat, Dwyane Wade, con 117 voti. Spiccioli, infine, per Kirk Hinrich (Chicago) e Marquis Daniels (Dallas), rispettivamente 4 ed 1 punto.
Una volata lunga un anno
È stato difficile, per gli addetti ai lavori, nominare LeBron James senza mettere nella stessa frase anche Carmelo Anthony, lo è stato per tutto l'anno. I due ragazzi, separati da 7 mesi di vita (più giovane James), un anno di college con relativo trionfo annesso (di Carmelo), e qualche tonnellata di aspettative (sulla groppa di LeBron), hanno trascorso l'intera stagione come gemelli siamesi.
Se James segna 41 punti ai Nets, 3 notti dopo Anthony sceglie i Sonics per toccare la stessa quota, se il prodigio dei Cavs è primo nelle magliette vendute presso gli Nba Store l'altro lo segue a ruota, se il #23 ha creato un piccolo "caso" dichiarando che non sarebbe mai andato all'All Star Game da riserva, l'altro lo ha imitato disobbedendo a coach Bzdelik che l'aveva messo in panchina contro Detroit e voleva farlo rientrare.
In molti pensavano che anche l'epilogo sarebbe stato simile: un salomonico ex-equo, evento già registrato nel '95 (Kidd e Grant Hill), nel 2000 (Brand e Francis), e più indietro nel tempo nel '71 (Dave Cowens e Geoff Petrie). Invece la giuria ha premiato James, e ad Anthony non è rimasto che masticare amaro "Non so cos'avrei potuto fare in più per vincere questo trofeo", ha dichiarato.
Pro James
Che la vittoria del "prescelto" sia legittima, appare chiaro se si pensa che anche gli aficionados più incalliti dell'ex Syracuse, consideravano il pareggio il risultato massimo che Anthony potesse ottenere. Al massimo alla pari, insomma, perché la stagione di James non può essere considerata inferiore a nessuna tra quelle dei suoi pur meritevoli avversari, Carmelo in testa.
Non è tanto una questione di cifre, almeno non solo di quelle. Questo perché i punti più o meno sono quelli, i rimbalzi pure, ma gli assist decisamente no, anche se i 2,8 di Carmelo per un'esordiente non sono malaccio. Il fatto è che il motivo principale per cui il rookie dei Cavs veniva presentato come "speciale", da chiunque l'avesse visto al liceo, era proprio l'attitudine al passaggio, e quasi 6 assist a partita, in una squadra in cui solamente Boozer ha tirato col 50% suonano come una strepitosa conferma.
Alla fine, più che i numeri, la causa di LeBron l'hanno perorata le impressioni. Mai un liceale era entrato nella Nba con un tale fardello di soprannomi ed aspettative sul groppone, e mai tanta attesa è stata ripagata con tali interessi.
Quello che ha fatto James, 79 partite tutte in quintetto, quasi 40 minuti a partita, 21 punti e 6 assist, non ha eguali nella storia: non c'è Garnett o Stoudamire che regga al confronto, e nessuno dei 2 era stato incaricato da chicchessia di salvare la Nba (che comunque di suo non sta malaccio) fin dalla sua prima partita.
James è sceso dall'ottovolante liceo-professionismo senza fare una piega: memorabile la sua prima partita in assoluto, un one-man-show da 25 punti, 9 rimbalzi e 6 assist a Sacramento. Ha segnato 30 o più punti 13 volte, ha suscitato ovunque sospiri d'ammirazione con i suoi passaggi no-look, ha chiamato alla Gund Arena di Cleveland quasi 7000 spettatori in più dello scorso anno.
Solo altri due giocatori hanno chiuso la loro stagione da matricola a quota 20+5+5: Jordan e Oscar Robertson. Se uno così non merita il titolo di rookie dell'anno non lo merita nessuno, punto e basta.
Pro Anthony
Per chi scrive il verdetto è giusto, ma il partito dei simpatizzanti di Carmelo qualche motivo per lamentarsi ce l'ha. Anzitutto i numeri, che abbiamo usato per sostenere la causa del vincitore, ma che sono talmente simili che possono adattarsi anche a sostenere la causa dello sconfitto.
Già , perché se degli assist abbiamo detto, in tutto il resto prevale Anthony: punti (21 contro 20,9), rimbalzi (6,1 contro 5,5), percentuale dal campo (42,6 contro 41,7), da 3 (32,2 contro 29,0) e palle perse (3,0 contro 3,5).
Poi c'è il tormentone assoluto, quello più utilizzato da chi ha scelto di schierarsi su questa riva del fiume: Anthony ha portato Denver ai playoffs nella western conference, anzi, nella division più difficile della western conference, mentre 'Bron non è riuscito a fare altrettanto nella mediocrità dell'est.
Altro dato: sia Cavs che Nuggets avevano concluso la stagione passata con 17 vittorie, e l'anno nuovo ha portato in dono ben 26 successi in più per Denver e "solamente" 18 per Cleveland. Tutto scritto nella pietra dei numeri, e quindi innegabile, ma sostenere che tra le squadre dei rookie meraviglia non ci sia tutta questa differenza"beh, su questo permetteteci di dissentire.
Anthony ha preso in mano i Nuggets dal primo giorno dal punto di vista realizzativo, ma i ritmi di gioco li ha avuti per tutto l'anno in mano Andre Miller, Nené ha avuto una stagione solidissima, Camby non era così produttivo (e sano) da anni, Voshon Lenard spesso ha tirato come si tira in paradiso, e Boykins è stato un candidato credibile per il titolo di 6° uomo dell'anno.
Scusateci, ma tutto questo aiuto James non ce l'ha, e il crollo subito proprio nel rush finale in vista della post-season, coinciso con l'assenza di Jeff McInnis, al proposito dovrebbe dire qualcosa. Inoltre, i Cavs hanno patito anche gli infortuni, specialmente quelli che hanno limitato tantissimo DeJuan Wagner, e i troppi movimenti di mercato, che hanno impedito alla squadra di amalgamarsi a dovere.
Infine due parole su chi chiama gli schemi dalla panchina: Bzdelik qualche mugugno l'ha procurato, con i suoi metodi da sergente di ferro, ma in questo momento è considerato sicuramente superiore a Silas.
Dobbiamo ammettere, comunque, che è veramente difficile decidere chi tra James e Anthony abbia disputato la stagione migliore, perché è questo che doveva essere premiato, senza lasciarsi sedurre da motivazioni diverse, come chi dei due sia più forte in assoluto o chi sarà più forte tra 10 anni.
D'altronde, anche nel lontano 1980, qualcuno si trovò a dover scegliere chi tra Magic e Bird fosse stato il rookie dell'anno, e il fatto che la decisione fu sofferta non implica che l'unica soluzione fosse rifugiarsi tra le comode braccia del pareggio a tutti i costi. Quindi, per quello che può contare, siamo anche noi dalla parte di James.
Gli altri
Quella del 2003 è stata una classe strepitosa, seconda negli ultimi anni solo a quella, irripetibile, del 1996 (Iverson, Marbury, Bryant, Abdur Rahim, Walker, Stojakovic, Camby, Ray Allen, bastano?).
Se è legittimo pensare che Anthony avrebbe potuto vincere il trofeo in ognuno degli ultimi 5 anni (Carter, Brand-Francis, Mike Miller, Gasol e Stoudamire gli ultimi vincitori), che dire di Dwyane Wade, se non che è il sovrano assoluto della sfiga?
Alle radici della sorprendente stagione degli Heat, c'è proprio il ragazzo da Chicago (16,2 punti, 4 rimbalzi e 4,5 assist, col 46,5% dal campo), ma oltre alla concorrenza spietata delle due meraviglie, il talento di Miami è stato penalizzato dagli infortuni, che l'hanno limitato a sole 61 partite giocate.
Menzione d'onore, meritatissima, anche per Hinrich, il solo a salvarsi nel marasma dei Bulls, leader tra i rookies per assist (6,8) e doppie doppie (14) e per Bosh, subito importante (11,5 punti e 7,4 rimbalzi) a Toronto nonostante abbia giocato tutto l'anno fuori ruolo.
Un gradino sotto T.J. Ford, che a Milwaukee ha confermato di essere buon passatore ma scadente tiratore, ma si è infortunato di brutto nella seconda parte di stagione e ha perso la post-season, e Hudonis Haslem, che ha avuto minuti importanti sotto le plance a Miami.
Infine, assolutamente fuori categoria, le due matricole di Dallas. Josh Howard, ultimo giocatore scelto al primo giro, che non è mai uscito dalla rotazione di coach Nelson, e soprattutto Marquis Daniels, strepitoso nella parte finale di regular season e in questo inizio di playoffs.
Appunto, i playoffs, quelli che James guarda dalla tv. Finora ne deve aver viste di belle: Daniels che segna 22 punti ai Kings in gara 3, suscitando i commenti entusiasti di Nelson, Wade che vince gara 1 contro gli Hornets con il più classico dei canestri sulla sirena, Anthony che tiene in vita Denver contro i campioni dell'ovest, segnando 24 punti in gara 3 dopo essere stato annullato da Sprewell in gara 2.
È lui, James, il migliore, il rookie dell'anno 2004, ma a lottare per il titolo ci sono gli altri. Anche questo è il bello dello sport. E del basket Nba, ovviamente.