Il Presidente Jefferson

A New Jersey non ci sono solamente Martin e Kidd

Indovinello per gli appassionati: chi è che segna quasi 19 punti di media, è il miglior esterno della Lega per percentuale di tiro dal campo, va in doppia cifra in punti da 34 partite e l'ultima volta che si fermò a 8 (il 21 gennaio), in compenso diede via 10 assist?

Volete un aiuto? Guida i suoi in punti, minuti giocati e tiri liberi tentati, ma è opinione unanime che sia solo il terzo miglior giocatore della squadra. Ancora? È appena uscito da un mese di marzo da 23,7 punti, quasi 6 rimbalzi e oltre 4,5 assist.

Naturalmente è Richard Jefferson, ovvero l'unico motivo per cui New Jersey, senza Jason Kidd e Kenyon Martin, non è affondata del tutto.

Chi è

Chiariamo subito una cosa: Richard Jefferson non è il solito terzo anno Nba. Non lo è perché ha disputato due finali nei suoi primi due anni, e perché lo ha fatto al fianco di Jason Kidd, la cui presenza rende sempre difficile giudicare un giocatore, nel senso che non capisci mai quanto uno ci metta del suo e quanto ci metta Jasone per tutti.

Non è uno come gli altri perché pochi possono vantare una progressione statistica come la sua: quasi 10 punti al primo anno, che gli valsero l'inclusione nel secondo quintetto dei rookies, oltre 15 al secondo, e quasi 20 al terzo, senza mai scendere sotto l'eccellenza nelle percentuali di tiro.

Jefferson entrò nella Nba dopo 3 anni discreti ma non eccezionali passati ad Arizona, sotto coach Lute Olson. L'highlight della sua carriera universitaria restano le Final Four del 2001 disputate al Metrodome di Minneapolis, in cui i Wildcats, che oltre al nostro schieravano in quintetto gente come Gardner, Arenas e Woods, oltre a Walton dalla panca, si arresero solo nella finalissima, opposti ai Blue Devils di Duke.

Fu una 3 giorni di basket che giovò molto alla reputazione dell'allora 21enne Jefferson, che mise in mostra buona parte delle doti che ancora oggi fanno di lui un giocatore speciale. In primis, un atletismo imbarazzante, che lo rendeva un eccellente difensore e un vivace contropiedista.

L'ala dei Wildcats chiuse le Final Four con 18 punti e 8 rimbalzi di media, ma nella mente degli scout rimase stampata soprattutto la sua strepitosa difesa in semifinale contro Michigan State, che limitò Jason Richardson a 7 punti con 2/11 al tiro. Per la verità  in finale il copione fu leggermente diverso, se è vero che il caliente Mike Dunleavy Jr, marcato proprio dall'attuale ala dei Nets, infilò dall'arco i 9 punti consecutivi che di fatto spaccarono la partita.

Quella sconfitta chiuse comunque la stagione e la carriera universitaria di Jefferson, che di lì a poche settimane si dichiarò per il draft, dove finì ai Nets in seguito ad uno degli scambi più sbilanciati della storia recente della Nba.

Gli Houston Rockets restarono abbagliati da Eddie Griffin, talentuosa quanto problematica ala da Seton Hall, e per averlo cedettero a New Jersey 3 scelte, che si trasformarono in Jefferson e Jason Collins, ovvero 2/5 del quintetto base odierno, e per fortuna anche Brandon Armstrong, altrimenti sarebbe stata circonvenzione d'incapace.

Sono passati 3 anni, ma sembra una vita: il grifone vede spesso il sole a scacchi tipico delle patrie galere, mentre Jefferson è semplicemente diventato una stella, ben oltre le aspettative degli stessi Nets.

Come gioca

In realtà , dietro all'atletismo sfoggiato al college, Jefferson nascondeva molto di più. New Jersey, sia nella versione Byron Scott che in quella Lawrence Frank, ha sempre giocato con l'attacco Princetown, che è tutto meno che una filosofia di gioco semplice da assimilare, se è vero che uno Hubert Davis, che non è Einstein ma resta un veterano di 12 stagioni uscito da North Carolina, non l'ultimo dei polli, recentemente ha confessato di averci capito poco e niente.

Ecco, Jefferson, che 3 anni fa era considerato tecnicamente limitato, oggi sguazza a meraviglia nella Princetown. Il suo è un ruolo fondamentale nell'attacco dei Nets: "Se Jason (Kidd) è il cuore, io sono il sangue - ha dichiarato recentemente - io sono quello che taglia in continuazione per mantenere attiva la circolazione, sia nell'attacco alla difesa schierata che in situazioni di contropiede".

Questa funzione "arteriosa", si nota tantissimo durante la transizione secondaria dei Nets, quando il rientro della difesa avversaria ha reso impossibile una conclusione immediata, e l'attacco deve ristrutturarsi di nuovo.

È qua che l'atletismo aiuta, ed è qua che Jefferson non è un uomo normale, perché dopo aver coperto 28 metri di campo al ritmo che è necessario per stare davanti (se possibile) a Jason Kidd, il #24 dei Nets non si ferma, ma taglia nuovamente alla ricerca del posizionamento e dello spacing più adeguato. Per dirla come l'ha detta lui, "I'm the one that keeps the offense flowing".

Dato che la Princetown è sostanzialmente una filosofia offensiva in cui l'attacco legge la difesa e si adegua di conseguenza, è evidente che il nostro possa fare quello che fa non solo perché è un atleta dell'altro mondo, ma anche perché è duttile tatticamente, e perché tecnicamente è un altro rispetto a quello che abbandonò Arizona nemmeno 3 anni fa.

L'infortunio di Kidd, ha mostrato che Jefferson, già  ottimo rimbalzista, è diventato anche un signor passatore: di recente l'abbiamo visto sparare delle fucilate dal palleggio nelle mani dei vari Harris e Kittles, in gongolante attesa sul perimetro. D'altronde, gli assist, che nella stagione da rookie erano 1,8 a partita, oggi sono più che raddoppiati, e basta guardare una partita dei Nets per capire che non è generosità  dei compilatori di tabellini.

Anche come attaccante ha fatto passi da gigante: recentemente è passato in tv un Nets - Mavericks in cui il quasi 24enne californiano ha battuto a ripetizione la difesa schierata ed ha preso il centro area segnando in 100 modi diversi. Era sempre la difesa dei Mavs: le torri dell'ovest, ma anche i due Wallace di Detroit avrebbero opposto altra resistenza, ma è stata comunque una bella prova di forza.

Anche perché alla penetrazione, il nostro sa alternare un tiro dai 5/6 metri che ormai è letale, e il solito contropiede, in cui il tridente Kidd - Martin - Jefferson ricorda più la 4×100 del Santa Monica Track Club, quello di Carl Lewis, che un normale campo aperto preso da una squadra di basket.

Completa il quadro tecnico la difesa, e qui 3 anni d'acqua sono passati sotto i ponti ma non è cambiato niente, perché Jefferson era un mastino e tale è rimasto: non crediamo di bestemmiare dicendo che, oggi come oggi, solo Artest tra gli esterni ad est gli sia superiore come difensore.

Fuori un difetto, dato che la perfezione resta invisa agli dei? Ancorché in crescita, non è una minaccia dall'arco dei 3 punti: il suo range di tiro è rimasto quello che era al college, ma per il resto"

Cosa succede adesso

La stagione dei Nets è stata un viaggio sull'ottovolante: dalla perdita di Mutombo (per scelta) a quella di Mourning (per disgrazia), dalla cacciata di Scott al filotto d'esordio di coach Frank, passando per il tentativo (fallimentare) buttato là  con Eddie Griffin, fino ai giorni nostri, quelli del mese di marzo di Jefferson a 24 di media, ma anche della gamba sinistra di Kidd che non vuole saperne di andare a posto.

È ovvio che Jefferson può salire di livello quanto vuole, ma senza la salute del suo playmaker, e pure di Kenyon Martin per la verità , New Jersey nei playoffs non andrà  da nessuna parte, e non c'è bisogno di perdere troppo tempo a spiegare il perché.

Tra l'altro gli infortuni hanno colpito quella che già  era una delle rotazioni più stringate della Lega tra le pretendenti al titolo, e in questi giorni quelli del Garden State giocano in 7, se non in 6, e così non si può fare strada.

Nel finale della citata partita contro Dallas, la sconfitta è arrivata a braccetto con l'acido lattico nelle gambe, mentre contro Cleveland, dato a James (41+13 assist) quello che gli è dovuto, i Nets erano sopra di 5 a 1'31 dalla fine, e pensare che con Kidd e Martin sarebbe finita diversamente è legittimo.

Sono almeno due mesi che Jefferson gioca come un All Star, ed è evidente che le presenze a singhiozzo dei suoi illustri compagni gli hanno concesso le luci della ribalta, ma tra due settimane si comincia a fare sul serio, e nei durissimi playoffs della eastern conference, le stelle dei Nets serviranno tutte.

Jason Kidd è sicuro, New Jersey arriverà  ancora in finale. Forse lo dice perché sa che la sua gamba metterà  giudizio in tempo, ma in cuor suo Jason sa anche che, con un Jefferson così, i Nets non sono mai stati così forti.

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