I playoff di Memphis

Jason Williams sta stupendo tutti per maturità …

Il ricambio generazionale può ora dirsi finalmente completato. Testimonianza dell'evento, dalle ceneri di Vancouver, è la franchigia di Memphis, che ancora nei paurosi "Grizzlies" ritrova la propria bellicosa vena, ma che è cosa diametralmente opposta rispetto allo storico team di Blue Edwards, Ashraf Amaya e Bryant Reeves, che non è tra questi Grizzlies solo perché l'irremovibile sorte l' ha voluto strappare ai parquet.

L'ovest del dopo-Jordan (definizione che non tiene conto dell'ultimo periodo in maglia Wizards del Divino; evento di riferimento è l'ultimo titolo del 1998) ha progressivamente perduto tre delle protagoniste di spicco del passato decennio, per giunta tutte finaliste dalle analoghe sorti contro Chicago, quali Phoenix, Utah e Seattle, guadagnando però altrettante squadre di rilievo nell'elite della NBA, sempre più sinonimo di Western.

Ecco allora i Mavs di Cuban (audace sarebbe definirli di Nelson), i Timberwolves di Saunders e Garnett e, ultimi arrivati, proprio i Grizzlies di coach Hubie Brown, che nel gestire le bizze di Williams e conciliarle con un roster ampio e ricco di talento ha scovato un amalgama vincente tra vecchie e nuove soluzioni, ereditando per altro la squadra in un momento di estrema crisi, targata Sidney Lowe.

Doppio il merito per l'anziano allenatore da Niagara, ormai settantenne, che dopo aver risollevato la compagine di uno spento Gasol e di un annoiato Williams da uno 0-13 senza bisogno di presentazioni nella scorsa annata, è tornato al gusto della vittoria approdando ai playoff dopo 21 anni, l'ultima volta era stata alla guida dei Knicks alle porte di un periodo drammatico per il team della Grande Mela. In una carriera più che trentennale non sono troppe 12 stagioni in NBA, per non parlare delle 4 partecipazioni complessive alla post-season, nei confronti della quale Hubert Brown è tranquillamente equiparabile al resto del team per inesperienza.

Ma per capire quali possano essere gli eventuali punti di forza nella sempre più probabile sfida con gli Spurs, ci sarà  d'aiuto proprio la parabola di Minnesota, che nel '98 compì percorso assai somigliante a questi Grizzlies trovando al primo turno i Sonics di Payton, orfani di Kemp ma con ben altro Vin Baker ed il solito Schrempf.

Esclusi, volutamente, i Mavericks, e per l'età  della franchigia (Minnesota decisamente più "giovane" ai tempi, come del resto questa Memphis) e per modalità  di percorso (nessuna delle due, per capirci, con un simile magnate alle spalle).

I Sonics erano testa di serie numero 2 della Western, e vice-campioni '96, gli Spurs sono campioni in carica, privi come Seattle allora di un leader spirituale (Robinson), ma realisticamente favoriti in questo abbinamento a dispetto del record quasi uguale;quella Minnie aveva un Garnett al terzo anno a 18, 5 punti e 8, 7 rimbalzi che giocava all'ala piccola, in questa Minnie milita l'iberico Gasol che dopo tre anni viaggia a 17, 9 punti e 7, 8 rimbalzi in 31, 6 minuti : in media-carriera, lievemente inferiore a causa dei 5 minuti in meno a serata. 2-0 Seattle; 2-2 Minnesota e poi Gary Payton salì in cattedra.

Dalla cattedra Duncan non scende quasi mai, e qualunque cosa possa togliere di mezzo lo spettro dello sweep diventerà  fondamentale per i Grizzlies, che in regular hanno comunque dato modo di poter competere con qualunque avversaria nel singolo match, ma che per la serie avranno due fattori da valorizzare : l'altissima qualità  della rotazione e la difesa.

Dal primo marcatore, comunque Gasol, all'undicesimo (Tsakalidis) tutti sono potenziali titolari o hanno visto il quintetto con continuità , fatto che giustifica statistiche in generale non mostruose ma di buon livello per tutti. Anche Mike Miller, per esempio, segna di meno rispetto alla scorsa parentesi a Memphis ma anche rispetto ad Orlando, tuttavia la sua efficacia offensiva si è rivolta completamente al servizio del gruppo in puro stile calcistico, e non è dunque strano che con cinque minuti guadagnati segni un punto di meno pur sapendo di averne almeno 15 nelle mani ogni sera e che il 43% da due ed il 37% da tre sono voci che poco contano in quest'ottica, seppur di molto migliorabili.

Lo stesso "White Chocolate" Williams serve meno assist e ha perso un punto e mezzo a gara, è altresì vero che i minuti ad incontro non arrivano a trenta, che da 2 ha il massimo in carriera, perde meno palloni e commette pochi falli, a dimostrazione che il capello fin troppo cresciuto non è solo una copertura da "bravo ragazzo"" settimo tra i passatori della Lega con numeri in grande e comprensibile crescita se rapportati ai 48 minuti, Jason rappresenta uno dei più grandi successi di Brown, che facendola in barba ad Adelman l 'ha portato a difendere, evento sinceramente raro, e a gestire il suo celebre estro in funzione delle necessità .

Prevedibile che nei playoff la musica possa cambiare, anche perché del roster Williams è uno dei più esperti in questo senso ed ha in ogni caso le tipiche rivincite da prendersi, per cui prepariamoci a vederlo di più in campo.

Chi per James Posey aveva pronosticato sicuro avvenire nella NBA fin dai tempi di Denver non si sbagliava:dopo l'anno delle 83 partite l'ala piccola ha trovato la propria dimensione e sta tirando in ogni settore del campo come mai aveva fatto in 5 anni da pro, e la maturazione pare evidente da una rinnovata presenza in difesa ed in attacco, in concreto riassumibili in 13, 2 punti a sera (secondo di squadra) ed incrementi in fatto di stoppate e recuperi.

Classico giocatore chiave, Brown si attende da lui un contributo consistente, senza condizionamenti dovuti all'atmosfera playoff.

E se Rasho Nesterovic è ora come ora nettamente più forte di Jake Tsakalidis(comunque ottimo intimidatore e buon rimbalzista) ed il ruolo di centro è oggettivamente il più debole in casa Grizzlies, dall'infinita panchina possono arrivare, in soccorso, uomini di tutto rispetto.

Si va dall'eterno fuorilegge Bo Outlaw, sempre inesauribile e senza ambizioni che vadano al di sopra della "spazzatura" del parquet, pronto a portare carisma e difesa;per poi incrociare i rimbalzi di Lorenzen Wright, altro pivot che può ambire senza problemi a partire titolare, fino al perenne punto interrogativo Stromile Swift, il quale non decollerà , ma anch'egli ha utilizzo assai ristretto e garantisce perlomeno salti e rimbalzi, oltre ad avere, in potenza, una doppia-doppia ogni partita.

Per punti sicuri rivolgersi invece a Bonzi Wells, che sorprendentemente accetta di partire dal pino anche dopo essersi ripreso dai disastri di Portland (12, 5% da tre"), e del quale abbiamo tutti negli occhi stagioni da 15, 2 o 17 di media, senza che tuttavia si trovi rimedio per quei famosi palloni persi. Ma non c'è da stupirsi: persino Shane Battier ha accettato di sottrarsi al divismo da rookie per il progetto Memphis, ed il sofferto adeguamento a questa condizione pare abbia avuto successo.

In sostanza, per questi Grizzlies può essere sufficiente un augurio di cuore immediatamente dopo i dovuti complimenti per questa prodigiosa impresa, giacché la razionalità  obbligata di questo sport ci impedisce pronostici troppo simili a sogni.

Comprensibilissimo, però, che qualcuno storca il naso rivendicando i diritti d'autore dell'annata : primo marcatore, primo a rimbalzo e quarto negli assist, Pau Gasol conferma nei fatti un sangue più che caliente a dispetto della disarmante regolarità  delle sue prestazioni. Gasol ci proverà , con gli altri e possibilmente più degli altri, quanto meno per la dignità , ma nella consapevolezza di aver in ogni caso firmato uno storico successo.

Anche se Gasol e la sua Spagna, all'incirca due anni fa, tramortirono il Dream Team. Alla faccia dei sogni.

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