Tony Parker ha chiuso a quota 29 la sfida contro i Lakers…
Sacramento Kings 91 @Lakers 115
Minnesota T-Wolves 73 @Lakers 90
Utah Jazz 84 @Lakers 91
N.O. Hornets 88 @Lakers 107
Houston Rockets 85 @Lakers 93
Lakers 97 @Seattle Sonics 86
San Antonio Spurs 95 @Lakers 89
Si è fermata a quota undici.
La cavalcata inarrestabile dei Lakers, che sembrava doverli portare senza più alcuna macchia verso i play-off prossimi venturi si è interrotta proprio ieri sera, nella notte fra domenica e lunedì, al cospetto degli attuali campioni del mondo in carica, i San Antonio Spurs.
E forse è bene partire proprio dal capitolo finale di questo periodo, dalla sua conclusione.
Forse è bene partire dalla frase emblematica di Kobe Bryant, un Kobe che senza mezzi termini in questo periodo ha giocato da MVP, giocatore della settimana per la Western Conference, poi giocatore del mese, con statistiche da oltre 23 punti a partita conditi da 6 rimbalzi e altrettanti assist.
La frase di Kobe è risuonata chiara:
Loro sono i campioni. E lo saranno fino a che qualcuno non li batte.
Una frase che potrebbe sembrare una mezza resa, ma che nasconde invece la ferma intenzione di provare a battere questi Spurs, in una serie al meglio delle sette, una serie nella quale si vedrà tanta pallacanestro di qualità superiore, si vedrà da una parte un attacco fatto di infiniti giochi a due fra stelle e dall'altra parte una difesa che in alcuni momenti ha il solo eguale di un muro di mattoni posto sopra il canestro. Proprio come nella gara di domenica.
Sì, la sesta sconfitta interna stagionale dei Lakers è parsa una cartina di tornasole molto precisa di quanto ci si dovrà aspettare nella post season che sta per arrivare.
Certamente però, la mazzata psicologica di cedere per la prima volta nell'anno le armi al proprio avversario più temibile (e come sempre più sottovalutato), non deve far dimenticare quanto bello sia stato il periodo che la squadra della California ha vissuto fino alla Domenica delle Palme.
Undici gare vinte in fila, sono servite davvero a tanto.
Sono servite a compattare un ambiente che di scossoni, di gossip, di liti anche pesanti, ha sempre vissuto ma dalle quali ogni anno ha saputo cavarsi con naturalezza e un po' di mistero.
Sono servite a mettere un po' di chilometri nel motore a quattro cilindri e mezzo che dovrebbe essere il quintetto base degli angelini.
E' arcinoto infatti che dopo il primo mesetto, i Fab Four non avevano esattamente avuto una vagonata di tempo per ritrovarsi e il rientro definitivo di Malone era coinciso con la sconfitta a Minneapolis, cosa non proprio incoraggiante per lo staff tecnico.
Eppure in questo mese di marzo, complice il calendario molto favorevole, almeno come ubicazione spaziale delle partite, i Lakers hanno macinato i propri avversari giocando sempre la propria pallacanestro.
Kobe Bryant è passato dagli esperimenti mancini del periodo tutore, alla forma ritrovata di queste ultime apparizioni.
Gary Payton ha smesso di lamentarsi del minutaggio, che guarda caso è cresciuto di ben 3 primi a gara, grazie all'inserimento nel play book di qualche gioco appositamente studiato per lui.
Fox e il già citato Karl Malone, hanno sì, ventilato propositi anche legittimi di ritiro, ma nel frattempo si sono dimostrati i membri del gruppo che più di tutti si sono sacrificati per alzare il livello dell'applicazione del gioco, lasciando luci ed effetti speciali agli altri solisti.
Infine Shaq, ha fatto lo Shaq, segnando tanto e segnando nei momenti giusti, prendendo una media di rimbalzi enorme rispetto al suo solito in regular, tanto che ad oggi siamo con il conto ad oltre 15 a serata nelle ultime dieci gare, con la punta di 26 contro Milwaukee.
In tutto questo, sono tre gli episodi fondamentali del periodo.
La prima gara da ricordare è quella contro Sacramento.
In questa occasione i Lakers hanno inflitto il parziale più pesante della serie, agli avversari che fino a quel momento li avevano maggiormente messi sotto in tutto l'anno.
Dopo i più che legittimi balli e canti della seconda vittoria nell'anno contro gli odiati rivali, messi in campo dai Kings dopo la seconda sfida vinta, i Lakers sono scesi sul parquet dello Staples trovandosi davanti un avversario in palese carenza di energia fisica e mentale e hanno azzannato alla giugulare.
Bryant in particolare è stato l'eroe della gara, con 36 punti infilati in una giornata nella quale lo scontro più duro era avvenuto davanti alla sua accusatrice in un'aula di tribunale del Colorado meno di cinque ore prima della palla a due, senza contare i 17 + 16 messi referto da O'Neal, maestro per una volta a mostrare tutte le incrinature nella corazza del reparto lunghi dei Kings.
Subito dopo è arrivata la prova del nove.
Il concetto per il quale vincere è facile, ripetersi meno, è stato sfidato dall'arrivo dei T-wolves allo Staples per un'altra sfida cardine, per motivi di orgoglio e di classifica. Anche in questo caso la musica rispetto alle partite precedenti è cambiata di molto.
Pur senza segnare con la precisione della vittoria antecedente, i giallo viola hanno dominato la squadra del futuro MVP, contenendone il gioco e lasciando al solo Garnett l'onere di tirare la carretta.
Alla fine il cartellino del 21 era sì, di 16 punti, altrettanti rimbalzi e 7 assist, ma quello dell'intera squadra recitava di soli 73 punti, contro i 90 dei padroni di casa, guidati anche nell'occasione da un Bryant da 35 punti e da uno Shaq da 22 punti e 18 rimbalzi.
Grazie a queste perle e alle altre belle prove, la squadra si è ritrovata prima quasi a sorpresa, nella corsa alla post season, poi però sono arrivati gli Spurs.
Come già detto, i texani hanno semplicemente applicato al meglio la propria pallacanestro, facendo quello che le altre corazzate non hanno saputo fare: hanno difeso sul perimetro limitando le percentuali dei Lakers, hanno contenuto Shaq, hanno applicato alla grande il pick 'n roll con l'aggiunta di un Bowen al limite della beatificazione per meriti difensivi.
Morale: Lakers di nuovo terzi e prospettive di divertimento in fase play-off oltre ogni previsione.
Il meglio della settimana: non c'è cosa più bella per una squadra che trovare la forma nel momento più importante. Ai Lakers in questo marzo è successo proprio questo. Uno per uno, hanno steso avversari piccoli e grandi, hanno riacceso le speranze di fattore campo definitivo nei play-off con un'aggressività invidiabile, dimostrando come ci sia davvero differenza fra una selezione di campioni e una squadra composta da campioni.
In particolare, ed in questo sono partigiano, trovo sia da elogiare l'attitudine di Malone, che si è ritagliato in squadra un ruolo fondamentale e parzialmente oscuro. Si potrà dire che si è adattato solo per vincere un anello, ma non è quello l'obiettivo di tutti i pro della NBA?
Il peggio della settimana: è brutto illudersi e poi ritrovarsi ancora in difficoltà . Il grande sforzo delle scorse settimane, si è scontrato con la stupenda capacità difensiva degli Spurs.
Fino ad allora i Lakers erano 3 a 0 nel computo degli scontri diretti, ma con l'ultima vittoria almeno dal punto di vista mentale l'equilibrio è di nuovo assestato fra i due contendenti. In più con una sola sconfitta L.A. ha perso di botto ben due posizioni e anche se il calendario è dalla sua, ora tutto il discorso del fattore campo va ridiscusso.
E adesso? Adesso c'è da mettersi comodi, allacciarsi le cinture e godersi questo splendido finale di stagione, in vista di una post season che a dispetto di quanto scritto solo dodici mesi fa, si annuncia ancora più bella, equilibrata e vibrante rispetto a quelle che l'hanno preceduta.
I prossimi impegni dei Lakers vedranno le sfide casalinghe contro Portland e Memphis, poi Golden State e la chiusura ancora in Oregon, ma alla fine sarà molto probabilmente sarà la gara di Sacramento, terzultima dell'anno, fra sette giorni a far scrivere il voto definitivo sulla forse ultima annata regolare dell'era Jackson in quel di Los Angeles.
Alla prossima"