Starbury vince da solo contro i Raptors, ma non può finire sempre così
Arrivava da sessanta errori negli ultimi novanta tiri tentati ed un dolore alla schiena al limite della sopportazione umana, dopo essersi caricato in spalla l'attacco della sua squadra viste le assenze di Allan Houston, Tim Thomas e Penny Hardaway, senza scordare Dikembe Mutombo.
Era la serata di un vero e proprio spareggio per i playoffs, quando al Garden sbarcano i Toronto Raptors. Ma Stephon Marbury era pronto ad elevarsi al rango di eroe, un novello William Wallace reso famoso ai giorni nostri dalla pellicola di Mel Gibson. Starbury sforna 38 punti di cui sei nell'ultimo minuto, conditi da 9 assists per far restare ancorati i Knicks alle ultime posizioni utili e non andare in vacanza tra due settimane.
Nel titolo parlavamo di "all alone": sì, tutto solo, ma non per volere suo o per polemica, ma giocoforza, visti i troppi infortuni.
Andiamo con ordine.
La settimana si apre con la sfida casalinga contro i derelitti Atlanta Hawks. 96-84 il finale a favore di New York, ma è la serata in cui pure Penny alza bandiera bianca di fronte ad un infortunio all'inguine, proprio come Tim Thomas.
Ci pensano gli ex Nazr Mohammed e DerMarr Johnson a tenere a bada i pallidi tentativi di bellicosità mostrati dagli ospiti: i primo evoluisce ancora in una doppia-doppia in punti e rimbalzi, 18 più 13, mentre il secondo ne mette 14 dal pino.
I Knicks controllano in scioltezza per poi chiudere i conti ad inizio dell'ultima frazione con un parziale di 16-4.
Sono poi i Memphis Grizzlies a calcare il parquet del Madison Square Garden per un 111-97 in loro favore che non ammette repliche. Pau Gasol e compagni inaugurano la gara con un primo quarto che si chiude con il doppio dei punti segnati rispetto ai padroni di casa, con questi ultimi che commettono 9 turnovers, di cui quattro a testa per Shandon Anderson e Marbury.
Enorme il garbage time: praticamente gli ultimi 12 minuti, in un impianto più simile ad una città fantasma del far-west che non ad un luogo pubblico al centro di una metropoli.
Arriva quindi lo spareggio-playoffs contro i Raptors di cui dicevamo in apertura: 108-101 per i Knicks. Detto dell'enorme prova di Steph, un grosso applauso va pure alla panchina bluarancio che mette 40 punti (Johnson 15 più 7 rimbalzi, Mike Sweetney 8 più 9) rispetto ai 2 degli avversari. Vince Carter alla fine è il top-scorer del match con 40 punti, ma non basta ai suoi.
Partita da cuori forti, con gli ospiti spesso avanti, soprattutto sull'85-79 quando New York piazza un parziale di 12-2. Si va poi in equilibio fino alla fine quando Starbury mette 6 punti nell'ultimo minuto.
"Non siamo stati in grado di marcare Marbury" dice alla fine l'allenatore dei canadesi "Abbiamo provato a raddoppiarlo su ogni pick-and-roll, ma niente. Ha giocato una grande gara, tra tiri ed assists".
La gara vede anche scrivere un altro capitolo a quella che ormai i quotidiani della Grande Mela chiamano "Houston Saga": il capitano scende finalmente in campo, addirittura da titolare, ma dopo otto minuti ed un 1/2 dal campo si deve arrendere al dolore al ginocchio e si va a sedere fino alla fine.
Nel dopo gara è parso chiaro che di Houston non sentiremo parlare almeno fino alla fine della stagione regolare, poi si vedrà . Questo "almeno" tiene in apprensione ogni tifoso dei Knickerbockers e non si sa davvero nulla sul futuro di H20. Addirittura c'è chi ipotizza che Lenny Wilkens rivedrà il suo giocatore "abile ed arruolato" non prima del prossimo training camp. La strada in post season sarebbe, a quel punto, più corta del previsto.
Ultima gara di cui parlare è invece la sonora sconfitta ad Auburn Hills contro i Detroit Pistons per 100-85. Padroni di casa che partono forte con un 12-2 e, come si dice negli States, non si guardano mai indietro.
Unica nota lieta, Johnson per la prima volta titolare che ne mette 17. Marbury, che viaggiava a 30.5 di media nelle ultime quattro gare disputate, si ferma a 12, mentre Vin Baker chiude con 16 punti ed 8 rimbalzi dalla panchina.
Ora lasciamo il basket giocato, perché le polemiche, come da copione, impazzano. Già partite le prime accuse al General Manager Isaiah Thomas, reo di aver detto dal primo giorno di lavorare per vincere il Titolo.
Con i playoffs a rischio, la stampa ha estrapolato questa dichiarazione da un più ampio discorso, arrivando addirittura a dire che Zeke aveva promesso l'Anello già quest'anno, visto il payroll ormai prossimo ai 100 milioni di dollari annui. Con una miopia ed una cattiva fede che non ha eguali, si accusa così Thomas di aver dato alla franchigia, dal suo arrivo, un mediocre bilancio di 23 vittorie e 22 sconfitte e, senza playoffs, non ci sono abbastanza sconfitte per andare in lotteria.
Pazzesco, "Only in New York", si dovrebbe dire" evidentemente, a troppe persone non è chiaro il concetto di "vergogna": davanti ad un roster rinnovato in quasi tutti gli elementi, coaching staff compreso, come si può pretendere di più, OGGI?
C'est la vie, per un titolo a sensazione c'è chi venderebbe l'anima della madre al diavolo" Ma la domanda che ci sorge spontanea è: almeno chi queste cose le scrive, ci crede o si appella a Stephen King ed al suo "The Night Flyer", dove la massima di un giornalista DEVE essere "mai credere in quello che scrivi, mai scrivere di quello che credi"?
Marbury, evidentemente, la pensa come noi e con quanto espresso su queste pagine in precedenti report: "Ovviamente, noi stiamo ancora pensando a quest'anno, ma è ovvio che nella prossima stagione si vedrà una squadra differente da questa: avremo finalmente amalgama, chimica di squadra, ci conosceremo meglio e la nostra continuità non potrà far altro che migliorare".
Poche, invece, le accuse allo staff medico della franchigia, ma tra schiene a pezzi (Larry Johnson, Luc Longley ed ultimamente Marbury), ginocchia guarite male (Antonio McDyess ed ovviamente Houston) ed infortuni muscolari quantomeno sospetti (Tim Thomas e Penny Hardaway, ma un po' di tempo fa un doppio strappo muscolare a Frank Williams), non ci resta che guardare al di là del classico alibi della sfortuna.
Pensare male, infatti, è peccato, ma a volte" ci si azzecca. Come mai la stampa newyorkese, mai restia anche alla più puerile delle polemiche, non si getta a pesce morto nella questione? In questa sede, ci limiteremo a dire che l'istituto medico "legato" alla franchigia di James Dolan ha una grossa influenza sulla città , mezzi di informazione inclusi, e ci fermiamo qui"
I dati di fatto, però, restano inequivocabili e cioè che New York si appresta a giocare le restanti otto partite, di cui cinque esterne, largamente in emergenza o comunque acciaccata, dal momento che gli infortunati meno gravi stanno tentando in tutti i modi di rientrare al più presto, con tutti i rischi che questo comporta in termini di ricadute.
Nel momento in cui scriviamo, New York resta attaccata con le unghie a questo settimo posto che vorrebbe dire New Jersey Nets (molto probabilmente privi di Jason Kidd) al primo turno, grazie soprattutto a quella vittoria contro Toronto che ha fatto sprofondare i canadesi a 3 partite di svantaggio.
Boston e Cleveland, però, restano lì dietro, ad una partita, appaiate all'ottavo posto e, se non arriva un crollo di Miami (avanti di 2 vittorie, ma il sesto posto vuol dire incontrare Detroit), pare ormai chiaro che gli ultimi due spot per la post season saranno un ballo a tre tra Knicks, Cavs e Celtics, con un New York-Cleveland al Garden all'ultima giornata che sa molto di spareggio.