Peja qui immortalato in una rara schiacciata…
Nel 1999 Predrag Stojakovich disputò la sua prima stagione nella Nba, segnando 8.4 punti in 21 minuti a partita. Nel 2004 Peja, nel corso della sua sesta campagna di Sacramento, sta segnando 24.8 punti, quinto marcatore della lega, in 40 minuti. Nel frattempo è cambiato il mondo nel suo complesso.
I primi indizi di questa rivoluzione sono arrivati nei playoffs del 2001: i Kings andarono a Los Angeles per le prime due partite della semifinale di conference. Al termine della seconda gara, due sconfitte sul groppone, Rick Adelman dichiarò: "Non ritengo equo il comportamento degli arbitri nei nostri confronti. Shaq e Kobe sono le loro stelle e vengono tutelate. Non succede altrettanto con le nostre Chris Webber e Peja Stojakovic". Fece eco Vlade Divac, padre putativo: "Fox - disse - ha letteralmente messo le mani addosso a Stojakovic."
Tre anni dopo, tutti sappiamo che il giocatore serbo è non solo una stella ma il punto di riferimento in attacco della squadra con il miglior record della lega. Segno, come dicevamo, del cambiamento dei tempi; Predrag fa parte della seconda ondata di "european import", come venivano chiamati fino a qualche anno fa, con vaga accezione negativa, gli europei.
E' arrivato negli Usa perché Geoff Petrie ha creduto che potesse diventare un pezzo di una squadra che vuole vincere un titolo. Ed ha conquistato tutti. In primis quegli americani che fino a qualche anno prima storcevano il naso. E' successo a Kukoc, qualche anno prima a Drazen Petrovic, gente arrivata dal vecchio continente con ben altro curriculum.
Non è un caso che l'ex Paok di Salonicco sia arrivato, con un anno di ritardo, nell'estate in cui lo stesso Divac, arrivò da Charlotte. L'ex Lakers, ben consapevole, per averlo vissuto sulla sua pelle, della necessità di introdurre il giocatore nella sua nuova realtà , ha sempre avuto la funzione dell'ombrello protettivo in uno spogliatoio in cui la facevano da padrone i bragoni di Jason Williams, gli afro di Corliss Williamson, titolare all'epoca dello spot di ala piccola, e l'approccio da intellettuale afroamericano di Webber.
Lo stesso ex Michigan ci ha messo poco a convincersi: "Peja - disse nel 2001 - fa tranquillamente parte di questa lega dal punto di vista tecnico. E' un tiratore incredibile. Fa piacere sapere che uno così ha la tua stessa maglia in campo." Proprio in quei giorni il serbo giocò una delle gare che lo misero sulla cartina Nba: 38 punti, 56 minuti, in una vittoria, al triplo supplementare contro i Toronto Raptors.
Recentemente anche Adelman ha speso qualche parola per la sua ala piccola: "Non mi viene in mente - ha detto - un altro giocatore, mio compagno quando io stesso giocavo, oppure che io abbia allenato, con un tiro paragonabile a quello di Peja."
Difficile dargli torto, altrettanto arduo trovare una bocca da fuoco così pericolosa. Ray Allen, secondo i puristi ha lo stile perfetto. La compattezza, unitamente alla forza nella parte superiore del corpo, di Baron Davis è straordinaria. Ma la combinazione di movimento di tiro e altezza del giocatore serbo non ha eguali.
Lo stile, a causa di quel gomito sinistro leggermente esterno, non è ideale. L'efficacia lascia senza fiato. I numeri non mentono: secondo nella lega, con 3.64 triple realizzate a partita, terzo per tiri tentati a partita, con poco meno di 7. La sua percentuale è, al momento, la migliore in carriera.
Lo sviluppo del suo gioco viene di conseguenza: al suo arrivo nella lega il tiratore era preponderante sugli altri aspetti offensivi.
Inseritosi, a poco a poco, in quel "sistema delle meraviglie" chiamato Princeton Offense, Peja ha sviluppato altre doti. Oggi è diventato un penetratore migliore. Di certo il suo primo passo non può essere paragonato a quello degli specialisti in questo fondamentale tecnico. E' comunque aumentata l'attitudine a tirare in avvicinamento, per un giocatore che conquista più liberi: 5.5 a partita in questa stagione, 3.9 nella precedente.
E' giusto infatti sfruttare la necessità da parte dei difensori di non dargli nemmeno un centimetro per tirare. Lo staff tecnico d'altronde, in questi anni, ha disegnato diverse situazione che prevedono un gioco a due, con Divac ovviamente, ed una conclusione andando verso il canestro.
"Mi sento bene - ha detto qualche tempo fa il giocatore - so che ci sono molte aspettative nei miei confronti. Ma la cosa non mi crea pressione. Anche perché sono concentrato su quello che devo fare. In più gioco con compagni talmente forti che il primo problema è quello di non prendere iniziative forzate". Da qui la grande facilità con cui sembra giocare. Ed una delle ragione del suo ulteriore miglioramento. Peja quest'anno ha già giocato 73 partite avvicinandosi quindi al suo record assoluto. Il suo massimo è 75, nel 2001. Stojakovic quest'anno non ha avuto grossi fastidi fisici, ha potuto giocare tranquillo.
Il tiro più importante della sua carriera Stojakovic lo ha sbagliato. Gara7 della finale di conference del 2002. Il suo tiro in sospensione dall'angolo sinistro, andò lungo di un metro. Una sorte difficile da accettare per un giocatore che, infortunatosi alla caviglia nella serie precedente contro Dallas, rientrò in tutta fretta ma non diede segno tangibile.
Al di là del fatto specifico, è chiaro che lo scoglio della sua carriera finora è stata la post season. Dove in carriera tira col 42.7% da due, a fronte del 46.8% della stagione regolare. Evidente segno di insofferenza nei confronti di difese più fisiche, intensità maggiore. E' un aspetto da considerare, senza però essere enfatizzato.
Più importante la sua scarsa predisposizione, questa si tipica europea, alla difesa. Magnificata da una front line che non fa dell'intimidazione il suo pezzo forte. Non faremmo questi discorsi se Stojakovic giocasse con Garnett o con Duncan. La sua definitiva consacrazione, al di là della possibilità di vincere il titolo, passa dalla difesa. Solo così Stojakovich diventerà un vincente vero, e non solo una delizia per gli occhi. Rick Fox, nemesi di questi ultimi anni, è dietro l'angolo.