Andre Miller è il leader dei Nuggets. Riuscirà a portarli ai playoffs?
Denver, Portland e Utah: ce ne sono due di troppo. Nel wild wild west è rimasto solo un posto al sole, da qui a metà aprile si sparano tutte le cartucce, quelle regolarmente denunciate e quelle da caccia grossa: per la post-season (e i milioni della TV) si fa questo e altro.
Tirano il gruppo i Denver Nuggets (36W - 32 L), a ruota arrivano i favolosi Jazz (34-33) e gli enigmatici Trail Blazers (33-33).
Identikit
Kiki Vandeveghe è il Gm dei Denver Nuggets solo da due anni, ma si è già costruito una reputazione solidissima. Si pensava che la sua creatura sarebbe diventata competitiva l'anno prossimo, non appena trovato un degno proprietario per la decina, abbondante, di milioni liberi nel cap.
Invece è già forte adesso, con un anno d'anticipo. In Colorado domina la coppia Anthony & Miller, ma dietro a loro c'è parecchia carne al fuoco: le improvvisazioni del fungo atomico Boykins, la solidità sotto canestro di Camby e Nené, il tiratore più sottovalutato della Lega, Voshon Lenard.
È difficile parlare di Portland, perché i Trail Blazers di inizio stagione semplicemente non esistono più. Paul Allen, il proprietario, ha comandato la purga, e Nash (Gm) e Patterson (Presidente), hanno eseguito. Tanti saluti a Wallace, a Wells e a Mcinnis, e porte aperte per Miles, Abdur-Rahim e Ratliff.
La squadra, almeno in termini statistici, è da inizio anno nelle mani di Zach Randolph, ma ultimamente si cavalca la vena realizzativa degli esterni dietro, Stoudamire e Derek Anderson. In pratica Maurice Cheeks ha tra le mani un gruppo che ancora non conosce, e vive alla giornata alla ricerca di chimica ed equilibri, senza rinunciare a cercare ogni sera la vittoria, perché la post-season è a portata di mano.
Quello che è accaduto quest'anno nello Utah ha dell'incredibile. Se vi capita di dare un occhiata ai Jazz, magari mercoledì notte a Toronto, vedrete i minuti che furono di John Stockton finiti nelle mani del duo Arroyo-Lopez, e quelli di Karl Malone sulle gracili spalle di Michael Ruffin.
Jerry Sloan ha semplicemente tirato fuori il sangue dalle rape, anche perché Kirilenko è salito clamorosamente di livello, ha giocato da All-Star, e infatti a L.A. non c'è andato da turista, ma insomma, la rotazione ha perso anche Harpring, e a parte il russo non c'è nessuno dei primi 30/40 giocatori della Lega.
Il momento
L'Nba è un brutto mondo, si gioca quattro volte la settimana, e bastano due notti sbagliate per rovinare un mese di lavoro. Vale anche il discorso opposto, ovviamente.
Quando domenica sono atterrati a Denver, nella mile-high-city, gli Utah Jazz venivano da sette vittorie nelle ultime dieci. Bilancio esattamente opposto per i padroni di casa: tre vinte, sette perse e sguardo fisso sullo specchietto retrovisore, che rimandava la fastidiosa immagine dei mormoni in rimonta.
Com'è andata? Per dirla con le parole, quelle di Sloan, "Altro che sfida playoffs, sembravamo in vacanza con le famiglie al seguito". Per dirla con le cifre, 102-75 per Denver, una sculacciata. Miller (24+9+11), Anthony (23) e Nené (20) hanno strappato ai Jazz il cuore e l'inerzia nella volata finale.
Chi siano oggi i Portland Trail Blazers è invece un mistero. Quelli che hanno fatto 68 punti in casa con Detroit, la sera del ritorno di Rasheed Wallace e hanno perso di 20 dai Clippers, o quelli che nelle ultime tre hanno schienato Minnesota (2 volte) e Sacramento? Squadra in cerca di un'identità se ce n'è una, ma il tempo stringe, nel giro di un mese Portland deve gettare la maschera e dirci chi è.
L'uomo in più
Denver. Ormai è assodato: a 'Melo Anthony non è estraneo solo il concetto di rookie wall, ma anche quello di rookie in assoluto. È stato miglior marcatore dei suoi sedici volte nelle ultime venti, dopo l'All Star Game viaggia a 25,6 di media col 44,9% dal campo: numeri da paura.
Nonostante ciò, Denver va dove la porta Andre Miller (15,4 punti, 4,4 rimbalzi, 6,2 assist, un signor 47,6% al tiro). Contro Utah, Miller ha imposto il suo ritmo alla gara al 1°, e ha smesso 48 minuti dopo. È lui il barometro.
Portland. Non è tanto una questione di uomo in più, quanto di decidere cosa si vuole. Se l'obiettivo nell'immediato sono davvero i playoffs, allora si sceglie una rotazione affidabile e si va fino in fondo con quella. Cheeks si affida sostanzialmente a sette uomini, e la frontline è quasi interamente nuova, è evidente che si rischia la crisi di rigetto ogni sera.
Ripetiamo: Randolph è quello che salta agli occhi statisticamente, ma è anche il lungo più facilmente raddoppiabile della Lega, perché la palla, come dicono gli scout della Western Conference "O non vuole darla mai via o proprio non sa farlo". Ecco che diventa fondamentale come tireranno Anderson e Stoudamire da qua alla fine.
Utah. Assolutamente Kirilenko. Soltanto lui ha il talento per salire di livello e caricarsi i suoi in spalla. Il problema è che AK47 sembra in difficoltà , soprattutto in attacco: a febbraio ha viaggiato a 19,8 di media, a marzo è sceso a 12,6, anche se sta tirando giù oltre 10 rimbalzi a partita. È importante che Gordan Giricek, 18,8 nelle ultime quattro, continui a trovare la via del canestro con continuità .
Il problema
Denver. Un nome e un cognome: Jeff Bzdelik. Autorevole candidato a coach dell'anno fino a qualche settimana fa, in odore di licenziamento alla vigilia del match con Utah. Colpa di una terrificante striscia di otto sconfitte in nove incontri tra il 20 febbraio e il 7 marzo.
Bzdelik convive quotidianamente con le voci che danno in approdo sulla sua panchina generali plurimedagliati, e ha l'etica del lavoro di un prussiano, quindi la magagna è declassabile a magagnuccia. Inevitabile notare, comunque, che una polemica sul tuo allenatore ad un mese dalla fine della stagione regolare, con la squadra in lotta per i playoffs, non la prescrive esattamente il medico.
Portland. La dirigenza rossonera è ben contenta di avere finalmente un All Star che è tale anche quando parla e nei suoi rapporti con la comunità . Cheeks magari avrebbe tollerato Wallace un altro paio di mesi, perchè da quando ha lasciato la Georgia Abdur-Rahim viaggia a 10,9 punti e 5,7 rimbalzi.
Da notare anche che il telefono del coach squilla praticamente in tempo reale ogni volta che Iverson e Ford fanno scintille, quindi, di questi tempi, tutti i giorni. Dall'altro capo, ovviamente, gli chiedono se sarà lui il prossimo allenatore dei Sixers, e fatti due conti, non è che gli scenari eventuali gli tolgano il sonno. Per raggiungere la post-season il condottiero della nave non può pensare ad altre rotte ed altri equipaggi.
Utah. Otto giorni fa hanno vinto con i Lakers, quindi parlare di crisi dopo una sola sconfitta, sia pur devastante come quella di Denver, è eccessivo. Esiste però la possibilità che questo gruppo abbia raggiunto i propri limiti genetici. Sloan è uno che non molla mai, ma è possibile che un certo appagamento serpeggi lo stesso.
Restano mezza partita davanti a Portland, ma cresce il partito di chi li da per esclusi. Ovviamente, se ce la fanno, Sloan è allenatore dell'anno per acclamazione.
Calendario
Denver. Quattordici partite rimaste, sei in casa e otto fuori, compresi due scontri diretti: il 27 a Salt Lake City e il 10 aprile in casa con Portland. Da mercoledì parte un mini tour con tre trasferte in quattro giorni: a Boston, a Detroit e a Minneapolis, al ritorno in Colorado ne sapremo di più. Terribili le ultime due, contro Kings e Spurs: se hanno ancora qualcosa per cui giocare è dura per i Nuggets. Visti calendari migliori.
Portland. Sedici partite rimaste, equamente divise tra casa e trasferta. Ovviamente, parlando dei Blazers, è schizofrenico anche il calendario: due partite ad est, a Milwaukee e a Indianapolis, poi quattro incontri casalinghi abbordabili, Orlando, Houston, L.A. Clippers e Seattle. Seguono sei trasferte in otto gare, compresa quella fondamentale al Pepsi Center di Denver. Anche qua, ultime due da paura: Spurs e Lakers.
Utah. Quindici ancora da giocare, otto fuori e sette nello Utah. Anche per loro le ambizioni si misurano subito in trasferta, un trittico per la verità non da incubo, a Toronto, a Cleveland e ad Atlanta, seguito da una partita casalinga contro Washington. Da lì in poi tanto ovest, e qualche trasferta da non dormirci su: L.A. sponda Lakers, Minnesota e Dallas.
Tanto per buttare via un euro
Visto che è solo un euro, e che nessuno verrà a reclamarlo, ce lo giochiamo su Portland. Dei Nuggets non ci piace il calendario, che a questo punto conta, eccome. Quello di Utah non è orrendo, invece, ma secondo noi scoppiano, anche se è solo una sensazione, e percepita a migliaia di chilometri di distanza per di più. Comunque manca un mese, si fa prima ad aspettare e vedere che a sparare pronostici a caso.