Jason Williams version 2.0

Jason Williams, puro talento…

Essere diversi rappresenta una dicotomia costruttiva e distruttiva allo stesso tempo: due facce di una moneta che non puoi scegliere, che non puoi diventare ma che la gente imita o condanna. Jason Williams, dal primo giorno in cui un parquet incrociato lo ha visto creare, accogliendolo a braccia aperte, ha incarnato questa dicotomia senza pretenderla, senza mai chiederla e senza farla sua. Indubbio il fascino riscosso, indubbio l'odio degli architetti del gioco, indubbio il fatto di avere a che fare con una personalità  creativa senza simili.

Jason estremizza il concetto di "diversità " così come a suo tempo lo ha fatto Dennis Rodman: semplicemente essendo se stesso, così come la mente comanda, seguendo un ritmo non sempre comprensibile, a volte psichedelico e arrogantemente prepotente. Impossibile passare inosservati.

Il costume appiccicato al numero 55 dai tempi del lockout di un po' di stagioni or sono, attraverso un nickname diventato carta d'identità , è stato quello di White Chocolate, cioccolato bianco.

La grande caccia – tipicamente made-in-usa – alla nuova speranza bianca veniva brutalmente troncata alla radice da questo sei-piedi che se la gioca coi fratelli nello stile dei fratelli. Che tiene la lingua a posto un giorno no e uno manco, finto bianco se ce n'è uno. Spreco di paragoni fino all'esagerazione (scomodati Monroe, Maravich e Alston), esaltazione di un mondo fatto di forzate similitudini abitudinarie a regole e concetti forzatamente pre-esistenti.

Il fenomeno dilaga, creando proseliti assist dopo assist, invenzione dopo invenzione; diventa oggetto di culto, divisa più venduta, numero più diffuso, vanto di una razza (?). Uno shock dopo l'altro, elbow-pass compresi: robe mai viste, come la maglia colorata di Andre Agassi ai suoi tempi.

Sacramento diventa titolare di un posto nei playoff, dopo anni di sberleffi e vacanze anticipate prenotate mesi prima, anche grazie alla magia proveniente da Florida; ora basta con il divertimento, si fa sul serio e in città  c'è una voglia di vincere che fa paura.

Paura, sì, paura di affidare questa squadra alla sregolatezza di Jason; paura di sconfiggere il sistema dall'interno. Così, un bel giorno, c'è chi - probabilmente anche a ragione - pensa che sia ora di fare un bel salto di qualità  e il cioccolato bianco viene spedito con i suoi trucchi in una Memphis ricca solo di dubbi e incertezze.

Il numero 55 muore con quello scambio. Diventa 2: tutta un'altra cosa. Lentamente lo stile da ghetto afro scivola via dall'occhio di chi lo guarda e nell'immaginario collettivo viene assorbito da una mentalità  più matura, pronta a reggere quegli eccessivi stati di stress per i quali è stato sacrificato appena tre anni prima.

Ora, finalmente, quella grande occasione attesa nel silenzio, senza doversi per forza far sentire o vedere, sta lentamente prendendo piede e non solo per merito suo. Memphis è oggi un team pronto per debuttare nei playoff grazie anche ad un gruppo compatto di esecutori materiali sopraffini come Bonzi Wells, Pau Gasol, Mike Miller, Lorenzen Wright, Shane Battier e Stromile Swift, per troppo tempo nascosti, accusati, additati o esasperati dalla pressione ridondante.

Grazie anche ad un coach, quello Hubie Brown che più di tutti ha creduto da sempre in White Chocolate passando obbligatoriamente dal chimico di basket più inflazionato dell'ultimo decennio, tale Jerry West, general manager dei Grizzlies.

Questa alchimia alacremente ricercata sera dopo sera ha lentamente visto Williams crescere a dismisura, incoronandolo trascinatore incondizionato per mezzo di una matura visione del gioco che non passa solo più da immaginarie visioni fantastiche, ma anche da una concretezza fatta di un autorevole senso della posizione e da quel diffuso sentimento di stima e fiducia che coach Brown gli ha instillato goccia dopo goccia, dal giorno del suo arrivo.

Ora si parla di un vero regista calcolatore, che non fa errori (ratio assist/palle perse pari a 4,42: un mostro, vedere per credere), che sceglie meglio quando tirare, che sbaglia pochissimo dalla lunetta, che fa segnare prima di avere già  scoccato la tripla più ardita della serata, che sa quando tirarsi fuori da quel mucchio di realizzatori che è Memphis ma che si butta a pesce quando l'occasione ne rende indispensabile l'esigenza.

Stiamo assistendo ad una metamorfosi di un diverso che non vuole uniformarsi alla massa ma che alla massa ha saputo guardare assimilandone solo il meglio, lasciando intatto ciò che era dentro di lui, condendolo di un modus operandi più concreto.

Nelle interviste, non certo frequenti, insiste nel dire di non essere cambiato, di non giocare diversamente, di non essersi mai sentito White Chocolate e quindi di non credere alla morte del nick e, conseguentemente, del suo significato.

Obiettivamente, ci si crede poco: se l'obiettivo playoff verrà  raggiunto, gran parte del merito sarà  dovuto proprio alla tecnica non più sepolta da un'immaginazione smisurata. Oggi come oggi, viste anche le recenti prove contro avversarie dirette ben più titolate, non si vede come questo affilato e affascinante palcoscenico non debba vederlo protagonista.

I numeri con i quali si presenterà  all'appuntamento saranno probabilmente più bassi di quelli messi in mostra nel corso delle precedenti stagioni, ma qui stiamo trattando con un personaggio che con statistiche e cifre ha sempre avuto poco a che fare. La quantità  ha lasciato spazio alla qualità ; sopraffina, utilitaristica, senza paragoni. Probabilmente siamo di fronte al miglior play della stagione dopo le solite "grandi firme" del ruolo. Una o due, non di più, però.

Che il carattere sia comunque sempre quello da playground, assolutamente. Mai messo in discussione, quello. Sei bombe contro i Sonics in una battaglia invernale all'ultimo sangue e 25 punti in casa contro gli ex, i Kings, con un impressionante 5 su 7 nelle triple, dicono molto a riguardo della temperatura sanguigna del soggetto. E che dire della media tenuta in stagione contro Sacto? 16 a partita contro i dieci stagionali" Fate voi.

Che nessuno dei fan storici di Jason si azzardi a tacciarlo per uno che si è venduto alle esigenze della concretezza, però, sacrificando all'altare di Mr. Naismith la sregolatezza che lo ha reso quello che è, altrimenti non farete altro che il suo gioco: White Chocolate non è mai morto perché forse, come dice lui, non è mai esistito. Un avviso anche a chi verrà  dopo di noi: i paragoni, quelli è meglio lasciarli dove sono, meglio non scomodare nessuno. Poi, in questo caso, nessuno è stato, è o sarà  mai come Jason Williams. Nel bene o nel male.

See ya' by In The Zone

Andrea De Beni

"I wanna be as good as I can. The better I am, the better the team is going to be. Hopefully we can get into the playoffs, then go deep into the playoffs".

Jason Williams, Slam – March

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