Centro cercasi disperatamente!

Pur di scovare l'erede di Shaq, qualcuno è arrivato fino in Corea. Ecco Ha-Seung-Jin

1994, Finali Nba. Sette sfide d'intensità  bestiale sentenziarono che Hakeem Olajuwoon, nonostante Patrick Ewing, era il miglior centro della Nba. Dodici mesi dopo al grande centro nigeriano ne bastarono quattro per spazzare via il giovane leone O'Neal e confermare Houston sul tetto del mondo.

Ci ha messo sei anni Shaquille Rashaun O'Neal, il piccolo guerriero, per avere la sua rivincita, ma una volta cominciato a vincere ci ha preso gusto e si è ripetuto ben tre volte in fila. Nel frattempo anche David Robinson si è messo al dito due anelli, Ewing ha speso gli ultimi spiccioli di carriera in giro per gli states, Olajuwoon lo ha fatto in Canada e una malattia ai reni ha costretto al ritiro Zo Mourning.

Sono passati 10 anni, siamo nel 2004 e O'Neal è ancora l'arma più illegale in circolazione, ma se non fosse per un cinese lungo come una pertica dopo di lui ci sarebbe il vuoto: ottimi 2.03 e corpi di 2.13 incapaci di giocare a basket. È un dato di fatto: i centri hanno fatto la storia della Lega, ma oggi non ci sono più, sono una specie in via d'estinzione.

Parla la storia
L'Nba, nei suoi cinquantasette anni di vita è stata marchiata a fuoco dalla forza dei suoi big men. C'è una lunga linea sottile, che congiunge idealmente George Mikan, il primo grande pivot, con Shaquille O'Neal, l'ultimo. Nel mezzo c'è semplicemente la storia del gioco, un buon numero di titoli e di nomi che fanno tremare le vene: Russell, Chamberlain, Jabbar, Parish, Malone, Walton.

Per vincere è sempre stato necessario un centro dominante, negli anni cinquanta come oggi. La straordinaria anomalia di un Michael Jordan sta proprio qua: laddove anche Magic ha avuto bisogno di Jabbar e Bird di Parish, MJ ha vinto con Bill Cartwright, Luc Longley e Will Perdue.

Diciamo la verità : a cavallo tra gli '80 e i '90, comunque, siamo stati abituati troppo bene. È stato un periodo d'oro, irripetibile: mai, nemmeno negli anni ruggenti, si era vista una simile abbondanza di talento nel ruolo di centro.

Un nigeriano di Lagos, Olajuwoon, un giamaicano di Kingston, Ewing, e un americano di Key West, Florida, che aveva imparato a giocare nella Marina degli Stati Uniti d'America, David Robinson: semplicemente tre dei migliori cinquanta giocatori di tutti i tempi.

Se non bastasse, il draft del 1992 consegnò alla Lega due giovani leoni, Alonzo Mourning e Shaq O'Neal, senza sapere che sarebbero stati anche gli ultimi, almeno per ora. La nuova generazione incontrò la vecchia in tempo per dar vita a duelli assolutamente credibili e aumentare esponenzialmente il livello medio di gioco.

Tra l'altro lo splendore assoluto di quel decennio era testimoniato dalla qualità  della media borghesia del ruolo: Rik Smits e Dikembe Mutombo, Brad Daugherty e Rony Seikaly, Vlade Divac. Un tiratore come Smits, un difensore come Mutombo e un passatore come Daugherty oggi sarebbero un lusso: il livello medio era altissimo, è evidente che per almeno dieci stagioni la Nba ha vissuto sopra le sue possibilità .

Patrick Ewing è andato vicino al titolo ma non ce l'ha mai fatta perché ha trovato sulla sua strada una concorrenza terribile, se fosse un rookie oggi probabilmente andrebbe incontro ad un destino diverso.
Oggi il problema è quello opposto: dopo la messe è arrivata la carestia, e non è detto che sia una congiuntura passeggera.

La situazione
Nell'età  dell'oro Shaquille O'Neal aveva vent'anni e giocava ad Orlando, oggi ne ha dieci di più e vive in California, per il resto continua a dominare come ha sempre fatto a qualsiasi livello nella sua vita. Il fisico è un po' appesantito e gli acciacchi aumentano, l'intensità  in difesa va e viene, ma resta nettamente il migliore.

Dietro di lui, decisamente Yao Ming. Ormai la forza del cinese è innegabile: nessuno può impedirgli di prendersi un tiro quando vuole, forse non sarà  mai un rimbalzista feroce, ma intanto ne cattura nove in trentadue minuti e il futuro è chiaramente suo.

Probabilmente giocare con Francis e Mobley finora non gli giova, perché di palloni ne vede meno di quanti dovrebbe, ma saranno gli altri a doversi adeguare, non lui, perché ora come ora Yao è la franchigia, punto e basta.
Tra dieci anni Ming potrebbe aver fatto la storia di questa Lega, evento invece molto improbabile per i suoi attuali rivali.

Ilgauskas, Dampier, Brad Miller, Magloire: la crema del ruolo è questa, nell'età  dell'oro non sarebbero stati che comprimari. Quello che impressiona è che si tratta di atleti all'apice della loro maturazione: Miller ha 28 anni, Ilgauskas 29, Dampier 30, Magloire 27, non è realistico pensare che si trasformino di punto in bianco in giocatori dominanti.

Ci sono poi due casi a parte, Ben Wallace e Vlade Divac. Big Ben è un fenomeno, ma solo in una metà  campo, e resta un 2.03 adattato a fare il centro. Il serbo invece è impressionante: è uno scienziato, gioca da fermo ed è diventato un passatore divino, ma dieci anni fa era anche un ottimo attaccante e un buon rimbalzista, sarebbe quantomeno azzardato dire che oggi è più forte di ieri.

Un rivale ci sarebbe"
Chiariamo subito una cosa: i centri dominanti sono tali proprio perché sono rari, ma siamo sempre stati abituati ad averne almeno due o tre in giro per la Lega, quindi vedere il trentaduenne Shaq praticamente senza eredi fa un certo effetto.

In realtà  un rivale vero O'Neal ce l'avrebbe, ed è Tim Duncan. Se non fosse finito a San Antonio avrebbe sempre giocato centro, perché ha i centimetri e la tecnica per farlo, ma agli Spurs ha trovato Robinson, quindi la sua carriera si è sviluppata lontano dal canestro, per sfruttare appieno il potenziale delle Twin Towers.

Se vogliamo azzardare un paragone Duncan somiglia ad Olajuwoon per la varietà  dei suoi movimenti, sia fronte che spalle al canestro, per la forza a rimbalzo, per la velocità  dei piedi, ma ormai è chiaro che rende al meglio accanto ad un altro lungo, e da centro puro sarebbe sprecato. Definire Duncan un quattro o un cinque è comunque una sottigliezza di fronte alla scadente qualità  media nel ruolo.

College mio quanto mi manchi"
Fare solo uno o due anni di università , o saltarla del tutto, incide negativamente sulla preparazione di tutti i giocatori, ma in special modo dei lunghi, la cui maturazione è da sempre più lenta.

Niente avrebbe impedito a Jabbar o Ewing o Robinson di dominare comunque, ma si tratta di atleti che comunque hanno completato il quadriennio al college, e quando è giunto il momento di passare pro erano assolutamente pronti.

Chi è davvero forte emerge lo stesso, ma non è detto che quattro anni di università  alle spalle non avrebbero potuto un giocatore migliore: Moses Malone è l'esempio classico, un uomo da 20 punti e 12 rimbalzi di media in carriera, tre volte Mvp della Lega, ma con grossi limiti tecnici, che se fosse andato a Maryland come aveva promesso forse avrebbe eliminato.

Era difficile dire di no ai soldi allora ed è difficile oggi, quando a molti liceali assolutamente impreparati basta la convinzione di "essere" nel primo giro delle scelte per tuffarsi senza paracadute nel draft, e un triennale garantito da cinque o più milioni è comprensibilmente difficile da bypassare.

Il discorso calza perfettamente sulle robuste spalle dell'unico "Baby Shaq" in circolazione che sia vagamente degno del soprannome che porta. Si tratta di Eddy Curry, pivot dei Chicago Bulls. Ventuno anni, 2.08, 130 kg: il phisique du role c'è tutto, quello che gli manca è il resto, quello che avrebbe imparato se fosse stato almeno un paio d'anni al college.

Eddy comunque è LA speranza nel ruolo: in attacco è già  un fattore (14 punti in 30 minuti col 50%), ma vederlo difendere e andare a rimbalzo (solo 6,2), fa aumentare i rimpianti di chi avrebbe voluto che andasse a De Paul, perché gli manca tutto: aggressività , concentrazione, conoscenza del gioco.

Quando fu Mvp del McDonald's All American Game, l'All Star Game dei liceali, nella primavera del 2001, con 28 punti e 8 rimbalzi, fu subito chiaro che la conoscenza del gioco non avrebbe contato nulla di fronte ai dieci milioni garantiti della scelta di alta lotteria che gli si parava davanti.

Esterofilia
Ai draft del 1989 Jerry West scelse Vlade Divac. Jerry Krause, allora Gm dei Chicago Bulls, si arrabbiò tantissimo: lui Divac non lo conosceva, e giurò a se stesso che non sarebbe mai più successo nulla di simile.

Oggi viviamo in un altro mondo: gli scout Nba conoscono tutto del basket europeo, e un sette piedi con le qualità  di Divac non sopravviverebbe fino al numero 26 come fece nell'89.

Quello che le squadre Nba cercano nei giovani lunghi europei è esattamente quello che manca ai loro coetanei americani: sono ragazzi tecnicamente più preparati, che hanno giocato ad un livello più elevato di quello, bassino, dei licei americani, e spesso hanno anche più fame di arrivare.

Ovvio però che le razzie di questi anni abbiano abbassato notevolmente il livello medio di talento dei nostri campionati, e anche per le prolifiche mamme europee non è facile partorire un altro Divac o, peggio ancora, un altro Sabonis.

Così a tenere alto il nome del vecchio continente, oltre al serbo dei Kings, ci sono Ilgauskas e Nesterovic, poi bisogna scavare a fondo per incontrare un Drobnjak, o un Rebraca, gente appena al di sopra della linea di galleggiamento della decenza.

I lunghi europei che arrivano oggi in America o sono buoni ma non sono centri (vedi Gasol e Nowitzki), o non sono nemmeno buoni, e spesso non riescono a fare la squadra.

Leggere i nomi dei chiamati nell'ultimo draft (tutti al 2° giro per la verità ) per credere: Vranes, Van de Hare, Sinanovic, Glyniadakis. Ormai stiamo raschiando il fondo del barile, i succitati sono solamente corpi che hanno il merito di estendersi oltre i 2.10, difficile che lascino una traccia oltreoceano.

Bufale
Le bufale sono universali, se ne trovano di ottime da entrambi i versanti dell'Atlantico. Ovvio che il concetto di fallimento si appiccica sulle spalle di un giocatore in maniera proporzionale alle aspettative che lo stesso ha attratto in precedenza su di sé.

Chiaro quindi che un altro dei Baby Shaq, quel Sofocklis Shortsanitis oggi alla Oregon Cantù, è abbondantemente in odore di bufala, dato che oltre ad andare a rimbalzo e far fallo non sa fare altro, ma in fondo i Clippers su di lui hanno investito una scelta n°34, quindi niente di troppo rischioso. Stesso discorso per Kendrick Perkins, 2.07 texano saltato dal liceo ai Celtics, che somiglia molto a Curry come fisico ma per ora non riesce proprio a vedere il campo a Boston.

Le bufale vere sono altre, comunque, nomi scolpiti per sempre nell'empireo delle barzellette. Desagana Diop, scelta n°8 dei Cavs, Frederick Weis, genialmente chiamato dai Knicks nel 1999 davanti al ragazzo di casa, Ron Artest, che fremeva per giocare al Garden, e una barzelletta era anche il povero Yinka Darè, (n°7 dei Nets nel 1994), ma chiamarlo in causa adesso che non c'è più sarebbe davvero di cattivo gusto.

È facile ridere adesso di fronte a certe scelte, ma al fascino dei centimetri non si resiste e certe frasi sentite negli ultimi anni ("La Nba darebbe un triennale al mostro di Milwaukee se fosse un discreto stoppatore" o "Se è alto 7 piedi e sa correre masticando contemporaneamente la gomma fa al caso nostro") rendono l'idea di quanto sia disperato il bisogno di giocatori con un certo tonnellaggio.

L'idea è sempre la solita, la tecnica si può insegnare, i centimetri no: il 75% delle scelte di big men al draft seguono questa logica.

Infine il bufalone, il re dei mozzarelloni (almeno di quelli recenti): ovviamente Michael Olowokandy, prima chiamata assoluta dei Clippers nel '98. Qua la natura aveva lavorato alla perfezione, perché il corpo è perfetto per giocare a questo gioco che ci piace tanto, quello che manca in toto è la voglia di soffrire, la cattiveria.

E non stiamo più a menarla tanto con la storia che ha cominciato troppo tardi, perché quando Olajuwoon atterrò all'aeroporto di Houston, poco più che diciottenne, giocava a pallacanestro da nemmeno due anni, ma la fame non gli è mai mancata.

Tecnica
Il discorso tecnico porterebbe lontano, ma accennarlo è necessario. È un dato di fatto che i giovani americani, quelli che imparano al playground, tendono a volere la palla in mano, per evitare di dover dipendere dai passaggi altrui, e quindi gravitano lontano dal canestro.

La tecnica di gioco spalle a canestro ormai è diventata un mistero per la gran parte dei lunghi americani, ma è anche vero che insegnare certi fondamentali a un Elton Brand (2.02) o a un Jabbar (2.18) fa la sua differenza, quindi la conditio sine qua non è la presenza di un corpo che a una certa stazza abbini anche velocità  e coordinazione e viceversa.

Ripetiamo: nella storia hanno sempre fatto la differenza proprio perché rari, ma rari non vuol dire inesistenti, e sono dieci anni che l'America non produce un pivot degno dei grandi del passato.

Avanti il prossimo
Ormai siamo in un circolo vizioso da cui è impossibile uscire. Anche al prossimo draft le High School americane verranno saccheggiate di tutti i giovani talenti nel ruolo. Stessa sorte per la vecchia Europa, ovviamente.

E allora già  ballano i nomi dei diciannovenni Kosta Perovic (2.18) del Partizan Belgrado, Pavel Podkolzine (2.24) della Metis Varese, Ha Seung-Jin (2.19) gigante sudcoreano, Randolph Morris (2.14), georgiano della Landmark Christian HS, e Robert Swift (2.13), californiano della Bakersfield HS.

Sugli altri possiamo solo spettegolare in attesa degli eventi, ma sul fatto che Podkolzine non sia assolutamente pronto per giocare nella Nba né meritorio di una scelta d'alta lotteria pensiamo possano giurare tutti gli appassionati di basket italiano, varesini e non.

L'impressione è che sia pronta un'altra infornata di giganti scelti solo in virtù della stazza, gente che avrebbe fatto bene ad attendere qualche anno e prepararsi adeguatamente.

Il futuro è un'incognita perenne, da un momento all'altro potrebbero catapultarsi nella Nba gli emuli dei centri che hanno fatto grande questa Lega, ma anche per quest'anno non ci sembra il caso, e se volete un opinione"c'è da aspettare.

Non solo che rinasca un uomo col fisico e il talento di Shaq O'Neal, ma soprattutto che rinunci ai milioni per un paio d'anni e vada a fare a sportellate con i coetanei fingendo d'andare a lezione la mattina dopo.

È dura"

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