Dumars e Thomas chiacchierano amabilmente. Abbastanza disinteressato Woody Allen…
Nella Nba ci sono 29 General Manager, un gruppone eterogeneo che contiene mestieranti, guru autentici come Jerry West, che è riuscito a fare dei Grizzlies una squadra da playoff, vecchie volpi come R.C. Buford degli Spurs, uno che non sbaglia una mossa da anni, uomini la cui reputazione sta colando a picco, come John Gabriel dei Magic e giovani rampanti, come Kiki Vandeveghe dei Nuggets.
Ce n'è per tutti i gusti, ma nessuno sta scalando la hit parade della credibilità alla velocità di Joe Dumars e Isiah Thomas. Sono gli autentici re del mercato: il primo ha fatto dei Detroit Pistons la squadra sulla carta più forte dell'est, il secondo ha ridato linfa vitale ai New York Knicks dopo anni di insopportabile mediocrità .
Basta ricordare che i due hanno condiviso una carriera, e due anelli, da giocatori, e aggiungere che l'uno si è preso l'uomo (Rasheed Wallace) che fortissimamente voleva l'altro, ma che l'altro ha ottime chances di poterlo sedurre quest'estate, pur avendo meno soldi da spendere, et voilà , la notizia è pronta.
L'uno
Joe Dumars e Isiah Thomas hanno giocato insieme per 10 anni, sempre con la stessa maglia, quella dei Detroit Pistons: i bad boys che conquistarono 2 titoli Nba, nel 1989 e nel 1990.
Erano i migliori giocatori di quella straordinaria squadra, ma come persone non avrebbero potuto essere più diversi. Isiah aveva una personalità forte, ingombrante, e una sicurezza nei propri mezzi che sovente sconfinava nell'arroganza.
Joe invece era il leader silenzioso, una specie di presenza magnetica che faceva del male con la difesa più che con le parole. Thomas era la faccia da copertina di quei Pistons, ma Dumars fu l'Mvp delle finali dell'89 ed un degno compagno di reparto.
In comune hanno avuto la fedeltà eterna alla città di Detroit: 13 stagioni in squadra per Isiah e 14 per Joe. Il primo rifiutò un'offerta dei Knicks nel 1994, poche settimane prima che un infortunio lo costringesse al ritiro, mentre il secondo a cambiare maglia non ci ha mai pensato, ha smesso di giocare e ha trovato la scrivania pronta ad accoglierlo.
Thomas ha girato parecchio per trovare la sua vera strada, e probabilmente ancora adesso non deve aver deciso del tutto, se si sussurra che l'unico motivo per cui i suoi Knicks non li sta anche allenando è perché non sono ancora forti come li vorrebbe.
È stato Gm dei Toronto Raptors, ruolo nel quale ha scelto Tracy Mcgrady al 9 quando era solo un liceale talentuoso, proprietario della Cba, analista televisivo e infine, negli ultimi 3 anni, allenatore degli Indiana Pacers.
Quando quest'estate Larry Bird è diventato il plenipotenziario dei Pacers, assumendo i poteri dell'ormai anziano Donnie Walsh, è stato subito chiaro che i giorni di Isiah come head coach erano contati.
Troppi due uomini al timone per una nave sola, e il ricordo di Thomas che si diceva d'accordo con Dennis Rodman, che aveva etichettato Bird come "sopravvalutato in quanto bianco", nelle lontane finali del 1987, non deve aver reso troppo sofferta la decisione dell'ex Celtic.
Cacciato di fatto dall'Indiana, Isiah ha fatto perdere le sue tracce, anche se i bene informati lo davano per trapiantato in Florida, a seguire i Gators di Coach Billy Donovan. Essendo l'uomo che è, incapace di vivere sottotraccia, quando è ricomparso l'ha fatto col botto, diventando Presidente e General Manager dei New York Knicks, devastati dal piano quinquennale omaggio della gestione Layden.
L'altro
La vita di Joe Dumars è sempre stata molto più lineare di quella dell'ex compagno. Joe ha continuato a giocare nei Pistons fino al 1999, quando Thomas si era ritirato da 5 anni e già giocava col salary cap oltre confine.
Di fatto è diventato la bandiera del club del Michigan, e non appena smessi i tubolari da gioco è passato all'apprendistato dietro alla scrivania, quando il proprietario, il vecchio Bill Davidson, lo nominò vice-responsabile del personale, classico titolo che vuol dire tutto e niente.
Nel 2000 la promozione a Presidente Operativo, e da allora l'ascesa vertiginosa della squadra è in buona parte merito suo.
Dumars non ostenta l'aggressività di Thomas, ma non ha mai avuto paura di prendere le decisioni difficili, e la storia insegna che raramente ha avuto torto. Nemmeno il tempo di prendere confidenza con la stanza dei bottoni, nell'agosto 2000, e Joe si trovò alla porta il free-agent Grant Hill, praticamente gli ultimi 5 anni della franchigia, che gli comunicava la sua ferma volontà di trasferirsi in Florida.
Da lì in poi gli infortuni hanno massacrato talmente Hill che Dumars è uscito dallo scambio da trionfatore probabilmente oltre i suoi reali meriti, ma resta il fatto che fu il primo a capire che giocatore era Ben Wallace, e ad insistere con i Magic per averlo.
Due anni dopo non esitò a cedere il miglior giocatore della squadra, Jerry Stackhouse, per un ragazzo più giovane che costava meno, Rip Hamilton, e ancora non se n'è pentito.
Ha firmato Chauncey Billups, ha pescato Prince al 23 e al secondo giro quel Mehmet Okur che adesso tutti vorrebbero, ha fatto discutere cacciando Carlislie, ma anche assunto uno dei pochi allenatori che forse gli sono superiori, ovvero Larry Brown.
La prima mossa che Joe Dumars sbaglierà nella scelta del personale farà sensazione, perché sarà anche la prima.
Ovvio che, parlando di un essere umano e non di un semidio, lo scheletro nell'armadio ce l'ha anche lui, e bello ingombrante se è per questo. Di nome fa Darko e di cognome Milicic, è una scommessa tutta sua in cui Brown non ha avuto nulla a che vedere, e di cui forse un giorno Joe si prenderà i meriti, ma per adesso solamente le critiche.
Non è tanto il valore di Darko in sé il problema, perché in fondo il serbo è un'enorme delusione oggi ma potrebbe non esserlo tra 4 anni, quanto il fatto che Dumars ha "passato" Anthony, che è lo scorer in ala piccola che manca oggi a Brown, ed è oggi che Detroit può, e deve, provare a vincere.
È stato un errore, e Joe lo sa anche se non lo ammetterà mai, ma da allora non ne ha commessi altri.
Resta il fatto che, nei frenetici giorni che precedevano la deadline, Dumars sognava di scaricare qualche contratto pesante, per poter rifirmare in tranquillità Okur quest'estate. In realtà ha fatto molto di più. Ha pestato i calli al suo amico Isiah"
King of New York
Isiah Thomas di fatto è il dittatore assoluto dei New York Knicks: è in carica solo da fine dicembre ma ha già rivoltato la squadra come un calzino. C'è poco da fare, ha ereditato un gruppo mediocre con un monte stipendi di 89 milioni, e l'ha trasformato in uno sicuramente migliore, che costa solo 5 milioni in più. King of New York"
Se il mercato non si fosse chiuso, nessuno, tranne Marbury, sarebbe stato sicuro di restare nella mela, tanta è stata l'aggressività con cui Thomas si è mosso.
Ci ha messo qualche ora per tagliare il centro Slavko Vranes, e per minacciare di egual sorte la promessa polacca Maciej Lampe, un po' troppo soft nel primo allenamento cui aveva assistito.
Poi ha cominciato a far sul serio: la prima testa a cadere è stata quella di Weatherspoon, spedito a Houston per Moochie Norris, e dopo di lui il diluvio, a partire dal colpo gobbo Marbury, il messia che torna a casa praticamente gratis.
Ovviamente Isiah non si è fermato qui: si è preso anche Nazr Mohammed e Tim Thomas e ha mostrato la porta a Don Chaney, scegliendo Lenny Wilkens.
Non è tanto una valutazione strettamente tecnica: i Knicks non erano da lotteria con Cheaney e non sono da finale Nba adesso, quanto psicologica, la New York apatica ereditata da Layden adesso palpita di nuovo per i Knicks, e al figliol prodigo Marbury basta un gesto della mano per incendiare il Garden.
Che dire, effetto Thomas"
Subito dopo la pausa per l'All Star Game, al Madison sono arrivati proprio i Pistons, reduci da 5 sconfitte in fila. L'idea di Larry Brown di fermare l'emorragia s'è schiantata contro il regale Marbury dell'ultimo periodo: vittoria Knicks, Madison in adorazione del suo numero 3 e Thomas che regala un dispiacere al vecchio amico Joe.
Li hanno visti chiacchierare amabilmente nella pancia del Garden nel post partita, probabile che Dumars avesse già la vendetta ben nascosta in tasca e pronta a saltar fuori"
Incroci pericolosi
L'oggetto del desiderio comune, e neanche tanto velato, aveva il volto enigmatico, e i tatuaggi da faraone, di Rasheed Wallace.
Thomas ci ha provato fino in fondo, ma stavolta le carte migliori ce le aveva in mano il vecchio Joe. Aveva i contratti in scadenza che tanto bene suonavano all'inesistente proprietà degli Hawks, e ha trovato i Celtics a dargli una mano e pure Mike James, che non vale Atkins come cambio ma costa meno, il che non guasta.
Wallace nella motown, dunque, dopo un memorabile cameo da una-partita-secca-e-via ad Atlanta, ad infestare i sogni di chi vuol esser grande ad est e adesso deve fare i conti con la frontline Wallace - Wallace - Okur e col genio che ci metterà Brown nell'allenarla.
Ovviamente Thomas, che l'insuccesso non riesce proprio a metabolizzarlo, ha incassato il colpo, ma ha rimandato l'appuntamento a quest'estate, convinto che il finale sarà diverso.
Il fatto anomalo è che Detroit tecnicamente è superiore ai Knicks, e ha pure diversi soldini in più da spargere sul conto in banca del faraone, ma l'entourage del giocatore da per assolutamente certo lo sbarco estivo nella Big Apple.
Sembra proprio che Rasheed voglia il Garden, voglia Thomas e voglia Marbury, e sia disposto a lasciare sul piatto tutto quello che c'è tra un pluriennale milionario e l'eccezione al cap, che è quello che possono dargli i Knicks, pur di raggiungere il suo obiettivo.
Il trapianto di Wallace a Detroit resta a rischio di rigetto, vista anche la complessità psicologica dei personaggi coinvolti, ma se funziona Dumars ha qualche mese di tempo per convincere il ragazzo di Philadelphia che a dieci milioni l'anno si vive bene anche nel Michigan.
Thomas invece non deve far niente, solo sorridere e colpire, come sempre.
Chapeau, vecchi pistoni!
Grandi tutti e due, comunque. Aggressivo come un piranha Thomas, anche se scambiare Van Horn per Tim Thomas non è detto che sia un'affare, anche se avere un Presidente come Dolan che pagava una quarantina di milioni di Luxury Tax e ora accetta di pagarne 45 non guasta.
Semplicemente diabolico Dumars: poche squadre rendono come i Pistons e costano come i Pistons.
Grandi anche perché l'equazione fenomeno in campo = fenomeno in panchina o dietro la scrivania non è proprio automatica. D'accordo Jerry West, che ormai è un santone e ha una reputazione che cammina da sola, ma tra gli altri ce ne sono diversi che sono rimasti sotto il par.
Jordan a Chicago non l'hanno nemmeno voluto, e a Washington non ha lasciato cuori infranti, e Magic ha dispensato sorrisi e poco altro. Resta Bird, che ha portato i Pacers a 2 partite dal titolo, ma la squadra gliel'aveva costruita Walsh, e i maligni hanno sempre detto che Harter e Carlislie gliel'allenavano.
Troppo maligni, forse, vedremo adesso quanto vale il grande uccello da dirigente.
Resta il fatto che Thomas si muove come il primo Mark Cuban: non ha paura di rischiare e di accollarsi contratti pesanti se ne vale la pena, l'unica differenza è che i soldi che spende non sono suoi.
Dumars è Executive of the Year uscente non per caso: forse non si ripeterà , Milicic è un fardello troppo pesante, ma il valore del suo operato lo misureranno i playoffs, e la frontline che ha allestito qualche mormorio l'avrà suscitato anche nel selvaggio West.
Chapeau allora, vecchi pistoni, di sicuro non avete seminato amici lungo il vostro cammino, ma provate a nominare un vincente vero che l'abbia fatto.