Tim Thomas non è ancora entrato negli schemi di Lenny Wilkens. Ci vuole tempo, ma non ce n'è.
Volevate atletismo e difesa? Bene, presto fatto… ma ora non avete tiro e gioco d’attacco.
Ecco quello che si potrebbe dire ai Knicks, dopo una settimana in cui sono arrivate due sonore batoste casalinghe, maturate soprattutto a causa di scandalose prestazioni balistiche.
Ceduto Keith Van Horn e con Allan Houston ancora ai box, infatti, New York non ha più gioco perimetrale e nel momento in cui pure Stephon Marbury attraversa una giornata di “tiro sbilenco”, la sconfitta arriva inevitabile.
Tim Thomas, il sostituto naturale di Van Horn, non è ancora entrato negli schemi di coach Lenny Wilkens, ma questo pare normale, visti i tempi NBA tra una gara e l’altra, in cui è praticamente impossibile allenarsi e provare schemi: si ci allena giocando… ma il tempo non c’è per i Knicks, visto il pessimo inizio quando ancora si era sotto la coppia Layden-Chaney.
Assume così un’importanza fondamentale l’unico tiratore puro rimasto nel roster, ovvero capitan Houston. Assente lui, l’attacco si spegne perché troppo unidimensionale, dipendente com’è dalle magie di Starbury… ed il Garden ha già perso la pazienza.
Andiamo con ordine: prima gara della settimana contro dei Detroit Pistons in grave crisi. Arrivavano da cinque sconfitte consecutive ed i Knicks, seppur privi di Houston e virtualmente dei due nuovi arrivati, si impongono 92-88.
Artefice della vittoria, manco a dirlo, Marbury, con 28 punti, 10 assists e 5 recuperi, compresa la bomba che a 39 secondi dal termine dà il +4 ai suoi e che in pratica chiude la partita.
Ottima prova pure per Penny Hardaway nella sua prima partita da titolare al Garden: 19 punti, tutti in momenti cruciali del match, come quando i Knicks in pochi minuti passano da un +13 ad un –9 e ci vuole un Penny versione Orlando per ricucire lo strappo.
Bene anche Othella Harrington, 14 punti più 9 rimbalzi dalla panchina in una delle migliori partite disputate in maglia bluarancio.
Dicevamo dei nuovi. Ebbene, Tim e Nazr Mohammed non hanno potuto allenarsi né lunedì né martedì mattina con i loro nuovi compagni, perché Van Horn ha ritardato le visite mediche in quel di Milwaukee. Il nulla osta dei Bucks (via Lega) è arrivato solo un’ora prima della palla a due. Conseguenza: Thomas ha giocato solo un paio di minuti, Nazr non è neppure sceso in campo.
La sconfitta casalinga contro gli Utah Jazz (78-92) ha visto invece i nuovi arrivati “abili ed arruolati”.
New York inizia malissimo e realizza solo 11 punti nel primo quarto ed i jazz scivolano subito avanti, lentamente ma inesorabilmente fino anche al +22. Marbury, il giorno del suo ventisettesimo compleanno, sente i primi fischi da knickerbocker: limitato da due precoci falli, chiude con 21 punti. Tim Thomas ne mette 17, ma praticamente tutti quando la gara è ormai in frigorifero. I Knicks tirano con il 38% e la frittata è fatta.
Una partita storta ci può anche stare, ma nulla è paragonabile a quanto succede nella successiva gara contro i Cleveland Cavaliers, ovvero la prima dell’eletto, al secolo LeBron James, al Madison Square Garden.
I Cavs vincono 86-92, ma il risultato non rende giustizia alla superiorità mostrata dagli ospiti. Zydrunas Ilgauskas brutalizza chiunque capiti nell’area pitturata e chiude con 31 punti: è lui il vero artefice della vittoria, ben sorretto da James.
I Knicks, seppur in partita fino all’intervallo, non danno mai l’impressione di poter portare a casa la vittoria. Marbury sbaglia 17 dei suoi primi 21 tiri ed il nervosismo che si impossessa di lui fin da subito si tramuta quasi in isterismo tra i “boooh” del pubblico e la sua personale guerra contro il ferro avversario.
Quando ormai il Garden intona il canto “Keith Van Horn-Keith Van Horn” all’ennesimo errore di Tim Thomas (che aveva iniziato bene con 6 punti in pochi minuti, frutto di un ottimo gioco spalle a canestro) e con gli ospiti a +20, Starbury inizia a mettere a posto la sua mira ed i suoi hanno un sussulto, ma ormai è tardi e non serve a nulla arrivare a –4 a poco meno di mezzo minuto dalla sirena.
Si potrebbero aggiungere fiumi di pixel per commentare questo o quest’altro, ma concentriamoci su quanto detto già all’inizio.
Si è (giustamente, ndr) voluto portare più atletismo e versatilità al roster e lo scambio Van Horn-Thomas, in questo senso, ci sta tutto (per le altre valutazioni tecniche vi rimandiamo al precedente report).
Cosa invece non si poteva prevedere è che Houston stesse fuori per così tanto tempo, trasformando così in un boomerang la cessione dello Sceicco bianco.
Il ginocchio di H20 sta iniziando a preoccupare davvero tanto. L’ennesimo specialista interpellato ha dichiarato che ci sarebbero gli estremi per un’altra operazione e che i tempi di recupero, dato l’interessamento della cartilagine, lenta a ricrescere, sarebbero di circa un anno.
Una tegola davvero pesante, se pensiamo che Houston non ha mai avuto problemi fisici rilevanti, men che meno negli ultimi anni catastrofici in cui, al limite, non sarebbe servito alla causa vista la pochezza del roster.
Ora, con una squadra competitiva, viene a mancare il top scorer, il giocatore nel ruolo in cui si pensava di essere coperti almeno per i prossimi 3-4 anni.
Houston, fermandosi prima dell’All-Star game, ha saltato già 10 partite consecutive e non si sa se e quando rientrerà … ma soprattutto in che stato sarebbe se rientrasse anche a breve.
A complicare le cose, ci si mette un calendario da infarto: nelle prossime due settimane, New York disputerà 10 gare di cui 8 in trasferta, 4 all’ovest. Alla luce delle due impreviste sconfitte di cui vi abbiamo raccontato, c’è la possibilità da qui a 15 giorni che i Knicks siano nuovamente fuori dai playoffs… altro che sogni di gloria di attaccare il quinto posto della Easern Conference!
Chiudiamo tornando allo scambio che ha spedito Van Horn a Milwaukee, avvenuto generando qualche polemica.
David Falk, l’agente più potente dell’NBA e che guarda caso ha come cliente Van Horn, non ha preso bene il fatto che Isaiah Thomas non gli abbia comunicato nulla di quello che stava accadendo.
“Non è un segreto che non ci piaciamo a vicenda” ha ammesso Falk “Ma in NBA ci sono altre persone che non mi piacciono ma che comunque non ho problemi ad incontrare. Se occupi una posizione professionale, come quella di GM dei Knicks, allora devi essere capace di buttarti alle spalle il passato ed agire come un professionista. Non sta scritto da nessuna parte che mi si debba interpellare per gli scambi, ma è buona norma di cortesia, quasi una prassi, far sapere il tutto all’agente prima di leggerlo sui giornali”.
Ma a quale passato si riferisce Falk? Ce n’è per tutti i gusti. Falk è stato l’agente di Michael Jordan, ovviamente il suo cliente più importante. Thomas, nel 1985, pare essere stato l’orchestratore dell’ostracizzazione sul parquet di Jordan nell’All-Star Game di quell’anno.
Per contro MJ pare essere stato l’artefice dell’esclusione di Isaiah dal Dream Team delle olimpiadi del 1992. Da qui i rapporti tesi pure con l’agente Falk.
“Ho buonissimi rapporti con i Knicks, con Steve (Mills, presidente del Garden) e Jimmy (Dolan, owner della franchigia) ma è la prima volta in 30 anni che un mio cliente è stato scambiato senza che io non sapessi nulla” ha chiuso Falk.
Falk ha avuto un ruolo molto importante nel recente passato dei Knicks: ha strappato il megacontratto per Patrick Ewing nel 1997 (contratto che all’epoca fu il più alto mai concesso ad un giocatore della franchigia), partecipò attivamente al passaggio dello stesso Ewing a Seattle per Glen Rice (altro suo cliente) ed ha ultimamente fatto i giusti aggiustamenti per l’acquisizione di Mutombo, appena tagliato dai Nets che comunque continuano a pagargli una parte dello stipendio.
Vari favori, insomma, da una parte e dall’altra. Ma Falk quest’ultimo “sgarro” pare esserselo attaccato al dito, ma per fortuna non è lui l’agente di Rasheed Wallace in vista delle possibili negoziazioni estive.
Van Horn, dal canto suo, pare essere caduto in una crisi esistenziale visto che è stato scambiato per l’ennesima volta ed ha paventato il ritiro.