Gioventù bruciata Miles

Difficile tenere a terra Darius Miles…

Difficile essere uno sportivo professionista di 22 anni e non avere il meglio della propria carriera davanti a sé, a meno forse di volteggiare agli anelli o al corpo libero. Difficile, almeno finché non si entra nel mondo di Darius Miles, uno che a 18 anni era un talento di quelli che non posso fallire, e 4 anni e 3 squadre diverse più tardi non è altro che un fallimento.

Quando i Los Angeles Clippers lo scelsero, al numero 3 del draft del 2000, nessun liceale era mai stato chiamato così in alto. Il suo primo anno in California fu superbo, 9,4 punti e 5,9 rimbalzi: solamente Kevin Garnett aveva compiuto il salto triplo liceo-Nba e prodotto una stagione statisticamente migliore da rookie.

Il talento di Darius era accecante: per alcuni era il nuovo Pippen, per altri il nuovo Garnett: era imbarazzante pensare a dove sarebbe potuto arrivare.
Sono passati solo 3 anni e mezzo, già  2 squadre hanno creduto così poco in Miles da scambiarlo, le statistiche che facevano sognare nell'anno da rookie sono rimaste le stesse nell'anno da senior, e nel frattempo Amare Stoudamire e Lebron James hanno ridefinito il concetto di primo anno positivo per un liceale.

Darius Miles, 22 anni da East St.Louis, Illinois, guardia/ala dei Portland Trail Blazers e un grande futuro. Alle spalle?

Fede cieca nei liceali
Quando Darius Miles è entrato nella Nba, nell'estate del 2000, la lega stava entrando in pieno delirio da liceale.

Kobe Bryant, Jermaine O'Neal, Tracy Mcgrady, Rashard Lewis: i nomi dei giovani fenomeni che avevano saltato a piè pari il college senza risentirne affatto cominciavano ad essere sulla bocca di tutti. Dodici mesi più tardi, al draft del 2001, si raggiunse l'apice: Kwame Brown, Eddy Curry e Tyson Chandler furono 3 delle prime 4 scelte.

Darius Miles è sempre stato un precursore, in un certo senso. Vederlo disputare una promettentissima stagione da rookie in maglia Clippers ha aumentato la fede degli scout nel "Dio potenziale".

Scegliere un talentuoso diciottenne equivaleva a trovarsi in casa, dopo un triennio di insegnamenti a centrifuga, un fenomeno fatto e finito, alla Bryant se andava di lusso, alla Lewis se andava solamente bene.

Vedere Miles adesso, mentre annaspa nella mediocrità , sta offrendo agli addetti ai lavori nuove ed inquietanti certezze: non tutti i liceali, per quanto talentuosi, migliorano allo stesso modo, e può accadere che, anche post-centrifuga, il prodotto finito sia molto, troppo simile a quello di partenza.

Miles a Clipperland
I Los Angeles Clippers costruirono in quell'estate del 2000 uno dei più futuribili gruppi di giovanotti visto nella storia recente della lega. Erano un'accozzaglia di sbarbati che una sera poteva schienare i Lakers, e quella dopo poteva prenderne 30 in casa da chiunque, ma ragionando in termini di prospettive facevano sognare.

Dooling, Richardson, Maggette, Miles, Odom, Olowokandi: un mare di talento nelle mani della franchigia più disfunzionale della lega intera.

I Clippers ci misero due stagioni a rinunciare a Miles, che dei ragazzi era forse il più promettente in assoluto, ma sembrò una decisione sofferta, motivata più dal desiderio di mettere le mani su Andre Miller che dall'abbandono delle speranze sullo smilzo da East St.Louis.

Ragionando a posteriori, si può sostenere a buon diritto che Miles poteva sbarcare in posti migliori della Los Angeles sponda Clippers.

Troppi ragazzini, la cronica assenza di un leader (doveva essere Odom, sappiamo com'è andata"), poche certezze sul futuro, stante la presenza del proprietario più tirchio della Lega: in definitiva non l'ambiente ideale per un bamboccio, dotato per il gioco, d'accordo, e che tuttavia doveva costruirsi tutto, un'etica del lavoro, un tiro da fuori, una muscolatura decente.

Tutto vero, d'accordo, ma la clamorosa stagione che stanno producendo Richardson e Maggette, i sopravvissuti di quel filone giovanile sperimentato nell'L.A. minore, dimostra chiaramente che un All Star può emergere anche a Clipperland.

Miles a Cleveland
I Clippers ci hanno messo due stagioni piene, e 163 partite, per decidere di scambiare Miles, ai Cavs è bastato un anno e mezzo, 107 partite e soprattutto non è stato necessario il miglior assist-man della Lega (10,9 a gara per Miller quell'anno a Cleveland) per convincerli, è bastato un Jeff Mcinnis qualunque.

Brutto segno.

Eppure Darius arrivò nella città  più brutta d'America quantomai baldanzoso.

Reduce da un secondo anno in California statisticamente identico al precedente, disse che l'affollamento nel settore esterni l'aveva condizionato negativamente: "Mi aspettavo anch'io di segnare di più l'anno scorso, ma avevamo un numero enorme di giocatori di classe, ed era necessario trovare tiri e spazio per tutti. Non dico che a Cleveland segnerò 20 punti di media, ma penso a Mcgrady, per esplodere ha dovuto lasciare Toronto per Orlando"".

Jim Paxson, il GM dei Cavs, stava costruendo una versione riveduta e corretta di quei Clippers. Al draft aveva scelto DaJuan Wagner, il miglior high-schooler del 2000, andò sul mercato per avere Miles, il migliore dell'annata precedente, e già  sognava di mettere le mani sul migliore degli ultimi 20 anni: Lebron James.

Aggiungete Ricky Davis, e le somiglianze col defunto progetto Clippers saltano all'occhio, anche se ci sentiamo di dover sottolineare tanto una profonda differenza quanto un tratto in comune tra i due.

Differenza sostanziale: James è arrivato davvero, e la storia dei Cavs, e della città  di Cleveland, non potrà  mai più essere la stessa. Tratto in comune: anche il progetto Cavs ha perso rapidamente un protagonista, ovviamente Miles, e non è che in Ohio siano stati segnalati suicidi di massa alla notizia della sua dipartita.

DMile, al primo incontro con coach Lucas, dichiarò che avrebbe gradito il quintetto e che poteva tranquillamente assestarsi sui 15 di media.
A tanta fiducia da parte di Lucas, il ragazzo rispose invece coi soliti 9 di media, con un drammatico 41% dal campo: numeri che aumentarono i dubbi sul conto.

Un anno più tardi, l'arrivo di James fu una scarica di adrenalina per tutta "Mistake on the lake", e il buon Darius in questo non fece eccezione. Chi l'ha seguito in estate, in particolare Chad Ford, di ESPN, l'ha visto lavorare veramente duro agli ordini di Tim Grover, il guru del fitness di Chicago, e ha notato che nei primi mesi di regular season pendeva letteralmente dalle labbra di coach Silas, seguendone scrupolosamente le direttive.

Bruttissimo segno.

Già , perché a Silas, nonostante l'impegno, ci sono voluti i soliti 2 mesi per togliere Miles dal quintetto, a vantaggio tra l'altro del rookie Jason Kapono, non proprio Magic, e da quel che successe nei giorni successivi si capisce molto dei limiti dell'ex Clipper.

Silas motivò così l'esclusione dal quintetto: "Come giocatore deve imparare a inserirsi in un sistema". Risposta del #21: "Questo significa molto per me, non sopporto di partire dalla panchina. Ma se è la cosa migliore per la squadra, appoggio al 100% il mio allenatore".

Al primo incontro partendo dalla panchina, contro gli Atlanta Hawks, DMile portò acqua al mulino di chi questionava sulla scarsezza della sua forza mentale: 0/11 al tiro in 22 minuti.

Pochi mesi e addio anche a Cleveland e al nuovo amico James, la centrifuga passa a Portland.

Matrimonio a tempo
Per i Trail Blazers, Miles è una scommessa a basso costo. La franchigia attraversa una fase di stagnazione, i playoffs sono a rischio per la prima volta dopo più d'un decennio e il nucleo che arrivò a 10 minuti di follia in casa dei Lakers dalla finale Nba 2000 non esiste più. Niente Smith, niente Pippen, niente Sabonis.

I Blazers sono forniti al settore ali: c'è Zach Randolph e i minuti che erano di Wallace se li è presi Abdur-Rahim, ma Miles veniva via talmente a buon mercato che la dirigenza non poteva passare questa mano.

Tra l'altro Portland poteva uscire in estate dal contratto di Mcinnis pagando soli 300.000 dollari di buonuscita, mentre lo status di Miles sarà  quello di restricted free-agent, quindi la scommessa dei Blazers non è neanche particolarmente onerosa.

Per Miles, Portland è l'ennesima tappa di una carriera travagliata. Certamente non sarà  l'ultima possibilità  che gli verrà  offerta: anche ipotizzando un flop totale alla corte di Mo Cheeks, qualcuno disposto a scommettere su di lui lo troverà  ancora per diversi anni, ma è chiaro che lo spessore del suo contratto ne risentirà  profondamente.

In questi anni Miles ha messo in tasca ben più di 10 milioni di dollari, non è un poveraccio, ma resta il ragazzo che si dichiarò al draft perché in famiglia di soldi non c'era nemmeno il ricordo, e mamma Ethel continuava a guidare autobus nonostante una triade di bypass nel cuore.

È lecito affermare che tre annate sostanzialmente deludenti abbiano alleggerito il portafoglio di Miles di almeno una trentina di potenziali milioni.

E il peggio è che potrebbe non essere stata colpa sua: potrebbe essere davvero un giocatore limitato, potrebbe restare un mediocre a dispetto di tutti i pesi che alzerà  in estate con Grover o dell'impegno che profonderà  in allenamento.

Bilancio provvisorio
Quello che è più inquietante di questo ragazzo è che è praticamente lo stesso di 3 anni e mezzo fa. Gli si è ritorto tutto contro: tanto gli altri son migliorati in fretta tanto lui è rimasto quello che era.

A vederlo non sembra aumentato nemmeno dei 5 chili scarsi che gli concedono le generose guide ufficiali (da 90 a 95), non sa tirare come quando arrivò ai Clippers, e soprattutto sembra ancora un bambino, in tutti i sensi. Tutti sanno che è rimasto totalmente scioccato dalla separazione dal suo amicone Richardson, ma l'altro il colpo l'ha assorbito benino, se è vero che oggi viaggia a 19,9 di media.

Miles no, Miles soffre ancora, e a Portland ha chiesto di indossare la maglia numero 23 in onore dell'ex compagno Lebron James, altro ragazzo cui si era affezionato e da cui è stato separato. Segni di debolezza caratteriale, confermati appieno dal citato 0/11 al tiro non appena fu defenestrato dal quintetto.

Tecnicamente Miles non ha continuità , può entrare in una striscia di 5/6 minuti in cui stoppa ogni cosa, difende divinamente su tutto quello che si muove tra l'1,90 e i 2,05, e fa il vuoto a rimbalzo. Stesse possibilità , peraltro, che in quei 5/6 minuti Darius perda l'uomo in taglio backdoor perché fuori dallo sviluppo dell'azione, che non tagli fuori il suo avversario o spari tre jump da 5 metri senza alcun senso.

Atleticamente resta fuori concorso, potrebbe fare i trials della nazionale USA di atletica per Atene domani mattina, e in diverse specialità , il guaio è che ha scelto il basket per vivere.

E come giocatore di basket in questo momento non è niente di più di uno specialista da 20 minuti a partita.

Il suo talento atletico lo aiuta soprattutto in difesa, mentre in attacco i limiti superano di gran lunga i pregi. In 3 anni non è riuscito a costruirsi un tiro, e i suoi punti (11,3 in 6 partite a Portland) continuano ad arrivare dal contropiede, dal tap-in e da roboanti quanto occasionali schiacciate.

Intanto il grande schermo sta per tenere a battesimo il debutto del figlio di mamma Ethel, attore protagonista nel film Perfect Score: la storia di una star liceale di basket che imbroglia con gli esami d'ammissione all'università .

Miles al college non ha mai pensato sul serio, un po' per i soldi e un po' perché non aveva i voti: adesso i soldi sono arrivati, chissà  se da soli o se qualche rimpianto gli fa compagnia.

Al college avrebbe imparato a tirare, e forse oggi i soldi sarebbero ancora di più, ma in fondo il tempo è l'unica cosa che non manca ad un ventiduenne. Vedremo che uso saprà  farne"

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