KG, il mutante per eccellenza…
Febbraio 2000, San Francisco.
Non la solita domenica di basket sul campo dei Golden State Warriors: va in scena l'All Star Game. C'è una grande elettricità nell'aria. Il giorno prima Vince Carter ha incantato il mondo, con la più grande esibizione alla gare delle schiacciate dai tempi delle sfida Jordan-Wilkins. E stupito anche sua maestà Shaq che, al microfono dichiarò: "Dopo quello che ho visto posso solo dire al mio avvocato che mi ritiro."
In realtà il piatto forte deve essere ancora servito. Il quintetto dell'ovest è speciale: Kidd e Bryant sono gli esterni. Shaq e Duncan partono in front line. Kevin Garnett è l'ala piccola.
Quel giorno, seppur non ufficialmente, si aprì nel basket la nuova era dei mutanti. I mutanti sono quella categoria di lunghi che possono ricoprire indifferentemente tutti i ruoli in front line. Fanno parte di questa categoria il già citato Garnett, presidente onorario, Tim Duncan, Rasheed Wallace, Kenyon Martin, per certi versi. I mutanti rappresentano l'ultima evoluzione della specie.
Non esistevano dieci, quindici anni fa, quando i pivot, anche i più agili come Hakeem Olajuwon, erano giocatori con determinate caratteristiche. Questi non sono pivot, non sono ali: sono tutto assieme.
Il capostipite
A ben guardare questa particolare categoria ha avuto un capostipite negli anni '80: Ralph Sampson. Esordio nella Nba a Houston, 2.24cm, una agilità mai vista sino a quel punto.
Dopo la prima stagione da pivot, Sampson venne spostato all'ala grande, per far posto ad Hakeem e formare la prima versione cestistica delle "Torri Gemelle". Versatilità incredibile, fisico lungo, sottile, che pare non finire mai. Eppure un baricentro "sorprendentemente basso", velocità e la capacità di correre in contropiede, sia sulla corsia laterale, che al centro, conducendolo in proprio.
Il giocatore ebbe un paio di anni da leone. La punta più alta fu una finale, persa 4-2 contro i Celtics, in cui fu espulso per un pugno a Gary Sichting, play bianco, di Boston, che gli rendeva almeno 40 centimetri. Da quell'episodio Sampson si perse. Infortuni, progressivo allontanamento da canestro. La sua versatilità improvvisamente divenne un limite che lo fece naufragare nella mediocrità .
Per la cronaca: la Western Conference vinse l'All Star Game di San Francisco. Shaq e Duncan furono gli Mvp. I due, insieme a Garnett, segnarono 60 punti in tre. Da quel giorno l'esperimento si è ripetuto. L'anno successivo, complice il "solito" infortunio di Shaq, l'Ovest partì con Garnett, Duncan e Webber. Tre giocatori assolutamente intercambiabili.
Lo scorso anno, complici i cinesi, nello starting five entrarono i soliti Garnett e Duncan, con Yao Ming. Alla fine del primo tempo, Adelman si spinse oltre i confini: Shaq centro, Ming ala grande, Duncan ala piccola, Garnett esterno.
Baracconate da All Star Game?
Ogni volta che si gioca una partita di esibizione, viene da chiedersi se tutti quei campioni potrebbero davvero convivere in una squadra, giocando un campionato vero. Un po' quello che, in un altro sport, con regole diverse, ha provato a fare il Real Madrid con Ronaldo, Raul, Zidane, Figo e Beckam. Probabilmente non ci toglieremo mai questo sfizio. Rimane il discorso di fondo: la versatilità .
Nel settembre del 2000, gli Spurs vennero in Italia per giocare il torneo Open. Chi ebbe la possbilità di assistere all'allenamento a porte aperte della squadra texana, ebbe la possibilità di constatare la purezza dei fondamentali tecnici di Tim Duncan. Nel corso degli anni, l'ex Wake Forrest ha sviluppato queste sue doti. Tanto da essere in grado, una volta recuperato il rimbalzo, di condurre tranquillamente una transizione controllata, nella corsia centrale.
Questo ci porta a pensare all'evoluzione del gioco. Che in qualche modo ha uniformato i ruoli.
L'All Star Game del 2000 segnò l'esordio di Glenn Robinson, rappresentante assieme a Glen Rice, che giocò la sua ultima partita delle stelle nel '98 a New York, della categorie delle ali piccole pesanti, con grande forza nella parte superiore del corpo per tirare e piedi relativamente lenti.
Una tipologia di giocatore sempre più rara nella Nba di oggi, con la notevole eccezione del rookie Carmelo Antony.
Parallelamente sono andati scomparendo i centri classici. "Questi ragazzi - è il commento classico di O'Neal che ne fa un fatto di macismo tecnico - hanno sempre di più la tendenza ad allontanarsi dal canestro. Io sono l'ultimo centro rimasto (Last Center Left)".
Il rilievo tecnico di Shaq è corretto. Lo stesso Jermaine O'Neal, il miglior centro della nuova generazione, fornisce il meglio del suo repertorio con l'area libera e la possibilità di sfruttare l'agilità . Manca invece dal punto di vista della potenza pura. Ma la questione è anche più complessa di così. Perché la verita è che per giudicare non si può applicare i canoni con i quali si giudicava gli Ewing degli anni '80.
Questi sono giocatori diversi, in grado di muoversi vicino all'area, come sull'arco del tiro da tre punti. Raheed Wallace nella finale di conference contro San Antonio 4-0 nel 1999, fu spesso impiegato da ala piccola, in mismatch contro Sean Elliot.
C'è una spiegazione "morfologica" per questa tendenza progressiva all'allontanamento dal canestro: rispetto a quindici anni fa, i giocatori si portano addosso diversi centimetri in più di spalle e braccia. Banalmente: il gioco in area si è complicato perché c'è molto meno spazio disponibile.
Questo è il rilievo che si può fare a mostri sacri come Pete Newell che continuano a giudicare il basket di oggi con i riferimenti e i canoni usati per i giocatori di un tempo ormai passato. Ecco perché allenatori come Adelman, ad esempio, hanno sfruttato le possibilità del loro sistema offensivo per spostare lungo di riferimento al gomito e aprire così il campo. Shaq in tutto questo non centra. Shaq va dentro comunque, ma rappresenta una totale anomalia nella storia del gioco.
La nuova frontiera
In un mondo di animali rari, non c'è dubbio che comunque Garnett rapresenti l'ultima eccezione: lo scorso anno gli spettatori dell'allora Tele+, ebbero la possibilità di vedere il giocatore di Minnesota, impegnato sul perimetro a marcare Tracy Mc Grady. E qui siamo alla fantascienza: Kevin con la sua altezza toglieva al fuoriclasse dei Magic l'orizzonte per il tiro da fuori, contenendo accettabilmente, di certo non peggio di altre ali di 2.00 metri, il suo primo passo.
Questa è l'ulteriore distinzione che rende Garnett diverso: perché Duncan, seppur immenso, questa cosa non la può fare. Ecco perché probabilmente non sarebbe una bestemmia immaginare il quintetto che abbiamo descritto all'inizio di questo articolo in campo per davvero. Garnett ha gioco di post, tiro da fuori, ultimamente anche da tre. E difende su almeno tre ruoli diversi. Esattamente come Duncan. La versatilità di cui parlavamo a proposito di Ralph Sampson era una versatilità soprattutto offensiva. La versatilità di oggi è totale.
Chiudiamo con una curiosità : nel suo libro più "famoso", "Shaq talks back", Shaquille O'Neal confessa di vedersi a fine carriera come un esterno. La leggenda, da prendere con beneficio di inventario, parla di uno Shaq dodicenne che, col complesso della sua altezza, sviluppava i fondamentali da esterno come i suoi compagni. Lo stesso Phil Jackson, anche se di malavoglia, ammette che in allenamento O'Neal è perfetto in questo tipo di situazioni.
Di sicuro, noi comuni mortali, in partita non lo vedremo mai. Questo spiega però come il gioco sia in continua evoluzione. Da qualche parte, in un playgroud sperduto d'America c'è un ragazzo che sta sviluppando la sua particolare abilità , esattamente come 10 anni fa, Garnett faceva a Farragut Accademy.
E di sicuro, fra dieci anni, saremo qui a commentare, qualcosa che oggi non possiamo nemmeno immaginare.