Derek Fischer contro Orlando si è guadagnato l'MVP con una rubata e un assist nel finale
Seattle Sonics 82 @ L.A. Lakers 96
L.A. Lakers 84 @ Minnesota T-wolves 97
L.A. Lakers 84 @ Toronto Raptors 83
L.A. Lakers 72 @ Indiana Pacers 85
L.A. Lakers 111 @ Cleveland Cavs 106 dts
L.A. Lakers 73 @ Philadelphia 76ers 96
L.A. Lakers 98 @ Orlando Magic 96
Aleggia un atmosfera strana in casa Los Angeles Lakers.
In una città che dovrebbe essere in fibrillazione, almeno dal punto di vista dei tifosi di basket, per l'ormai prossima edizione dell' All Star Game che fra sette giorni andrà in scena sotto le scintillanti luci dello Staples Center, si è invece in questi giorni propagata una sorta di depressione, di cattivo umore collettivo o come dicono gli anglosassoni di bad karma verso la squadra dei lacustri.
Al di là dei singoli episodi che hanno visto coinvolta la squadra californiana in quest'ultima quindicina di giorni, sembra che fra gli addetti ai lavori ed il pubblico si stia generando una sorta di pessimismo collettivo verso il progetto, solo un mese fa scintillante di glorie da venire, dei Lakers dominatori dell'annata.
La maledizione del Dream Team ha infatti colpito a pieno il team giallo viola.
Una maledizione che in questi giorni ha fatto moltiplicare i reportage sui malumori presenti come non mai all'interno dello spogliatoio gestito dall'allenatore fresco di ottocentesima vittoria, Phil Jackson, una maledizione che ha fatto sì che dopo il recupero lampo per l'infortunio alla spalla, Kobe Bryant trovasse il modo di tagliarsi un dito in un banale incidente domestico che sembra provocargli anche un brusco calo nella voglia di vincere o quantomeno di giocare, una maledizione infine, che sta allungando a dismisura i tempi di recupero dell'ex uomo d'acciaio dello Utah,Karl Malone.
Ma facciamo un passo indietro.
Quali sono e perché lo sono, i bersagli preferiti ad oggi della critica, soprattutto californiana, in casa Lakers?
E' presto detto.
Il primo è il già citato Kobe Bryant.
L'ex enfant prodige del basket professionistico, oggi più in disgrazia di un bond emesso dalla Parmalat (con buona pace di chiunque alla lettura ne abbia acquistati), è stato additato in settimana per essersi rifiutato a mezzo agente, di presenziare alla trasferta contro Philadelphia, peraltro persa malamente dai suoi compagni.
I suoi tempi di recupero per un infortunio che non sembra essere di così grave portata si stanno come detto dilatando, ma c'è chi si è irritato per il fatto che Kobe non ha assolutamente parlato di mancare l'All Star Game e anzi pare si stia limitando proprio per quella serata.
Una serata che più volte gli ha portato fortuna e che pare lui speri possa tornare a portargli l'amore del suo pubblico dopo tante giornate cupe. Questo a scapito delle statistiche della sua franchigia che anche grazie alla sua assenza naviga ad oggi alla quota di 30 vittorie e 18 sconfitte, quinto spot della Western Conference.
I risultati numerici di queste ultime giornate, numeri da capitano tanto per intenderci, non stanno esentando neppure Shaquille O'Neal da qualche critica non proprio velata.
Come e prima del suo compagno di combo, il centro dei Lakers ha rifiutato un rientro lampo dall'infortunio al polpaccio, lasciando la baracca per parecchio tempo con un solo titolare e tornando giusto in tempo per criticare l'operato del numero 8.
Anche lui sarà in campo domenica, riserva di Yao Ming, ma solo il mese seguente alla partita delle stelle saprà dire se la sua forma tornerà quella di inizio stagione, oppure le inaspettate vampate invernali del numero 34 si limiteranno ad essere il livello di gioco di una star non più capace di guidare i suoi verso il titolo.
Il terzo imputato presente nel roster giallo viola è Gary Payton.
Mentre a Seattle, Ray Allen sta deliziando il suo pubblico con una delle migliori stagioni della sua carriera, il guanto si è concesso contro i 76ers la seconda espulsione dell'anno, proprio al cospetto di una sua vecchia conoscenza: Joey Crawford.
E' chiaro che in una situazione di perenne tensione ed emergenza come quella vissuta negli ultimi due mesi dai Lakers, il nervosismo deve essere parecchio, ma 16 anni di esperienza professionistica dovrebbero aver insegnato al linguacciuto play che scherzare con il fuoco alcune volte può anche costare.
Cosa rimane perciò della corazzata di inizio anno, con tutte queste note negative?
Rimane una seconda linea che ha perso Jannero Pargo e ha acquistato Maurice Carter, una seconda linea che alterna giornate da tregenda, come la gara interna contro i T-wolves o quelle esterne di Indianapolis o Philadelphia, a prove più mature e coraggiose, come il supplementare di Cleveland, oppure le vittorie sul filo di lana e con tanto di polemiche post partita di Toronto e dell'ultima fresca ed in rimonta di Orlando.
Con tutto questo, siamo arrivati solamente a 48 gare disputate.
Il meglio della settimana: Con tanti guai discussi e tante polemiche sul piatto, si rischia di dimenticare che i Lakers stanno superando il momento tradizionalmente più difficile della loro annata con un bilancio non dominante, ma non certo da buttare. Dodici gare di avanzo positivo in bilancio alla vigilia dell'All Star game sono numeri che dodici mesi or sono sembravano un chimera. Oggi non soddisfano nessuno.
Nel frattempo il bilancio più parziale della prima grande trasferta dell'anno dice 3 vinte e due perse. Meglio del previsto considerando anche che la squadra sta riacquistando una parvenza di gioco il cui dato principale sembra essere il brusco calo di palle perse registrato dalla vittoria contro Seattle in poi.
Il peggio della settimana: non c'è nulla di peggio che partire per una competizione convinti di spaccare il mondo e poi ritrovarsi a galleggiare nella mediocrità di risultato solo appena positivo.
I Lakers adesso sono di fronte a questo bivio, ma le prove di non esaltante professionalità date in questi giorni dai propri leaders (o presunti tali) non aiutano a rendere speranzoso il ricco e viziato parterre dello Staples Center.
E adesso?
Il punto focale ad oggi sembra essere questo.
Chi ha ragione? Da una parte troviamo Phil Jackson che ad ogni occasione, ci mancherebbe altro, si affretta a ricordare la tradizione che vede i suoi atleti esplodere da marzo in poi, giustificando con l'acido lattico o con un metro di giudizio arbitrale punitivo le sconfitte del suo gruppo.
Dall'altra la tradizione che non vede di buon occhio i tentativi di dominio, considerando anche che nel frattempo le alternative al ruolo dire della Western e molto probabilmente dell'intera NBA sono cresciute esponenzialmente.
Il viaggio dei Lakers terminerà con le visite agli Heat e a Houston della settimana, poi solo parata di stelle, con il rientro che proporrà sfide già viste. Portland, visita a Golden State e Philadelphia per cominciare il ciclo post giro di boa.
Alla prossima"